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Milano. Da romantica a scapigliata.

Novara, Castello Visconteo Sforzesco.
22 ottobre 2022 - 12 marzo 2023.

A cura di Silvana Gatti.

A Novara l’autunno si apre con una ricca mostra, “Milano. Da romantica a scapigliata”, ideata e prodotta da Comune di Novara, Fondazione Castello e Mets Percorsi d’Arte, che documenta, attraverso circa settanta capolavori, i cambiamenti avvenuti nel capoluogo lombardo tra gli anni dieci e i primi anni ottanta dell’Ottocento. Periodo che ha visto la caduta del Regno napoleonico d’Italia, la costituzione del Regno Lombardo Veneto e la seconda dominazione austriaca, le prime rivolte popolari e le guerre d’indipendenza che nel 1859 portarono alla liberazione.
Il percorso espositivo, ideato dalla curatrice Elisabetta Chiodini coadiuvata da un Comitato scientifico di cui fanno parte Niccolò D’Agati, Fernando Mazzocca, Sergio Rebora, si snoda in otto sezioni attraverso le sontuose sale del Castello Visconteo Sforzesco di Novara. Il visitatore viene carpito dalle opere che segnano l’evoluzione della pittura lombarda dal Romanticismo alla Scapigliatura, movimento culturale nato a Milano negli anni sessanta dell’Ottocento che coinvolgeva poeti, letterati, musicisti, artisti, uniti dall’insofferenza nei confronti delle convenzioni della società e della cultura borghese.
Milano, durante il regno di Maria Teresa d’Asburgo, dal 1740 al 1790, aveva iniziato ad arricchirsi dal lato monumentale e urbanistico, proseguendo negli anni della Repubblica Cisalpina, del Regno d’Italia, della Restaurazione e del Risorgimento, sino a rivestire i panni di una città moderna. La città continuò a rinnovarsi anche in seguito, con la costruzione della Stazione Centrale, inaugurata nel 1864 dal Re d’Italia Vittorio Emanuele II, la demolizione del Coperto dei Figini, palazzo rinascimentale in Piazza Duomo (1864) al fine di ampliare la piazza e costruire la Galleria Vittorio Emanuele (1865) e l’ideazione della Piazza del Teatro, nel 1865 battezzata Piazza della Scala. Nell’ottobre del 1875, in occasione della visita dell’imperatore tedesco Guglielmo I, fu demolito il Rebecchino, rione quasi in mezzo a piazza Duomo, frequentato dalla malavita cittadina. Una città culturalmente assai vivace, frequentata da viaggiatori stranieri e abitata da un facoltoso ceto borghese, in contrasto con gran parte della popolazione che viveva in povertà.

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Il visitatore della mostra viene accolto da due capolavori ispirati a opere letterarie di grande successo popolare: I Lambertazzi e i Geremei di Defendente Sacchi (1796-1840) e Paul et Virginie di Jaques-Henri Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814). Di Francesco Hayez (1791-1882) è l’Imelda de Lambertazzi eseguita nel 1853 per il collezionista monzese Giovanni Masciaga. Storia di amore e morte ambientata nella Bologna delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, la tragica vicenda di Imelda e di Bonifacio era stata oggetto di opere poetiche e Hayez aveva affrontato il soggetto già negli anni venti. Nel secolo XIII le due famiglie dei Lambertazzi e de’ Geremei riempirono Bologna di scandali. Nella famiglia dei Lambertazzi una figliuola di nome Imelda metteva un po’ d’amore fra i litigi frequenti tra le due famiglie, ed il suo cuore batteva per Bonifacio de’ Geremei. Hayez raffigura i due giovani nel momento in cui Bonifacio tenta di persuadere Imelda alla fuga. La giovane innamorata guarda smarrita Bonifacio, svelando l’emozione per via delle membra trepidanti, mentre il giovane dallo sguardo fisso attende una risposta. Nel buio, sulla destra, dietro il ricco tendaggio si intravedono i fratelli della giovane che nella camera attigua stanno in agguato.
Di Alessandro Puttinati (1801-1872) è la scultura in marmo Paolo e Virginia eseguita su commissione del conte Giulio Litta. Capolavoro della scultura romantica, fino al recente ritrovamento era conosciuta solo attraverso l’incisione di Giuseppe Guzzi pubblicata nel 1845 ne le Gemme d’arti Italiane. La scultura raffigura Paolo e Virginia (Paul et Virginie), protagonisti dell’omonimo romanzo scritto dal francese Jacques-Henri Bernardin de Saint-Pierre e pubblicato nel 1787. I due, amici d’infanzia, si innamorano ma dopo mille peripezie muoiono tristemente: Virginia nel naufragio del vascello Saint-Géran, Paolo poco dopo a causa del dispiacere. L’amore devoto di lui, inchinato di fronte all’amata, e la premura di lei che gli cinge il collo quasi a proteggerlo, unitamente al gesto tenero dello sfiorare la chioma riccioluta rispecchiano un sentimento di complicità dei due amanti da commuovere il fruitore.

