Stampa questa pagina

Nel segno della Musa

La sua età anagrafica e la sua affermazione, quale artista di fama mondiale, arrivata nel primo decennio degli anni 2000 la collocano tra i maestri del XXI secolo piuttosto che del XX. Ciononostante, reputa vi sia qualche aspetto nelle sue opere e nel suo modo di affrontare e di concepire l'arte, che la riconducono ai maestri del '900?
1 Fig. 5«Lo studio dei grandi scultori del 900’ è stato fondamentale per la mia formazione da artista 1 Fig. 1ma anche per poter capire quale strada intraprendere per dar forma alla mia personale pratica artistica.
Quando si è agli inizi, le idee sono tante e confuse ed è fondamentale l’analisi di ciò che è stato fatto prima di te. Se non fosse stato per lo studio meticoloso delle opere di artisti del calibro di Richard Serra, Mark di Suvero e di Walter De Maria forse, oggi come oggi, Helidon Xhixha, l’artista, si esprimerebbe artisticamente in modo completamente diverso. I grandi del passato sono vere e proprie guide spirituali che ci aiutano ad esprimere la propria individualità e forse anche ad avere un po’ più di coraggio nel perseguire le proprie convinzioni».
Quanto ha inciso essere figlio d'arte sulla sua formazione culturale e sulla sua decisione di dedicarsi alle arti figurative?
1 Fig. 10«Direi in modo fondamentale! Mio padre è pittore ed è grazie a lui che ho respirato arte fin da piccolo. È mio padre stesso che mi ha spinto alla carriera di scultore: fu lui la persona che mi mise in mano dell’argilla per la prima volta invitandomi a lavorarla e a creare qualcosa con le mie stesse mani».
In un panorama complesso, e, spesso, caotico, come è quello dell'arte contemporanea, quanto è difficile per un artista ritagliarsi un proprio spazio che gli consenta di esprimersi in piena autonomia ed esclusivamente sulla base delle sue convinzioni culturali e scelte estetiche?
«Le assicuro che il mondo dell’arte contemporanea è tutt’altro che caotico anzi sa essere terribilmente logico e gerarchico. Riuscire ad emergere come artista dipende non solo dalle proprie convinzioni artistiche ma anche dalla capacità di diventare cittadino del mondo e riuscire a comunicare personalmente e con la propria arte con chiunque, cosi’ da abbattere le barriere linguistiche, culturali e di mercato. Sia gli addetti ai lavori che i fruitori dell’arte devono sentirsi parte del mondo e del linguaggio dell’artista perchè questi possa essere compreso ed accettato. Ma è anche fondamentale presentarsi come un qualcosa di nuovo da esplorare e condividere».
Quando ha iniziato la sua carriera artistica immaginava di ottenere in così breve tempo tanto successo e tanto prestigio a livello internazionale?
«Ho lottato e lavorato duro tutta la vita e continuo a farlo ed ho avuto anche la fortuna di avere al fianco una persona che mi ha sempre dato un grande supporto. Nell’arte il successo è effimero e per questo è fondamentale affrontare la propria carriera sempre con tanta umiltà e la passione della prima mostra».
Con le sue opere lei indaga il mondo sotto l'aspetto naturalistico, architettonico, umano e dell’ambiente circostante. Ci spiega la portata di questa sua scelta e quanto incide la componente etica, oltre che estetica, nel suo lavoro?
«Mi ispiro sempre alle tradizioni e alla cultura locale dei luoghi dove espongo le mie opere. Basti pensare ad “Iceberg”, la scultura galleggiante che ho creato per la 56ma Biennale di Venezia. Attraverso quest’opera non solo ho voluto abbracciare la quotidianità con l’acqua di Venezia, ma anche sensibilizzare il pubblico alla pressante problematica dell’innalzamento delle acque dovuto all’effetto serra. Un altro esempio è sicuramente il fatto che ho voluto adottare nella mia pratica artistica l’uso del marmo per la mia personale a Pietrasanta o quando ho approfittato della mia partecipazione alla London Design Biennale per parlare di diversità ed immigrazione».
