Massimo Pennacchini e gli Idoli. Una storia più attuale che mai.
Ho sempre detto che Dio è un’invenzione dell’uomo, qualcosa di utilitaristico, una toppa sulla nostra fragilità…”
(Fabrizio De Andrè)
Miti, idoli, storia, leggenda e pittura. E’ l’ultimo e più recente degli approdi di Massimo Pennacchini, pittore ed artista dalle radici ben affondate nel contemporaneo e nello studio della classicità. Roma e la sua ricchissima storia millenaria lo aiutano fornendogli materiale su cui agire nel suo ultimo intento, quello di omaggiare con garbo compositivo, intelligenza creativa e ironia sottile le divinità antiche, senza per questo spingersi a discuterne l’essenza, ma ricordando quanto l’uomo abbia avuto bisogno, e ne ha sempre, di agganciare i suoi pensieri alla presenza del divino, che finisce per diventare prevalentemente idolo e moltiplicare la sua immagine per mano degli stessi uomini, come accade per quello che da un bel po’ si chiamano “icone pop”. A guardare le sue opere dedicate agli Idoli non si rimane solo piacevolmente colpiti dalla disinvoltura delle sue operazioni artistiche, che agghindano e fortificano immagini di divinità, condottieri, imperatori e grandi figure della storia. Si ripassa mentalmente quanto appreso fantasticando dai banchi di scuole. E allora la sua interpretazione della bella divinità chiamata Flora diventa ancor più popolare e gradevole, più attuale e ficcante di quanto non lo sia stato per chi la adorava ai tempi della antica Roma. Tra i Flàmini minori (sacerdoti addetti al culto di una divinità) il Flàmine floreale deve aver riscosso un discreto successo, fortificato dagli Arvali, il collegio sacerdotale di origine patrizia che invocava anche Flora nelle cerimonie. Flora è nome storpiato per pronuncia, per i greci era Clori.
Era la divinità della fioritura dei cereali e di tutte quelle piante che danno cibo o bevande all’uomo. Il tempo ne fortificò l’immagine di divinità della primavera. Attualizzando il mito, attrezzando la divinità con le policromie dei suoi fiori e della sua tavolozza gradevole e fermamente contemporanea, Pennacchini irrobustisce il concetto di popolarità di una immagine e rende automatica la curiosità dell’indagare sul soggetto rappresentato, ripropone le sue figure in una chiave attuale e figlia delle precedenti esperienze di artista, incuriosisce e conquista. Ma non è la sola, Flora, a cadere nella rete di un pittore catalizzatore e vivace come Pennacchini. Lo sono e lo saranno quegli idoli che hanno percorso millenni di storia nella loro integrità fornitaci dalle immagini dei musei, dai libri di storia e dal fascinoso mondo dell’immagine. Èikon, dicevano i greci. Icona come immagine, come rappresentazione dell’invisibile quanto estremamente popolare e adorato. E così anche le grandi opere del passato, popolari quanto difficilmente viste da vicino, prendono la via delle elaborazioni felici di Pennacchini. In questo, è un artista che si distacca dalla ricerca, a volte ridondante oltremodo, di chi ha elaborato opere dedicate agli idoli attuali, lasciandosi prendere troppo dalla furiosa contemporaneità. L’artista romano cerca di riportare in auge figure largamente più note in tempi lontani o lontanissimi, quando internet non poteva neppure essere immaginato e la tradizione orale o scritta affiancava il lavoro degli scultori e degli artisti a cui era assegnato il compito di eternare una figura attraverso la sua immagine. Modernità ragionata e colta, quella di Pennacchini, figlia di un percorso ricchissimo di esperienze internazionali.
Parente stretta di esperienze in passato dedicate alla sensualità del tango (in Argentina il successo delle sue opere fu enorme) che lo portò ad essere definito “Il pittore del tango”. O di ricerche importantissime, come quando gli fu assegnato il compito di rappresentare l’Italia in Cina per celebrare il Cammino di Marco Polo (2011). Oppure derivata dal tempo in cui fu scelto per rappresentare la cultura italiana negli aeroporti del mondo. E così Fiumicino, Malpensa, il JFK di New York videro le sue opere decorare le sale frequentate da milioni di persone incuriosite. Un cammino mai domo, ricco di innovazione e sfide affrontate in giro ovunque e senza tregue, con la consapevolezza di misurarsi in avventure sempre nuove e la certezza di poter dire la propria sfoderando le armi di una profonda conoscenza tecnica e della ispirazione guidata da studi severi. Non è certo uno che guarda alla consacrazione del successo come ad un approdo. Pennacchini prende ognuna delle sue tappe come uno stimolo, un invito a fare meglio. Il suo è, nel senso più profondo del termine, un reale work in progress. Ci aspettiamo nuove idee, nuove e ancor più ricche apposizioni di colore e vitalità. Dopo aver reso giustizia alle impolverate divinità dei romani, alle arrugginite corazze dei condottieri, chissà cosa altro ci riserva Massimo Pennacchini. Disinvolto e coerente artista dalla ricerca incessante.
