MOSTRA VIRTUALE - Nicoleta Badalan


Nicoleta Badalan è nata a Bucarest il 17 febbraio 1980, italiana di adozione dal 1998.
Nicoleta Badalan

Autodidatta, ha iniziato a dipingere da piccola senza però frequentare alcuna scuola ad indirizzo artistico. Per circa 10 anni, ha “abbandonato” questa sua passione per poi riprendere assiduamente a dipingere circa 5 anni fa. La tecnica che preferisce adottare è quella della pittura ad olio su tela principalmente. Il paesaggio, soprattutto quello notturno è il soggetto prediletto dei suoi dipinti.
Mostre collettive e personali degli ultimi anni: Agosto 2017 collettiva Fosar in Piazza XX Settembre a Pordenone, Aprile 2018 collettiva “Gli artisti non sono bancomat” presso La Staffa Bologna, Aprile 2018 personale presso la sede della Pubblica Assistenza Paolina a Castel S.Pietro Terme (BO). Luglio 2018 collettiva Fosar a Castelfranco Veneto (TV), Settembre 2018 collettiva Visionaria a S. Lazzaro di Savena (BO), Dicembre 2018 collettiva “A Natale ti regalo una mostra personale” presso La Staffa a Bologna, Giugno 2019 collettiva “Immagini, poesia & magia” presso ArteBo a Bologna, Novembre 2019 mostra/concorso “A proposito di tutte queste signore” presso la Galleria Pontevecchio di Imola. Vincitrice, sezione pittura, Premio d'Arte Caterina Sforza 2019 LOGOS/RIOLO TERME. Dicembre 2019. Mostra collettiva Sotto una BUONA stella, spazio d'arte LOGOS, Sant'Agata sul Santerno (RA).
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Hanno scritto di lei: Alberto Gross, Marilena Spataro.
Giovanni Scardovi, ha così recensito la sua opera: «è nel buio che abita la luce, perchè è nei contrari che le cose si evidenziano. Ecco allora affiorare nel quadro una proliferazione di stelle che invade la notte, in una visione che nella sua concretezza di cielo sembra un'astrazione immaginaria, così come accade ai suoi alberi che si proiettano verso l'alto e inquietano la nostra visione nel buio».
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Sulla soglia dell'eternità
Universi interiori, invisibili, che si offrono all'occhio sensibile sotto forma di volte celesti trapuntate di stelle brillanti, di languide notti lunari, di avvolgenti notturni luccicanti su antiche vestigia in un cosmico abbraccio tra passato e presente, di alberi spogli protesi come mani, di mani protese come alberi oltre la finitudine umana, ad afferrare l'infinito per carpirne i più profondi segreti. È un sincero desiderio di dialogo tra terra e cielo che emerge nei dipinti di Nicoleta Badalan, un'esigenza dell'anima che nel sostanziarsi attraverso il colore e l'immagine oltrepassa il visibile in una sintesi che si fa poesia, rarefatta atmosfera che conduce verso l'eterno. Ed è sempre a questo slancio perenne verso un eterno che trae radici e linfa dall'umano, che si ispirano le più recenti opere dell'artista dove il dialogo tra cielo e terra si affida piuttosto a un femminile dove il tramite é dato dal corpo. Così la sinuosità e leggerezza di un giovane corpo con due enormi ali d'angelo piumate, incastonate lungo i fianchi fino ad arrivare oltre le spalle, diventano spunto simbolico, allusione del volo. Volo inteso come metafora del viaggio lungo i percorsi della vita in un progressivo elevarsi verso la trascendenza, un rimando questo presente in tutti i dipinti di Nicoleta Badalan, così nei coloratissimi balloons pronti a lanciarsi verso il cielo come nella fanciulla che con passo rapido e leggero si avvia, quasi in una danza, lungo un immenso prato verde come a spiccare il volo verso ben altri prati, prati della speranza, pascoli del cielo dove il sereno regna similmente alle più limpide notti trapuntate di stelle. Tutto torna nella pittura di questa artista ed é magia laddove la sua poesia si fa preghiera “in cielo, come in terra”. È slancio divino. È preghiera cosmica che rinnova il legame tra l'umano e il divino. Tra ciò che è stato, che è, che sarà.
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È questo un universo artistico e poetico che caratterizza tutto il lavoro della Badalan, anche quando il suo interesse si rivolge al ritratto. Non si può non restare toccati e non emozionarsi davanti al ritratto di dolcissimi volti di donna che con occhi stupiti, quasi sgranati, azzurri come lembi di cielo (secondo la migliore iconografia angelica) o verdi come prati celesti, ti vanno scrutando il cuore e con esso scrutano la lontananza, quella stessa lontananza che separa l'umano dal divino e che urge colmare.
La scommessa è trovare la porta di accesso oltre la quale si disvela il segreto che l'anima cela sulla soglia dell’eternità. Una porta che Nicoleta Badalan sembra avere trovato.
Marilena Spataro

