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Piero MASIA. Senza perdere il ritmo

di Giorgio Barassi
“I musicisti migliori non sono quelli che suonano al meglio,
ma quelli che ascoltano di più.”

Pat Metheny

Sono passati gli anni, ma la voglia di suonare è la stessa di quando suonava coi Mah, il gruppo (allora si chiamavano “complessi”) col quale ha girato la Sardegna, terra natia, e l’Italia riscuotendo il successo dovuto a quei giovani che sapevano far divertire altri giovani. E, per aggiungere e precisare, la voglia di suonare e dipingere è sempre quella, nel continuo tentativo di migliorarsi, senza un limite. Perché per gli artisti che hanno veramente deciso di seguire i propri sogni non può esistere un limite. Per Piero Masia la scoperta del nuovo ritmo, dell’assolo da sfilare come un asso dalla manica, è una regola fissa. Vale per la pittura e per la musica, indubbiamente due amori seguiti con passione e determinazione dai pantaloni corti in poi. Se sia stata l’una a sopravanzare l’altra non è dato saperlo, né cambierebbe le cose, perché la costanza e la continua ricerca sono due delle doti del pittore che vive da sempre in Piemonte, dove ha portato il suo cuore di sardo autentico e allegramente determinato. I colori della campagna attorno ad Ossi sono stati sostituiti dalle brume e dagli autunni piemontesi, ricchi di vigneti floridi, allineati in ordine antico, ma il senso delle tinte e il risuonare dei turchese, dei gialli e dei verdi o rossi ficcanti e perfino insolenti delle sue opere, appartiene al suo recondito infantile, sanno di Sardegna e non mancano mai nella sua produzione ricca e vivace.
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Mettere in fila quel che ha prodotto è vicenda che prevederebbe lungaggini che non ci appartengono, ma una certa magia, un che di ancestrale e tradizionale si legge nei lavori di Masia più recenti come in quelli più datati. L’unità dei concetti risiede nelle cromie, nella scelta che può essere a volte insistente o fin troppo decisa, ma quel che conta, per la sua anima di musicista e per il talento del pittore, è l’armonia. Tale si legge nelle espressioni più strettamente figurative, evocatrici di atmosfere assolate o narratrici di vicende di campagna. Una specie di aria libera e franca che accoglie le sue opere in cui appaiono personaggi di un passato che talvolta si può leggere al presente: figure curve sotto il peso del lavoro dei campi, uomini dall’aria severa col loro carico di esperienza, frutta invasa da una luce sincera che pare pavoneggiarsi nei cesti o sui tavoli, paesaggi in cui la fantasia ha dettato a Piero le caratteristiche che diventano inconfondibili, come il sole ripetuto due volte nel dipinto (una doppia razione di energia vitale, un ottimismo mai scalfito). Potrebbe bastare.
Ma Masia fa emergere la sua vena da musicista e allora decide di cambiare qualcosa, come a cercare il tassello giusto che renda gradevole l’arrangiamento. E allora nascono i “Frammentati”, opere composte come la divisione delle tessere di un unico mosaico, elementi che potrebbero anche vivere anche da soli, a ben guardare. Ma neppure lì il musicista ha ceduto il passo al pittore.
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E allora, come quando le luci del palco si spengono per lasciare il campo ad un unico faro, il batterista Masia capisce che è tempo di assolo. Cominciano le “Trilogie”, sperimentazioni convincenti basate sui teoremi della astrazione piana, ma ricchissime di riconoscibilità e di citazioni, richiami alla vita, alla storia stessa degli uomini e della terra, riflessioni ordinarie rese in maniera straordinaria. In fondo, in un gruppo (che bello quando si chiamavano semplicemente “complesso” o al massimo “complesso vocale e strumentale”) chi porta il tempo è quel matto seminascosto dietro i tamburi, senza il quale nulla sarebbe possibile. Batte quattro, Piero, e arrivano i suoi informali strategicamente messi al paio delle altre esperienze, come a dirci che del ritmo della pittura sa molto, e molto ha appreso nelle lezioni assorbite con avidità. I suoi dipinti informali hanno le dissonanze del jazz, ma si presentano come opere che Masia esegue in piena, assoluta e fiera autonomia. Raccontano fiori, boschi, spazi aperti o sensazioni dell’anima in cui pare che l’artista si rifugi come quando si siede per sentire con un tocco se la pelle del rullante è ben tesa, se il pedale della cassa risponde ad ogni colpo.
È curioso, Masia. Osserva, guarda attorno e legge, interpreta, vede bene. Rispetta e tace, poi va in studio a voltare un’altra pagina della sua maniera di dipingere, perché quel che vede e sente servono a rinforzare la sua convinzione, la sua estraneità al conformismo ed all’appiattimento.
Che le due anime di Masia, quella del musicista e quella del pittore, convivano alla perfezione, è ormai chiaro. Anni di produzione in cui non si è mai partiti dal ritmo lento e la voglia di fare arrivava sempre più, inducendolo a migliorarsi ed a sperimentare senza risparmiarsi, fino all’ultimo colpo di pennello che ci piace immaginare sferrato come quello della bacchetta sul piatto più grande. Un finale rock che strappa applausi e prelude al brano successivo, al quadro seguente. E tutto senza mai perdere il ritmo, anzi, dettandolo. Piero non ha l’arroganza del pittore arrivato, né la spocchia di quello che può vantare mostre e partecipazioni importanti. Non si vanta neppure di aver organizzato, in tempi insospettabili, un gruppo di altri artisti di qualità per creare scambi artistici di valore mondiale. Per lui quelle sono tappe e il traguardo non è un problema ma uno stimolo.
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Appaiono infine, dopo le insistenze dei due di Laboratorio Acca, la trasmissione a cui Masia partecipa da protagonista da un bel pezzo, opere che risalgono più direttamente al corpus delle Trilogie, dinamici esperimenti messi su con l’istinto dell’astrattista e insieme la riconoscibilità della figura. Una sperimentazione matura che ha sempre il sapore della novità, della caccia al colore più adatto. Non un tertium genus, ma una prosecuzione aggiornata di quelle opere che nacquero nei primi anni ottanta, ispirate, per concetto e struttura narrativa, alla tragedia greca. Nulla nasce in maniera indipendente dal quadro successivo. La lucidità e la razionalità scandiscono il percorso. Cassa, rullante, cassa…avanti così. E così, anche, sono nate le opere che omaggiano i grandi della musica, della sua musica. James Brown, i Beatles, Tina Turner, i New Trolls, Battisti. Nel suo produrre c’è un abbraccio virtuale e grato a tutto quanto ha contribuito ad irrobustirlo e farne un artista.
Oggi Masia sforna opere che hanno sempre lo squillare di quei colori mai dimenticati, che sono agghindati alla maniera contemporanea, figli di vicende ultime. Perché è semplice immaginare che il musicista non può farsi sfuggire l’occasione di sperimentare ritmiche nuove, essendo attrezzato per farlo e possedendo le capacità necessarie, la tecnica, lo stile e la giusta caparbietà. Né si può pensare che la storia di Piero Masia abbia raggiunto un approdo. Perché il suo è un lavoro che prelude ad altro lavoro. Senza perdere mai il ritmo.