Giorgio Barassi
(Fabrizio De Andrè)
Miti, idoli, storia, leggenda e pittura. E’ l’ultimo e più recente degli approdi di Massimo Pennacchini, pittore ed artista dalle radici ben affondate nel contemporaneo e nello studio della classicità. Roma e la sua ricchissima storia millenaria lo aiutano fornendogli materiale su cui agire nel suo ultimo intento, quello di omaggiare con garbo compositivo, intelligenza creativa e ironia sottile le divinità antiche, senza per questo spingersi a discuterne l’essenza, ma ricordando quanto l’uomo abbia avuto bisogno, e ne ha sempre, di agganciare i suoi pensieri alla presenza del divino, che finisce per diventare prevalentemente idolo e moltiplicare la sua immagine per mano degli stessi uomini, come accade per quello che da un bel po’ si chiamano “icone pop”. A guardare le sue opere dedicate agli Idoli non si rimane solo piacevolmente colpiti dalla disinvoltura delle sue operazioni artistiche, che agghindano e fortificano immagini di divinità, condottieri, imperatori e grandi figure della storia. Si ripassa mentalmente quanto appreso fantasticando dai banchi di scuole. E allora la sua interpretazione della bella divinità chiamata Flora diventa ancor più popolare e gradevole, più attuale e ficcante di quanto non lo sia stato per chi la adorava ai tempi della antica Roma. Tra i Flàmini minori (sacerdoti addetti al culto di una divinità) il Flàmine floreale deve aver riscosso un discreto successo, fortificato dagli Arvali, il collegio sacerdotale di origine patrizia che invocava anche Flora nelle cerimonie. Flora è nome storpiato per pronuncia, per i greci era Clori.
Era la divinità della fioritura dei cereali e di tutte quelle piante che danno cibo o bevande all’uomo. Il tempo ne fortificò l’immagine di divinità della primavera. Attualizzando il mito, attrezzando la divinità con le policromie dei suoi fiori e della sua tavolozza gradevole e fermamente contemporanea, Pennacchini irrobustisce il concetto di popolarità di una immagine e rende automatica la curiosità dell’indagare sul soggetto rappresentato, ripropone le sue figure in una chiave attuale e figlia delle precedenti esperienze di artista, incuriosisce e conquista. Ma non è la sola, Flora, a cadere nella rete di un pittore catalizzatore e vivace come Pennacchini. Lo sono e lo saranno quegli idoli che hanno percorso millenni di storia nella loro integrità fornitaci dalle immagini dei musei, dai libri di storia e dal fascinoso mondo dell’immagine. Èikon, dicevano i greci. Icona come immagine, come rappresentazione dell’invisibile quanto estremamente popolare e adorato. E così anche le grandi opere del passato, popolari quanto difficilmente viste da vicino, prendono la via delle elaborazioni felici di Pennacchini. In questo, è un artista che si distacca dalla ricerca, a volte ridondante oltremodo, di chi ha elaborato opere dedicate agli idoli attuali, lasciandosi prendere troppo dalla furiosa contemporaneità. L’artista romano cerca di riportare in auge figure largamente più note in tempi lontani o lontanissimi, quando internet non poteva neppure essere immaginato e la tradizione orale o scritta affiancava il lavoro degli scultori e degli artisti a cui era assegnato il compito di eternare una figura attraverso la sua immagine. Modernità ragionata e colta, quella di Pennacchini, figlia di un percorso ricchissimo di esperienze internazionali.
Parente stretta di esperienze in passato dedicate alla sensualità del tango (in Argentina il successo delle sue opere fu enorme) che lo portò ad essere definito “Il pittore del tango”. O di ricerche importantissime, come quando gli fu assegnato il compito di rappresentare l’Italia in Cina per celebrare il Cammino di Marco Polo (2011). Oppure derivata dal tempo in cui fu scelto per rappresentare la cultura italiana negli aeroporti del mondo. E così Fiumicino, Malpensa, il JFK di New York videro le sue opere decorare le sale frequentate da milioni di persone incuriosite. Un cammino mai domo, ricco di innovazione e sfide affrontate in giro ovunque e senza tregue, con la consapevolezza di misurarsi in avventure sempre nuove e la certezza di poter dire la propria sfoderando le armi di una profonda conoscenza tecnica e della ispirazione guidata da studi severi. Non è certo uno che guarda alla consacrazione del successo come ad un approdo. Pennacchini prende ognuna delle sue tappe come uno stimolo, un invito a fare meglio. Il suo è, nel senso più profondo del termine, un reale work in progress. Ci aspettiamo nuove idee, nuove e ancor più ricche apposizioni di colore e vitalità. Dopo aver reso giustizia alle impolverate divinità dei romani, alle arrugginite corazze dei condottieri, chissà cosa altro ci riserva Massimo Pennacchini. Disinvolto e coerente artista dalla ricerca incessante.
Giorgio Barassi