Logos Contemporary Art Summertime

Galleria Ess&rrE
Associazione culturale LOGOS
presentano

Logos Contemporary Art Summertime”
dall'8 al 31 Agosto 2018
vernissage
Mercoledì 8 Agosto, ore 18,30
espongono

Angela Balsamo, Giuseppe Bedeschi, Rosy Bianco, Anna Bonini, Giusy Dibilio, Tiziana Grandi, Bruno Grisolia, Rita Lombardi, Annalisa Macchione, Elena Modelli, Maurizio Pilò, Andrea Simoncini, Giuseppe Scarano, Giovanni Scardovi, Bice Toni Ferraresi, Andrea Tabellini (Liscivia), Davide Tedeschini, Roberto Tomba, Valentina Valente, Mario Zanoni
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Due originali eventi artistico culturali arricchiranno la rassegna espositiva. Sabato 11 Agosto ore 19,00 si terrà “Antica navigazione tra velieri, medicina e religione” a cura di Francesco Corsi, editore di ARTinGENIO di Firenze, con presentazione degli antichi codici miniati "Portolani della navigazione", "Lezionario Farnese", "Libro ore Lorenzo de Medici", "Codice Medico di Federico II". Domenica 12 Agosto, alle ore 21,30, all'esterno della galleria Ess&rrE, proiezione del video DILUVIO DI STELLE di Liscivia Bruciatura Chimica, che sarà presente alla serata

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Roma, 2 Agosto 2018 - Un altro prestigioso appuntamento alla galleria Ess&rrE di Roberto Sparaci per il progetto espositivo Logos Contemporary Art che questa volta si presenta in versione estiva con il titolo “Logos Contemporary Art Summertime” e si arricchisce di nuovi e originali eventi collaterali. La rassegna vedrà la partecipazione, al vernissage dell'8 Agosto, dei curatori, il gallerista, Roberto Sparaci e la giornalista, Marilena Spataro, affiancati dal critico d'arte Alberto Gross, che ha curato i testi critici.

Sarà possibile ammirare in mostra dipinti, sculture, installazioni, opere grafiche e fotografiche, di artisti emergenti e di maestri del '900 contemporanei. Ad esporre saranno: Angela Balsamo, Giuseppe Bedeschi, Rosy Bianco, Anna Bonini, Giusy Dibilio, Tiziana Grandi, Bruno Grisolia, Rita Lombardi, Annalisa Macchione, Elena Modelli, Maurizio Pilò, Andrea Simoncini, Giuseppe Scarano, Giovanni Scardovi, Bice Toni Ferraresi, Andrea Tabellini (Liscivia), Davide Tedeschini, Roberto Tomba, Valentina Valente, Mario Zanoni. Molti degli artisti saranno presenti sia al vernissage che in altri giorni in galleria. Logos Contemporary Art, è un evento espositivo ideato da Marilena Spataro, per l'Associazione culturale LOGOS, che si propone l'intento di dare spazio a una eterogeneità di forme espressive e stilistiche del mondo dell'arte contemporanea,  tuttavia puntando sempre a figure di grande formato artistico dalle formidabili capacità espressive e poetiche. Spiega il critico d'arte Alberto Gross: «Logos è parola infinita, eterna, terribile: infinita perché priva di limiti, eterna perché continuamente mutando rinnova per sempre il suo principio di autoaffermazione, terribile perché insondabilmente oscura e indecifrabile. Una mostra d'arte che porti questo titolo dovrà farsi carico di ogni ambivalenza, incontrollabile contraddittorietà, di ogni continuato dissidio ed incoerente ribaltamento di senso, conservando leggerezza di sguardo, maturità percettiva e dolce mistero sognante. Secondo le dottrine platoniche con il termine “logos” si definiva infatti l'individuazione della differenza, del dettaglio, del segno distintivo che definisce un oggetto nella sua identità, nella sua realtà specifica. Tra pittura e scultura la mostra si configura come un itinerario a stazioni, a stasimi,molteplici e variegati stimoli in cui riconoscere – di volta in volta – il carattere fondante ed imprescindibile che informa il lavoro di ciascuno degli artisti selezionati». In questa edizione estiva sono molti gli artisti che hanno scelto dei temi per le loro opere in mostra che si legano al mondo marino, alla bella stagione, e, soprattutto, al sogno di “mezza estate”. Tutti i lavori presenti in galleria si distinguono per fascino estetico e forza espressiva.

