Stampa questa pagina

Nicola Morea: flow art

a cura di Giorgio Barassi
Di solito l’istinto ti dice quel che devi fare
molto prima di quanto occorra
alla tua mente per capirlo.
(Edmund Burke)
morea4











Capiamoci subito: nella storia di Nicola Morea non è solo l’istinto a farla da protagonista. Né sarebbe giusto riferire solamente del suo approdo alla Flow Art. Il suo è un percorso complesso, che viaggia appaiato ad epoche e sconvolgimenti sociali, figlio di una gran dose di ricerca e di continui richiami al colore inteso come essenza primaria, imprescindibile. Da quando si è cominciata a conoscere la consistenza del pensiero Flow (perché non si può parlarne solo a proposito di pittura) sono passati alcuni anni, ma la pienezza di quel modo si esprimersi è stata colta da Morea in maniera puntuale, e le variazioni sul tema si sono dipanate in mille esperimenti, soluzioni, concetti che hanno animato la sua ultima produzione.
morea1











La presenza di Morea nella pittura ha attraversato fasi importanti, dalle quali emerge una forte adesione al concetto di colore protagonista, ma la sua reale attitudine è quella di confrontare la propria creatività con più piani di visione, partendo da intuizioni raffinate quanto istintive per poi perfezionarne la direzione. Non è un mistero il fatto che nella sua formazione umana abbia contato il calcio, sissignori. L’arte pedatoria, per quelli che hanno portato l’istinto fanciullesco delle partitelle nei campi polverosi fino ad un certo professionismo, come è stato per Morea, ha svelato, in molti casi, la reale condizione del temperamento e permesso, con gli allenamenti e l’applicazione, un miglioramento.
Di fatto, però, ogni calciatore “nasce” per un ruolo, vi è sospinto da condizioni diverse, anche caratteriali. Perciò Morea, centrocampista dai piedi buoni, ha nel sangue quella condizione necessaria per fabbricare il gioco, conosce limiti e dotazione dei compagni di squadra e può dominare l’istinto in nome di un lancio illuminante, di una sterzata imprevedibile, di un movimento che invita a seguirlo. Nondimeno tiene alla spettacolarità e sa che chi guarda ha tutti i diritti di reclamare quanto il dovere di applaudire alla giusta giocata. Perciò la stesura, che a molti pare casuale, dei colori sula tela posta in orizzontale, segue una direzione imposta dalla abilità dell’artista, che non ha i mezzi convenzionali per esprimersi, ma orienta quei flussi (flow in inglese vuol dire proprio “flusso”) di tinte in ragione del proprio istinto espressivo, miscelando la scelta ragionata ad una ampia libertà espressiva.
morea2











Così ampia da invadere la tela ed i suoi lati esterni. Così adattabile da aver avuto applicazione su formati ridotti e grandi dimensioni con la medesima efficacia. Una soluzione ardua e fantasiosa. Come quella che il calciatore con ottima tecnica trova per mettere il compagno di squadra nelle condizioni migliori per concludere. Il pensiero di Nicola Morea è allineato a quello del filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman, che per primo ci ha parlato di società liquida e solida, della dannazione di essere diventati da produttori semplici consumatori, di rischi della globalizzazione ed industria della paura. Bauman ci ha parlato di una società consumistica superata dalle sue stesse invenzioni, non più in grado di controllare ed amministrare quanto produce, ma solo in grado di praticare un triste usa-e-getta. In ciò, l’efficacia della pittura di Morea è esemplare, perché quelle ondate di colore, che paiono indisciplinatamente sistemate sulla tela, raffigurano filosoficamente una entità di informazioni e dati talmente enorme da rischiare di travolgerci. E così, amaramente è stato. Ma la pittura, per Morea, è narrazione, è istinto e ragionamento profondo. E perciò il risultato è decisamente notevole. Perché seppur legato a principi filosofici così drammaticamente intensi, la bellezza dell’opera rimane e la fa da padrone. Perché in Morea la tendenza alla espressione è un dovere uguale a quello del mostrare contenuti raffinati, mai ovvi. Riesce a farlo nelle campiture monocrome come nella associazione tra colori apparentemente diseguali per efficacia, lo fa nella misura più contenuta e negli ampi formati.
morea3











Perciò il suo pensiero, la sua unità concettuale è sempre un richiamo, un’esca, in invito al pensiero di chi osserva. E quel pensiero diventa spesso liberatorio e liberante, perché nella ampiezza del suo dipingere è contenuta quella che nel football chiamano “visione di gioco”. Morea legge noi, la società, i fatti della storia. E tutto diventa un allegro magma di tinte dalla sorprendente efficacia. Nello scrivere di Nicola Morea oggi, sfugge il Morea di ieri, quello delle esperienze figurative e poi pop, quello di una fortunata mostra negli Stati Uniti e di mille altre avventure, eventi, grandi mostre ovunque ci sia stato un pubblico accorto. Operazioni artistiche di tutto rispetto. Ma Morea sa bene che il suo pensiero, in pittura, è come un lancio di trenta metri verso una zona del campo in cui pare che nessuno arrivi. Pare. Perché chi sa seguirlo sa altrettanto bene dove deve andare a correre. È così che si manifestano i campioni.