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Les fleurs et les raisins

Trasversali allegagioni d’arte. Il vino giallo al banchetto degli angeli.
"L'art ne me connait pas. Je ne connais pas l’art”. Così scrive il poeta Tristan Corbière, autore di quegli affebbrati, elettrici, elegantemente anarchici “Amori gialli”, sottolineandone - ad un tempo - la marginalità e l’imprevedibile unicità compositiva. Analogamente qualcosa di giallo, raffinato, indubitabilmente inconsueto e raro viene prodotto nella marginale regione dello Jura: marginale perché si trova nell’estremo oriente francese e la parte vitata non conta più di duemila ettari di terreno, meno dell’1% della produzione nazionale.
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È qui che nasce il vin jaune, l’oro dello Jura, un vino prezioso, capriccioso, imprevedibile, non ammettendo distrazioni di sorta esige essere coccolato, vezzeggiato, non compreso ma amato. Il vitigno di partenza che affonda le radici nelle argille blu della regione è il Savagnin (assieme allo Chardonnay l’uva bianca più coltivata): vendemmiato tardivamente, generalmente nella seconda metà di ottobre, a seguito della fermentazione e di un ragionevole periodo di riposo e stabilizzazione - spesso anche oltre un anno - il vino viene trasferito in barrique da 228 litri, di secondo o terzo passaggio, ed è qui che dovrà compiersi il miracolo e l’alchemica trasformazione del liquido in oro. Le botti vengono lasciate scolme per circa un sesto della loro capienza in modo che i lieviti ancora presenti a contatto con l’ossigeno costruiscano una sorta di film protettivo, la “voile”, il velo che custodirà l’affinamento del vino per almeno sei anni e tre mesi e ne determinerà la qualità e la profondità. La parte alcolica che durante tale procedimento sarà evaporata viene storicamente chiamata la “part des anges”, il sacrificio offerto agli angeli per ottenere una concentrazione di profumi e sensazioni assolutamente unica. Per questo motivo, ancora oggi, il vin jaune viene tradizionalmente imbottigliato nella clavelin da 62 cl, a ricordare e simboleggiare la parte rimanente al termine dell’affinamento di un litro di liquido.
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Come per ogni opera d’arte, una materia eccellente e d’elezione necessita di un artista accorto, che non la disperda e la sappia condurre nel migliore dei modi, così sarà la sensibilità del vignaiolo a stabilire i tempi, a posizionare le botti nelle più favorevoli condizioni di aria, temperatura e umidità, a miscelarne gli affinamenti, se necessario ad esaltarne lo slancio e la complessità. Delle quattro AOC autorizzate per la produzione di vin jaune, la più rinomata è sicuramente Chateau-Chalon: il nostro assaggio si è rivolto al prodotto di Domaine GRAND, piccola azienda di Passenans di circa una
decina di ettari che dalla vendemmia 2021 potrà etichettare i vini da agricoltura biologica certificata. Lo Chateau-Chalon 2012 cuvée En Beaumont è di un giallo dorato dai brillanti riflessi ambra: apre con le note decise di mallo di noce, poi crescono le sensazioni terrose di fungo e tartufo; nella confidenza con lo scorrere del tempo a poco a poco si scopre un oriente complicato di spezie... volteggiano screziature di zafferano, curcuma, curry.
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Ora sentori tostati si uniscono a profumi amaricanti di cioccolato, fondi di caffè, tabacco che trascina una parte vegetale di fieno greco, ora sono le spezie a puntellare e stuzzicare, accompagnate da suggestioni d’agrume, cedro e bergamotto canditi, pietra focaia, macis, iodio. I profumi continueranno ad uscire complicandosi, ma l’urgenza e la curiosità dell’assaggio prevalgono: il palato è secchissimo, sapido con un corredo balsamico di erbe officinali che arriccia il naso - in retrolfazione - su punte di cumino e melissa, un principio di finale resinoso che ricorda il miele amaro, di cardo o corbezzolo, per terminare (in una curiosa struttura circolare) ancora su terra bagnata e noce. Ogni sentore è composto, educato, nulla di urlato ma suggerito quasi come stimolo all’immaginazione e alla memoria, disteso sopra un sorso pulito, la cui acidità e sapidità non stanca il palato, mantenuto vivo e nervoso. Come la diafana e ambigua Proserpina di Rossetti ritorna alla luce dopo i sei mesi trascorsi agli Inferi, così dopo oltre sei anni il vin jaune ci ammalia del suo fascino metafisico, manifestazione concreta di realtà sfumate, sottilmente evanescenti, scavate nelle visioni chiaroscurali affini a Marius Pictor e soavemente cullate dal raffinato lucore di Debussy. Il tutto è sempre qualcosa in più della somma delle sue parti.