Ed è proprio pensando all'estate e alle navigazioni marine che, Sabato 11 Agosto alle ore 19,00, si terrà l'iniziativa artistico-culturale “Antica navigazione tra velieri, medicina e religione” a cura di Francesco Corsi, editore di ARTinGENIO di Firenze. Sarà questo il primo dei due appuntamenti con gli eventi collaterali previsti in occasione della mostra d'arte. In galleria si potranno così ammirare alcune copie di pregiatissimi, quanto affascinanti, antichi codici miniati quali il "Portolani della navigazione", "Lezionario Farnese", "Libro ore Lorenzo de Medici", "Codice Medico di Federico II": un seduttivo viaggio ideale a tutto tondo in una navigazione tra i mari del cosmo fisico, naturale e spirituale, nonchè una ricerca di sollievo e cura tra i mari dell'anima e del corpo. Dal mare alle stelle in un viaggio alla scoperta delle fantasmagorie stellari della volta celeste, è quello che ci propone l'artista bolognese, Liscivia Bruciatura Chimica (alias Andrea Tabellini), domenica 12 Agosto alle ore 21,30, all'esterno della galleria Ess&rrE, con la proiezione del suo video DILUVIO DI STELLE. Uno spettacolo che, insieme agli stupefacenti cieli stellati delle notti romane di agosto, non mancherà di farci sognare. Alla serata sarà presente l'autore.

La mostra “Logos Contemporary Art Summertime”, che sarà inagurata l'8 Agosto 2018 alle ore 18, 30, sarà visitabile ad ingresso libero dal Lunedì a Domenica ore 18,00/23,00. In altri orari per appuntamento.

Per info: Tel. 06 42990191 - Cell. 329 4681684 – 339 7325579

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“Ritratti d’artista” Maestri del '900 Giuliano Vangi

