Stampa questa pagina

La memoria delle piccole storie che la Storia non racconta

La Storia che siamo abituati a studiare, quella narrata nei libri e nei documentari, è il racconto di macro eventi collettivi; questo approccio tende a farci dimenticare che la Storia, nella realtà, si costruisce quotidianamente, grazie all'intreccio di piccole storie individuali; talora, accendendo i riflettori su queste ultime, oltre a rinnovare l’interesse su un determinato periodo, si finisce per comprendere meglio la trama d’insieme, che risulta quando si uniscono insieme i fili delle singole storie personali.
rivelli













È ciò che ha scelto di fare Paola Martino, raccontando nel romanzo-memoir Gli anni forti, attraverso la sua storia, i cosiddetti anni di piombo.
Come ha spiegato alla presentazione del proprio libro, tenutasi a Roma nella libreria Fahrenheit il 7 febbraio scorso, l’esigenza di narrare la sua giovinezza è nata dal suo essere stata insegnante: si è accorta che, troppo spesso, raccontando la grande Storia, si finisce per perdere l’attenzione dei ragazzi. Lei ha sempre arricchito le sue lezioni di piccoli particolari: il racconto della vita quotidiana, il senso che le davano le persone comuni, le piccole abitudini.
C’è stato poi il bisogno di rispondere alle domande che spesso le venivano poste dalle sue amiche più giovani, nate qualche generazione dopo, che rimanevano affascinate dal racconto della dimensione collettiva di quegli anni, della potenza di una visione condivisa e della capacità di sognare insieme il futuro.
In questo modo l’autrice è riuscita ad andare oltre l’interpretazione politica e storiografica, nell’intento di restituire al lettore quella grande energia di cambiamento che percorreva quegli anni e che ha poi prodotto grandi riforme.
Con una scrittura evocativa, fatta di immagini, profumi e sensazioni tattili, ha raccontato la provincia toscana di quegli anni, la sua esperienza di giovane ragazza cattolica e ribelle in un’Italia in cui la donna era ancora fortemente discriminata e la cui condizione non era mutata di molto rispetto agli anni antecedenti alla guerra. Si poteva votare, è vero, si cominciava a vedere qualcuna al volante di una macchina, ma nel quotidiano la vita di una donna era rimasta la stessa, tanto che il suo andare a convivere con il suo fidanzato fece scandalo e in paese la gente tolse la parola alla sua famiglia.
C’erano anche forti discriminazioni nell’educazione di un ragazzo e di una ragazza, di ciò che era permesso all’uno e di ciò che, invece, non era permesso all’altra.
rivelli 2













Erano gli anni di Franca Viola, sottolinea l’autrice, la giovane donna sicilia- na che ha avuto il coraggio di ribellarsi a un matrimonio riparatore che avrebbe dovuto avere luogo per “riparare” a uno stupro, cosa che era permessa da una legge iniqua che poi è rimasta in vigore fino al 1981, sopravvivendo alle battaglie femministe di quegli anni.
L’impegno sociale, racconta l’autrice, veniva espresso nei comitati di quartiere, nel volontariato al doposcuola per insegnare l’italiano ai figli degli emigrati meridionali, che non lo parlavano e nei collettivi, in cui si discuteva di contraccezione e di aborto.
Ma quello di Paola è anche un romanzo di emozioni personali. Dall’infanzia, allietata dalla presenza della Tata, una contadina piena di gioia e senza schemi, per la quale è ammissibile tutto ciò che è naturale “basta non far del male a nessuno” e dal cui rapporto è scaturita la confidenza con il proprio corpo e con le proprie emozioni, alla scoperta della propria femminilità, fino ad arrivare alla trasformazione da bambina a donna.
Una trasformazione, quella di Paola, che è sì personale, ma che diventa metafora della trasformazione sociale che ha attraversato quegli anni, che poi, purtroppo, è passata in secondo piano, schiacciata sotto il piombo degli attentati terroristici e del luogo comune. Anni che, invece, per chi li ha vissuti, sono stati anni forti.
Simona Rivelli