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La prima sezione della mostra è dedicata alla “pittura urbana”, termine coniato nel 1829 da Defendente Sacchi per definire il nuovo genere di veduta prospettica elaborato tra il secondo e terzo decennio dell’Ottocento da Giovanni Migliara (1785-1837). I dipinti di Migliara documentano l’evoluzione del paesaggio urbano in epoca romantica, come la Veduta di Piazza del Duomo in Milano, 1828, dalla Collezione di Fondazione Cariplo e la Veduta dell’interno del I.R. Palazzo del Governo, del 1834. Dipinti ricchi di particolari, che descrivono l’atmosfera milanese dell’epoca, attraverso l’abbigliamento dei passanti ed il passaggio dei cavalli guidati dai cavalieri vestiti elegantemente e con il pittoresco cilindro in testa, in contrasto con i personaggi più poveri. Seguono opere di Giuseppe Elena (1801-1867) come Veduta di piazza della Vetra in Milano, 1833, dalla Collezione di Fondazione Cariplo e di Luigi Premazzi (1814-1891), nonché di Luigi Bisi (1814-1886).
Esposte inoltre opere di Giuseppe Canella (1788-1847), che prediligeva la prospettiva aerea come in Veduta del canale Naviglio presa sul ponte di San Marco, 1834, dalla Collezione di Fondazione Cariplo, e Veduta della corsia de’ Servi in Milano, 1833. Angelo Inganni (1807-1880) è presente in mostra con La veduta di Piazza del Duomo con il coperto dei Figini, eseguito nel 1839 per l’imperatore Ferdinando I d’Austria, e La colonna di San Martiniano al Verziere con neve cadente, del 1845. Opere che immergono il visitatore in un viaggio d’altri tempi.
La mostra prosegue con dipinti raffiguranti i protagonisti della storia milanese. Sono esposti “ritratti ambientati” e scene di genere eseguiti da Giuseppe Molteni (1800-1867). Considerato il “principe dei restauratori” del suo tempo è intervenuto su opere dei musei milanesi (dallo Sposalizio della Vergine di Raffaello ai dipinti di Mantegna), ma anche della National Gallery di Londra. I suoi ritratti erano richiesti da regnanti, aristocratici, artisti e intellettuali. Il percorso prosegue con opere di Francesco Hayez, rinnovatore non solo del genere storico ma anche del ritratto, al quale Molteni aveva lanciato una sfida nel campo della ritrattistica. Tra le opere in mostra dei due pittori: il Ritratto di Alessandro Manzoni di Molteni, in cui lo scrittore viene colto in un’espressione molto intensa e dinamica, ed il Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili con il figlio Giuseppe, uno dei vertici della ritrattistica di Hayez.
Seguono lavori di Carlo Arienti (1801-1873) con il Ritratto del conte Carlo Alfonso Schiaffinati in abito da cacciatore (1834) e di Giovanni Carnovali, soprannominato il Piccio (1804-1874) per via della sua bassa statura, artista impegnato in una ricerca sulle potenzialità espressive del colore. Nei suoi ritratti la ricerca psicologica si affianca all’espressività pittorica resa con sottili impasti coloristici e mezze luci, al fine di rendere una delicata atmosfera all’insieme dell’opera. Presenti anche Domenico (1815-1878) e Gerolamo Induno (1825-1890), artisti di indole assai diversa, ma entrambi narratori del proprio tempo, raccontato attraverso la storia degli umili, in questa sala rappresentati rispettivamente da L’offerta, presentata a Brera nel 1846, e da Scioperatella, del 1851.