Maestro Vangi perchè ha scelto la scultura come forma espressiva prioritaria della sua arte?
   «Non ho scelto io la scultura, è la scultura che ha scelto me. Fin da piccolo ho sempre cercato di modellare, di scolpire qualcosa, magari in un mattone, in un sasso, invece, non mi sono mai impegnato a dipingere, a fare quadri».
Come era la scena artistica dei suoi esordi, lei come si poneva rispetto ai movimenti artistici del tempo. Quali i mutamenti più evidenti, in positivo e in negativo, nel mondo dell'arte che ha registrato negli anni della sua lunga carriera?
   «La scena artistica al tempo era popolata da una miriade di movimenti di grande vivacità e originalità d'idee. Io ho guardato con interesse a ciascuno di questi movimenti cogliendone i vari aspetti estetici e teorici, per poi, però, proseguire sulla mia strada sulla base di una mia personale visione. Reputo che il grande fermento artistico e i nuovi modi di fare arte del tempo siano stati per molti versi positivi, per altri meno. Ad esempio, la grande mostra di Henry Moore al Forte Belvedere di Firenze, se da una parte ha fatto conoscere e ha introdotto elementi di assoluta novità che hanno aperto nuove e inesplorati percorsi sul fronte dell'arte astratta e informale anche in scultura, dall'altra ha generato in tantissimi artisti la convinzione che si potesse fare scultura con estrema facilità, levigando forme e mettendo fori a caso, con questo fraintendendo la grande lezione che ci veniva dal maestro anglosassone che, con le sue forme, ha inventato uno stile e un linguaggio scultorei del tutto originali, comunque dotati di quella armonia e perfezione estetico formale, nonchè di una carica poetica ed emotiva, degne della migliore tradizione scultorea del passato».
Quali sono stati i suoi modelli artistici di riferimento del passato?
   «Da quando ho iniziato a studiare prima all’Istituto d'arte, poi per un pò in Accademia, ho guardato, innanzitutto, all'arte antica, questo per capire i valori estetici e formali che ci sono stati tramandati. Da ragazzo ero innamorato dell'arte egiziana di cui amavo particolarmente l'essenzialità nella forma, dopo ho rivolto la mia attenzione ai romani e all'arte etrusca. La mia formazione artistica vera e propria mi deriva dallo studio profondo e appassionato del Rinascimento, soprattutto toscano. Vivendo ormai a Firenze, facevo delle immersioni totali nei musei, nelle chiese e in qualunque altro luogo si trovassero opere d'arte. Amo moltissimo Giovanni Pisano, Donatello e Michelangelo, specie quello delle ultime opere. Idealmente sono stati loro i miei maestri e a loro mi sento molto vicino. Ovviamente con il tempo ho cominciato a guardare ai miei contemporanei, all'arte americana astratta e ad artisti quali Smith e Moore così acquisendo una visione più ampia dell'arte e che corrispondeva ai nuovi linguaggi che si andavano affermando».
Artisti si nasce o si diventa?
   «Entrambe le cose. Certo, si nasce con una predisposizione. Ma poi si diventa. Le doti naturali, infatti, non bastano a fare di un artista un buon artista, per diventarlo occorre avere spirito di sacrificio, costanza, lavorare con molta umiltà, serietà, senza pensare di fare imprese eccezionali. Se non si hanno poi le doti per andare avanti, allora è scontato che non si va da nessuna parte».
Come vede il mondo di oggi. Quale la visione del mondo che la guida nel suo lavoro?
    «È una visione che mi avvilisce quella del mondo di oggi. Viviamo in una terra bellissima, che noi uomini stiamo, però, sciupando sotto tutti gli aspetti, sia umani che naturali. La natura è abusata fin dagli abissi del mare, per poi estendersi, questo abuso, a tutto il resto. Questi aspetti negativi mi procurano un dispiacere profondo. La mia visione creativa è rivolta all'uomo e alla sua azione. Dell'uomo mi interessa tutto. L'uomo mi interessa nella sua totalità, con tutti i suoi problemi e difetti, con i suoi pregi e valori. Con la mia scultura porto avanti una lotta per individuare l'essenza umana, cercando di andare al di là persino del bene e del male».
Nonostante da lungo tempo la sua fama sia di livello internazionale e moltissime delle sue opere siano collocate in luoghi pubblici e privati di grande prestigio in tutto il mondo, lei continua a tenersi piuttosto lontano dalle luci della ribalta, al contrario di molti artisti famosi della contemporaneità che amano e cercano notorietà e consenso affidandosi sempre più spesso a gesti clamorosi e a performance ad alto impatto mediatico. Cosa risponde?