Pensa che l'arte e la sensibilità artistica possano contribuire a migliorare la società nelle sue diverse declinazioni?
«Assolutamente si! L’arte è linguaggio poi sta all’artista decidere il messaggio da inviare. L’arte è anche responsabilità non è solo piacere estetico».
“In Ordine Sparso” è il titolo della sua ultima esposizione tenutasi al Giardino di Boboli, dove ha presentato anche parecchi inediti realizzati per l'occasione. Perchè questo titolo e perchè Firenze come scenario del suo lavoro. Cosa significa per lei, che ha tenuto mostre in varie città d'arte italiane e straniere e che ha installazioni permanenti in mezzo mondo, esporre nella Capitale del Rinascimento fianco a fianco ai maggiori capolavori dei maestri rinascimentali?
«L’opportunità di poter esporre le mie opere a Firenze è un sogno diventato realtà. Firenze quale centro dell’arte rinascimentale ha ancora oggi una valenza per ciò che è l’innovazione artistica. Basti pensare che Firenze è forse la città italiana più amata all’estero e una delle più visitate al mondo. Firenze è tuttora un grande palcoscenico per l’arte a livello internazionale. “In Ordine Sparso”, quale titolo della mostra, rappresenta il percorso creativo dell’artista. L’artista prende e si appropria dal mondo, fisico e teorico, ciò che più gli interessa per poi amalgamare e filtrare idee, materiali e tecniche nel modo che trova più appropriato. Quindi l’istinto dell’artista è di trovare un ordine a partire dal caos».
Perchè ha scelto le dimensioni monumentali e materiali in metalli lucidi per le sue opere?
«Le grandi dimensioni delle mie opere per la mostra ai Boboli sono state imposte dalla maestosità stessa di questo sublime giardino. La superficie riflettente dell’acciaio, invece, mi ha dato modo di riflettere e amplificare certi aspetti del Giardino di Boboli. In un certo senso le mie sculture operano come un portale che apre su una quarta dimensione, quella della fantasia. Attraverso le mie opere i visitatori sono in grado di osservare l’ambiente circostante in maniera totalmente diversa e filtrare questa realtà alternativa attraverso la propria immaginazione».
Quale la derivazione filosofica e culturale del suo linguaggio artistico?
«Io sono stato sempre un grande sostenitore di Schelling e del suo concetto di unione tra Spirito e Natura. Sempre secondo Schelling, è con il momento creativo dell'arte che avviene quell'unione di scienza e natura, idea e realtà, attività conscia e inconscia, grazie a un'ispirazione che l'artista domina lasciandosene dominare. L'arte diviene lo strumento filosofico per eccellenza».
Come è il suo rapporto con il mondo dell'arte contemporanea e come il suo lavoro si inserisce e si caratterizza rispetto a questa?
«Il mondo dell’arte contemporanea non è omogeneo o un’unica entità. Il concetto di arte contemporanea è compreso e vissuto in maniera completamente diversa in America da quanto si fa in Italia, ad esempio. Io ho sempre cercato di acquisire un linguaggio artistico sia da un punto di vista estetico che socio-culturale che mi permettesse di comunicare con tutti e che tutti siano in grado di associarsi con la mia arte».
Dopo Firenze cosa c'è dietro l'angolo per Helidon Xhixha. Quali i suoi progetti futuri. Quali i suoi sogni ancora da realizzare?
«Sono molti i progetti che sto pianificando per il prossimo futuro, ma, purtroppo, non sono in grado ancora di parlarne. Posso solo dire che l’interesse internazionale per le mie opere è quanto mai vivo e mi sono state fatte delle offerte molto interessanti che sto valutando e in alcuni casi già realizzando».
Di Marilena Spataro