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La terza sezione è dedicata alle Cinque giornate di Milano e agli episodi che nel marzo del 1848 portarono alla temporanea liberazione di Milano dalla dominazione austriaca. Tra gli autori si ricordano Carlo Bossoli (1815-1884), vedutista di origine ticinese, ma vissuto e formatosi a Odessa. Bossoli si stabilì a Milano nel 1843 - e raggiunse fama internazionale attraverso dipinti rievocativi delle guerre d’indipendenza, come Carlo Alberto al balcone di Palazzo Greppi, dal Museo del Risorgimento di Milano; Carlo Canella (1800-1879), fratello di Giuseppe, con Porta Tosa in Milano (il 22 marzo 1848), 1848-1850, dalla Collezione Intesa Sanpaolo e ancora Baldassare Verazzi (1819-1886), presente in mostra con Episodio delle cinque giornate, Combattimento presso Palazzo Litta, dal Museo del Risorgimento di Milano.
La rassegna prosegue con le opere dei fratelli milanesi Domenico e Gerolamo Induno, pittori apprezzati sia dalla critica che dal pubblico dell’epoca, grazie alla raffinatezza con la quale ogni particolare era raffigurato sulle loro tele. Una selezione delle loro opere raffigura gli umili interni domestici della gente comune della Milano di quegli anni, e documenta il loro vivere quotidiano, i drammi e le difficoltà di quei tempi difficili, le loro piccole gioie. Tra questi Pane e lacrime, di Domenico Induno. Interessante anche l’opera del fratello Gerolamo, La fidanzata del garibaldino, sul cui sfondo compare un busto di Garibaldi mentre sul muro poco più in alto è appesa una riproduzione del noto bacio di Hayez. Il dipinto colpisce per il realismo della scena, e documenta come nel 1862 il bacio di Hayez fosse già famoso e riprodotto in serie, se lo troviamo appeso come decorazione in questa povera stanza. Oppure trattasi di un omaggio dell’Induno al grande Hayez.
Nella quinta sezione, esposti alcuni dipinti di autori protagonisti del rinnovamento del linguaggio pittorico: Eleuterio Pagliano (1826-1903) con Il libro di preghiere, 1857-1858 e Giuseppe Bertini (1825-1898), con Ofelia, 1860-1870, entrambi dai Musei Civici di Varese; Piccio, presente con il Ritratto di Gina Caccia, del 1862, Federico Faruffini (1833-1869), con lo splendido olio Toletta antica, 1865 circa, insieme a Pagliano tra i primi artisti lombardi a rinnovare la propria pittura sulle ricerche più avanzate di quella napoletana, incentrate sul colore e sulla luce, tendenze avvicinate da Faruffini alla metà degli anni cinquanta nel corso di un soggiorno romano durante il quale il pittore conosce e frequenta Domenico Morelli (1823-1901), Bernardo Celentano (1835-1863) e Saverio Altamura (1822-1897).
E ancora il milanese Filippo Carcano (1840-1914), allievo di Hayez, impegnato nell’elaborazione di un nuovo linguaggio che potesse risultare idoneo a comunicare in senso moderno il “vero” come nel magnifico Giardino con effetto di sole, 1867-1868 circa.

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Mentre la ricerca pittorica effettuata durante gli anni sessanta da Filippo Carcano non era apprezzata dai critici che definivano la sua arte “una pittura filacciosa, senza contorni di sorta, quasi senza piani e senza prospettiva”, altri giovani artisti seguivano la sua impronta; lo documentano i dipinti di Giuseppe Barbaglia (1841-1910), di Vespasiano Bignami (1841-1929) con il Viale delle balie o Nei vecchi giardini, 1877, dalla Collezione del Banco BPM e di Mosè Bianchi (1840-1904) con scene di vita quotidiana. Opere di artisti che si allontanano dalla tradizione accademica ricercando uno stile più moderno.
Si prosegue con opere dipinte nel corso dei secondi anni sessanta da Tranquillo Cremona (1837-1878) e Daniele Ranzoni (1843-1889), prima dell’elaborazione del linguaggio scapigliato tipico della loro maturità artistica; tra queste di Cremona sono esposte Amaro calice, 1865, dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, il Ritratto di Alberto Pisani Dossi, 1867, dalla Casa Museo Pisani Dossi di Corbetta e il Ritratto di Nicola Massa Gazzino, 1867-1869 circa, dai Musei Civici di Pavia. Di Ranzoni il Ritratto della sorella Virginia, 1863-1864 circa, dalla Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni di Novara e il Ritratto di donna Maria Padulli in Greppi, 1869 circa.
Sono gli anni in cui nasce il movimento della Scapigliatura, movimento di contestazione anti-borghese nato a Milano, centro della trasformazione industriale. Il termine Scapigliatura viene usato per la prima volta da Cletto Arrighi nel suo romanzo “La Scapigliatura e il 6 febbraio”, in cui racconta di uomini ribelli e disordinati, scontenti della situazione politica e sociale del periodo. L’ultima sezione accoglie alcuni capolavori scapigliati eseguiti dalla metà degli anni settanta ai primi anni ottanta. Tra questi Melodia e In ascolto, tele eseguite da Cremona tra il 1874 e il 1878 su commissione dell’industriale Andrea Ponti, Visita al collegio, ancora di Cremona, riferibile al biennio 1877-1878, e alcuni ritratti eseguiti da Ranzoni, quali il Ritratto della signora Luigia Pisani Dossi, esposto a Brera nel 1880, lo splendido Giovinetta inglese, 1886 circa e Ritratto di Antonietta Tzikos di Saint Leger.

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Tra questi dipinti, La giovinetta inglese spicca per raffinatezza. È stato dipinto in un periodo travagliato per il pittore, al rientro dal suo viaggio in Inghilterra, allorché in preda ad una forte depressione venne rinchiuso per qualche giorno nel manicomio di Novara. Questo non pregiudicava la sua produzione, portandolo alla ricerca introspettiva dei soggetti dipinti. Ranzoni, come gli altri pittori scapigliati, non è interessato al ritratto fotografico, bensì alla resa psicologica del soggetto, come si evince da questo dipinto di ragazza il cui movimento delle mani denota una sensazione di incertezza e di malinconia.
Una mostra da non perdere, affascinante viaggio nella Milano dell’Ottocento attraverso opere indimenticabili degli artisti più noti e molte altre di grande qualità di artisti considerati minori ma da riscoprire, realizzate in un periodo di vivace transizione, dal Romanticismo alla Scapigliatura, che ha segnato la storia dell’arte milanese e lombarda.