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Nel segno della Musa

Le interviste di Marilena Spataro
“Ritratti d’artista”
Maestri del ‘900
Rabarama, artista italiana nota a un pubblico, anche internazionale, per le sue suggestive figure scultoree d'androgino, ci racconta la sua esperienza in un mondo, come quello della scultura, ancora dominato dal maschile. E ci confida timori e speranze sui progetti futuri che la vedono impegnata in una ricerca stilistica ed espressiva che indaga il rapporto tra spirito e materia.
Rabarama, come e quando nasce il suo incontro con l'arte, in particolare con la scultura?
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«Credo che la necessità di esprimermi tramite la scultura sia sempre stata nel mio DNA, trasmessami dai miei genitori. Mio padre, infatti, è un pittore e scultore noto, mentre mia madre è ceramista. Il poter, sin da piccola, approcciarmi a vari tipi di espressione artistica mi ha permesso di sperimentare e scegliere autonomamente quale fosse quello che meglio esprimeva il mio essere e che sarebbe poi divenuto il mio percorso di vita. La conferma della mia vocazione l’ho avuta a soli 9 anni, partecipando alla mia prima esposizione d’arte a Verona».
Lei è nota soprattutto per le sue figure androgine, ed è tra le poche scultrici italiane della contemporaneità affermatesi a livello internazionale. Come è andata, com'è che ce l'ha fatta?
«Credendo fortemente in quello che sono e che amo fare, studiando per apprendere le basi da cui sviluppare il mio personale linguaggio ed ovviamente lavorando sodo. L’esigenza di comunicare tramite la scultura era ed è per me imprescindibile. Inoltre, nel mio percorso ho avuto anche la fortuna di trovare persone che hanno creduto in me e nel mio messaggio, fino all’incontro con la galleria con la quale ho sottoscritto il mio primo contratto di esclusiva per e- sporre in Italia e all’estero. Ritengo fondamentale mantenere umiltà e professionalità durante tutto il percorso, per non perdere di vista quali sono i propri valori e ciò che mi ha permesso di raggiungere i miei obiettivi».
Qual è la visione che emerge dalle sue sculture, in particolare del femminile?
«Laddove utilizzo il corpo femminile nei miei lavori credo sia possibile individuare armonia nelle forme, forza ed energia positiva».
Quali sono i suoi canoni estetici di riferimento. E quali i moventi artistici da cui nascono le sue “donne”?
«Come riferimento ho due artisti la cui ricerca è stata per me emotivamente molto coinvolgente ed hanno lasciato un segno intenso nel mio lavoro: nella pittura, Lucian Freud, mentre per quanto riguarda la scultura, Louise Bourgeois. Entrambi mi turbano emotivamente, coinvolgendomi ad un livello profondo, ed ispirano il mio lavoro, nel quale metto sempre una parte di me stessa, spesso la più intima che non riuscirei altrimenti a comunicare al mondo».
Quali i materiali che predilige per queste sue figure?
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«Principalmente la terracotta semi refrattaria, a cui sono legata in maniera particolare e con la quale realizzo i prototipi, da cui poi vengono ricavati gli esemplari in bronzo ed a volte originali in marmo. Nel tempo, ho inoltre sperimentato anche altri materiali, tra cui gomma e resina, ferro, legno, ed addirittura metalli preziosi per creazioni di gioielleria. Ogni materiale ha la sua nobiltà se in esso viene trasmesso senza filtri il concetto originale dell’artista».
Anni fa ha affermato: "L’arte nella contemporaneità non è più sempre fedele allo studio delle proporzioni e dell’armonia come in passato". Cosa intendeva dire?
«Un tempo si seguivano dei canoni estetici precisi, cercando di imitare la realtà. Con il contemporaneo, invece, questo limite viene a mancare e si può dare importanza ad un elemento fisico piuttosto che ad un altro per dare maggiore enfasi a quel particolare dettaglio e rafforzare dunque il messaggio che l’artista vuole trasmettere. Ad esempio, io realizzo nelle mie figure mani e piedi con una dimensione maggiorata rispetto ai canoni classici, e la ragione potrebbe essere fatta risalire alla ricerca di effetto ed equilibrio».
Secondo lei, perché nella storia dell’arte la scultura si declina quasi esclusivamente al maschile?
«Perché tendenzialmente è un lavoro faticoso, si ha a che fare con materiali e pesi importanti da gestire. Partendo dal materiale grezzo e informe, il pensiero creativo viene trasformato in opera d’arte attraverso l’ausilio della forza manuale».
Pensa che oggi il mondo femminile da soggetto passivo di rappresentazione artistica, come quasi sempre avveniva in passato, possa trasformarsi in soggetto attivo, capace di portare il suo contributo di creatività nel mondo delle arti figurative?
«Anche in passato ci sono state importanti donne artiste, ma a causa della condizione sociale in cui versavano, e che ancora oggi molte subiscono, non gli era concesso lo spazio ed il riconoscimento che meritavano. Le donne hanno una creatività differente rispetto all’uomo, siamo creatici di vita, e questo sicuramente non può essere escluso dal panorama artistico».
Ultimamente Rabarama sembra essersi resa meno visibile. Una scelta esistenziale, un momento di riflessione o un sopito interesse a stare sotto i riflettori del mondo dell'arte contemporanea?
«Attualmente sto rifondando su delle basi differenti il mio lavoro, che gestisco da ora in completa autonomia (infatti non ho rapporti di esclusiva con nessuna galleria), e questa scelta mi sta rendendo una persona più forte e completa. È un momento di ripresa di coscienza di me che preferisco in parte tenere privato, ma che sicuramente si riflette nel mio lavoro».
Cosa ne pensa delle arti visive di oggi. Le tecnologie che avanzano possono essere utili a sollecitare la creatività artistica o invece, come reputano molti suoi colleghi e maestri del 900, rischiano di diventare strumenti di appiattimento e massificazione dell'arte?
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«Si tratta a mio parere di una generazione nuova che utilizza mezzi differenti. Io nasco dalla scultura classica, ma nel mio percorso ho fatto tentativi di interazione con le nuove tecnologie, per arrivare anche a dei risultati differenti. Tempo fa ho collaborato per un progetto legato mapping 3d su una mia opera, per “darle vita” in un certo senso, mantenendo quel- lo che è il mio personale linguaggio artistico. Il mio cuore comunque rimane nella materia. A mio parere non vi è massificazione, ma un ampliamento dei mezzi che permettono agli artisti di tradurre il proprio pensiero nei più svariati modi».
A cosa sta lavorando in questo periodo?
«Espressione della libertà individuale, su una base di consapevolezza dell’essere, introducendo anche nuove simbologie. La base della mia ricerca è sempre l’essere umano, ma cerco di scavare sempre più a fondo, per sradicare limiti e paure e permettere alla luce interiore di fuoriuscire».
Quali i suoi progetti futuri e i suoi sogni?
«Rimane sempre il desiderio di trasferirmi definitivamente e poter lavorare con maggior continuità all’estero. L’Italia è un paese bellissimo, ricco di arte, ma troppo complicato per chi vuole vivere di questo. È purtroppo chiuso alle nuove iniziative; all’estero c’è più apertura mentale e fame di idee, voglia di creare, conoscere e supportare, anche investendo».