   «L'arte per me è poetica della vita. Alla base della mia esistenza c'è il mio lavoro, che amo fare con serietà e senso del dovere. Lavoro quotidianamente più di dodici ore, sei giorni su sette, vado in studio al mattino presto e rientro alla sera. Mi fermo giusto per le feste comandate. Non mi interessa assolutamente andare nei salotti o fare pubbliche relazioni al fine di ottenere visibilità. Quello che a me interessa, ripeto, è di andare avanti con la mia ricerca e con il mio lavoro, che amo moltissimo. Reputo che se si lavora con coscienza, serietà e umiltà, anche i riconoscimenti prima o poi arrivano. Indulgere in forme spettacolari e basta, perdendo di vista l'obiettivo artistico, non porta da nessuna parte, con il passare del tempo di queste cose se ne perde traccia, infatti. Quanto agli artisti che espongono nelle belle, di certo importanti, vetrine di cui mi parla, ritengo che spesso si dia spazio, specie ultimamente, a scelte che arrivano da una sola parte, sono i critici, i curatori, gli storici e chi si occupa di organizzare le mostre a decidere chi chiamare. L'arte è un fenomeno complesso e variegato, credo che sia giusto far esporre tutti coloro che abbiano qualcosa di serio da dire, artisticamente e poeticamente parlando, e non sempre gli stessi nomi o le stesse correnti. Muovendosi come ci si muove oggi non si fa un buon servigio né a coloro che amano l'arte e che desiderano ammirane le opere e nemmeno a coloro che desiderano possederle queste opere».
Dagli anni 80 in poi molti suoi lavori si ispirano al sacro, soprattutto a connotazione cattolico – cristiana, tra l'altro parecchi suoi monumenti sono esposti in luoghi di culto famosi. Perchè questa scelta e cosa è il sacro per Giuliano Vangi?
   «Sinceramente non ho scelto io di lavorare sull'arte sacra, mi hanno chiamato degli architetti a fare dei lavori al riguardo. Il primo è stato Renzo Piano che mi ha chiesto di realizzare un ambone in pietra garganica dedicato a Maria di Magdala per la nuova chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, così ho collaborato con lui. Poi mi ha chiamato un altro architetto, Mario Botta, e ho lavorato sul tema del sacro anche con lui. Questi lavori sul sacro li ho fatti perché me lo hanno chiesto. Non mi ritengo particolarmente religioso, ma quando devo lavorare su questo tema cerco di immergermi il più possibile. Per me il sacro è qualcosa di misterioso che va fuori, al di là dell'uomo. Quando lavoro la scultura, lo faccio con grande passione e quando raggiungo una certa purezza di idee e di forme e senza alcun tipo di compromessi, è allora che per me l'opera è finita ed è sempre allora che diventa qualcosa di sacro».
Per le sue sculture lei adotta materiali diversi, molte volte combinati tra loro. Come spiega questa scelta, c'è una materiale che, comunque, predilige sugli altri?
   «Adopero molti materiali, la mia scultura è quasi tutta policroma. Da ragazzo  realizzavo, ad esempio, una testa e poi la dipingevo. Ben presto, ho, però, scoperto che esistono materiali diversi e di diversi colori, così ho cominciato a usarli tutti, ottenendo, quando mi occorre, gli effetti policromi. Quando penso un soggetto questo nasce già con una sua materia. Se devo fare qualcosa di monolitico o statico allora scelgo il marmo, se, invece, devo fare qualcosa di dinamico scelgo il metallo. Ripeto, ogni soggetto nasce con una sua materia. Non scelgo una materia perché mi piace,
ma perché essa corrisponde e si adatta all'idea che ho immaginato. Ho voluto imparare a lavorare tutte le materie, dal bronzo al marmo, alla creta al legno. A volte innesto gli stessi tipi di materiali trattandoli in modo diverso oppure innesto materiali diversi che messi insieme creano l'opera così come l'ho pensata. E' per questo che ho dovuto imparare a lavorare tutti i tipi di materia, all'occorrenza so come trattarli. Ammetto, tuttavia, che i materiali mi affascinano tutti e li tratto tutti con pari amore. Nel marmo, come si sa, si toglie, nella creta e nel bronzo si aggiunge, è comunque bello e affascinante ciascuno di questi procedimenti per chi ama veramente l'arte e la scultura».
Quando realizza lavori monumentali, segue le fasi personalmente?
   «Sì lavoro io, laddove il lavoro sia troppo grande, allora mi faccio aiutare da esecutori, tuttavia sono sempre io a finire l'opera e a dare i tocchi necessari per conferirle un'anima, di qualunque materiale si tratti. Rispetto a quei lavori per i quali gli artisti si affidano in tutto agli altri per far realizzare la loro idea artistica, reputo che non si tratti più di lavoro artistico, ma di lavoro artigiano altrui. Per cui le opere che ne derivano hanno sempre qualcosa di freddo, mancando di quel soffio dell'anima che solo un artista sa infondere trattando la materia con le proprie mani».
Lei è nato in Toscana, ha vissuto a Pesaro, poi, per parecchi anni, anche in Brasile. Oggi vive a Pesaro e frequenta con assiduità, soggiornandovi per mesi, Pietrasanta, dove è tenuto in grande considerazione. Come è il suo rapporto con questa cittadina e con i luoghi in cui si trova o si è trovato a vivere, a partire da quello con la sua terra d'origine. E quali le tracce più evidenti dell'influenza di tutti questi “suoi mondi” sulla poetica e sul suo linguaggio plastico ed estetico?
