Stampa questa pagina

Giuseppe Trentacoste, le mille vite della tela di juta piegata.

Di Giorgio Barassi.

L’arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove,
nella forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi.
(Bruno Munari)

tcoste1














È ormai chiaro che Giuseppe Trentacoste realizza un tipo di operazione artistica singolare e riconoscibile, poiché gli anni di lavoro tra le tele di juta e il materiale che serve a farle diventare figura, corpo, volto od oggetto sono serviti ad assestare le sue posizioni tra quelle di chi non può definirsi solo artista. Beppe, pochi lo chiamano altrimenti, raduna le sue forze creative attorno alla modellatura di quelle tele che coprono un materiale plastico malleabile, attende che la forma diventi definitiva, estrae il modello in materiale plastico e fissa il risultato con l’aiuto delle resine, dopo aver colorato con attenzione le parti che intende non lasciare alla nudità della juta. Lavoro non facile, certo, ma soprattutto segno di una serie lunga e ripetuta di esperimenti, prove, indagini convincenti e di una coerenza creativa che fa di lui un artista dalla indipendenza certa.
Non gli piacciono gli schemi, la preordinata maniera di concepire un’opera, ma non rifiuta i canoni e si fa volta a volta latore di un messaggio certo che riguarda la società, i personaggi della storia, i grandi artisti, il mondo della fantasia e comunque le vicende che storicamente si sono accavallate nella storia degli uomini. Perciò non è difficile imbattersi in bassorilievi (questo è, ai fatti, il risultato della sua operazione artistica) che prendono le mosse dai versi di Rilke o dal racconto della civiltà del lavoro, come non lo è imbattersi in sue opere figlie della acuta osservazione del fantastico mondo dei bambini, degli animali, dello sport. Sperimentazioni che lo hanno portato, nel 2022, ad insistere su una colorazione fatta di pigmento puro, in polvere, che si adegua alle rozze trame di quei sacchi componendo qualcosa di solio e netto, sia che si tratti di una figura umana o di oggetti-cult come il Maggiolino VW, in ciò rispondendo ai canoni della cultura Pop.
tcoste2




















Non esistono perciò limiti alla elaborazione di temi che in comune hanno il vero corpus delle sue opere, e cioè il sacco di juta, rigorosamente proveniente da lunghi viaggi sull’Oceano. Beppe li sceglie uno ad uno, perché siano il segno di un effimero passaggio di migliaia di chilometri e perché ripropongano le loro scritte originarie, la loro identità che rivive tra pieghe, cuciture, macchie del tempo e la difficoltà di adattare il tutto ad una superficie di legno a cui aderiscono dopo trattamenti non sempre gentili, fatti di forza da artigiano e passione da vero artista.
Trentacoste ha vissuto, nel febbraio del 2022, una sua personale che potremmo definire la prima vera antologica della sua carriera. È accaduto nelle sale dell’Armeria del Castello Ducale di Torremaggiore (FG), e il successo è stato evidente, senza sbavature. Ma conoscendone il carattere volitivo, si è trattato di una tappa importante per continuare ad indagare, porsi obiettivi, sperimentare ed incedere senza soste. È cosi che sono nate le sue reinterpretazioni, raffinate e singolari, delle grandi opere della storia, come quella scena di bottiglie allineate che ripetono gesti e colori della straordinaria Ultima Cena di Leonardo. Una rivisitazione delicata e convincente, proposta in diverse dimensioni, che dà l’idea di cosa e quanto le sue “tele piegate” riescano a significare grazie alle sue manipolazioni accorte. Se si pensa che si tratti di un punto di arrivo, si pensa male. Trentacoste è un ottimista, ma anche un paziente incassatore. Forse perché la sua grande passione, la boxe, gli ha insegnato quel che lui oggi insegna ai giovani: attendere con freddezza e resistenza il tempo per sferrare l’attacco giusto, coordinato e preciso. Ma sempre e costantemente preparati e forti.
tcoste3



















Dunque aspettiamoci altri temi, altre tele piegate, altri colori con nuove sperimentazioni. Il ring dell’arte non pone limiti, soprattutto alla fantasia produttiva che riesca ad appassionare il collezionista quanto il neofita. E infatti Trentacoste ha creato una serie di opere da dedicare al mondo, finora agli esordi, del NFT. Ci ha studiato e si è applicato con attenzione, ed ora dice la sua anche in quelle atmosfere tanto diverse dagli studi di Arte Investimenti, da cui ogni domenica arrivano immagini che riguardano i suoi lavori, durante le trasmissioni di Laboratorio Acca, rubrica che ha scelto dalla prima ora per una diffusione più ampia del suo operato.
Le tele piegate (e colorate, ma anche nude nella loro severità che sa di luoghi lontani) di Beppe Trentacoste sono una certezza, ormai. E il pubblico mostra di interessarsene e di attendere il prossimo passo di questo autorevole artista che non può essere confuso con altro o altri. Ha dato un tono di riconoscibilità al suo lavoro dalle prime battute, e se il sacco di juta evoca altri nomi ed altre atmosfere è solo per la convenzione, a cui non aderiamo, di dover per forza collegare una esperienza artistica a qualcosa o qualcuno.
Di questi ultimi tempi sono le opere che abbiamo chiamato “BeppePop”, perché se esiste una Pop art italiana, questa non può prescindere dalle icone più popolari presso quelli che oggi sono uomini e donne e ieri erano ragazzini. È popolare ciò che di frequente passava davanti ai nostri occhi, e così il vecchio camion Fiat 690, la gloriosa Topolino, la Renaul4 ed altri oggetti-cult sono entrate nella narrazione del Gran Saccàio, con buona pace dell’amato Maggiolino VW.
Per Trentacoste il sacco è il vero protagonista dell’opera, e le cuciture, ad esempio, che appaiono qua e là sono figlie del suo stato d’animo. Quando sono assenti dall’opera, sottolineano la serenità creativa. Se abbondano, la furia ed il cruccio del creare si affacciano maggiormente in opere più sofferte e non meno interessanti. Riassumere il lavoro di Trentacoste in pochi argomenti è fuorviante. Perché nessuno, nemmeno lui, può prevedere i confini in cui includerle. Le corde del ring scompaiono, e lui continua a combattere anche a costo di saltare fuori dal quadrato e proseguire il gesto altrove. Ce lo insegnano le sue installazioni enormi, da cui si affacciano volti diversi di una umanità varia, senza limiti geografici o confini imposti. Per questo Trentacoste è libero di agire nel suo mondo singolare, in ragione di una libertà creativa non condizionabile.