   «Sono nato a Barberino del Mugello in provincia di Firenze. Del mio paese conservo ricordi bellissimi legati alla mia infanzia trascorsa lì, amo moltissimo quei luoghi e appena posso ci torno, le mie vere radici sono lì. Amo e sono legatissimo, comunque, a tutta la Toscana dove ho avuto la mia prima formazione artistica, non solo scolastica. A Firenze e nelle altre città toscane ho potuto visitare musei, chiese e altri luoghi dove ammirare e studiare i capolavori dell'arte del passato. A Pesaro ci andai successivamente per insegnare, lavoravo già da scultore al tempo, ma all'inizio le mie opere non le facevo vedere a nessuno, le reputavo troppo scolastiche. Poi sentii il bisogno di andare altrove, di fare esperienze nuove, nelle grandi città dove si  vivevano grandi fermenti artistici, per sperimentare andai a Roma, poi a Milano e a Firenze. Sentivo, però, il bisogno di altro. Allora andai in Brasile perché al tempo lì si faceva un tipo di architettura più dinamica e interessante che da noi, si stava costruendo Brasilia, esistevano inoltre situazioni sociali che mi interessavano dal punto di vista umano e anche della mia visione e sensibilità artistiche, da una parte c'erano le favelas e dall'altra una classe economica e finanziaria che deteneva quasi tutta la ricchezza nelle proprie mani. In Brasile presi a fare scultura astratta, desideravo, infatti, liberarmi da forme troppo bloccate e rigide, per cui sperimentai forme più spoglie, più pulite e aeree lavorando su materiali quali il ferro e l'acciaio. Imparai anche a saldare. Tornando in Italia tutte queste esperienze mi furono utili per riprendere il mio discorso sul fronte della figura che affrontai con grinta diversa e con una libertà maggiore di prima. Attualmente ho uno studio a Pesaro, la città dove in genere vivo e alla quale sono molto legato, in questo studio disegno e faccio i bozzetti. A Pietrasanta ho da lungo tempo uno studio, che è di dimensioni più ampie, qui faccio principalmente opere in marmo e in bronzo, quelle più grandi. Pietrasanta è una cittadina bellissima e accogliente e io mi trovo benissimo. Mi hanno persino conferito la cittadinanza onoraria, del che ne vado orgoglioso. Gli ambienti artistici, di questa cittadina sono ricchi di personaggi del mondo dell'arte internazionale e di colleghi scultori di grande fama, purtroppo non li frequento, ma solo perché non ho tempo, quando vado lì lavoro tutto il giorno. Trovo che oggi come oggi a Pietrasanta ci siano tra i più bravi artigiani al mondo sia del marmo che del bronzo e questo è molto importante per gli artisti che realizzano un lavoro come il mio. Quanto all'influenza che il mio territorio d'origine, così come quella degli altri territori da me vissuti, ha lasciato sul mio lavoro, essa è chiaramente rintracciabile nelle mie stesse opere e nella mia storia artistica».
Come vede il panorama artistico di oggi e come immagina il futuro delle arti visive tra cento anni. Reputa che le nuove tecnologie siano elementi capaci di contribuire in termini evolutivi dal punto di vista sociale nonché di crescita e di novità anche sul fronte delle arti figurative?
   «Le tecnologie non sono né buone né cattive, occorre vedere l'uso che se ne fa. Non sono minimamente contrario al loro utilizzo anche rispetto alla creatività artistica. Se si riesce a dar vita a lavori che esprimono arte, siano essi legati alla figura o all'astratto, non importa, allora ben vengano tutti i lavori, anche quelli realizzati attraverso l'utilizzo della tecnologia, importante secondo me è che siano l'esito di una passione e di un amore sinceri e non l'esito di scelte superficiali. A me l'arte interessa tutta, solo ritengo importante che essa dedichi attenzione all'uo-mo e all'ambiente che lo circonda. Tale discorso vale sia per il presente come per il futuro, anche tra cento anni è con questo che dovremo continuare a confrontarci».
Pensa, quindi, sia necessario avere un'etica unitamente all'estetica nell'arte?
   «Sì certo, è indispensabile avere etica, essere puliti e chiari nel fare arte, realizzare le cose semplicemente, senza inganni e, soprattutto, senza voler rap- presentare quello che non è».
In questi ultimi anni sono molti gli artisti, ma anche i critici e teorici dell'arte, tra cui alcuni famosi, secondo cui rifondare l'arte è rifondare la società e rifondare la società è rifondare l'arte. Quale il suo punto di vista al riguardo?
«Credo che l'arte segua un suo percorso e un suo meccanismo e che i mutamenti avvengono di continuo e con una velocità estrema; di continuo nascono correnti che poi spariscono nel giro di pochissimo tempo. L'arte che, secondo me, ancora funziona è l'arte figurativa, reputo che nella contemporaneità sia la più moderna, la più attuale e rivoluzionaria. Questo perchè è quella maggiormente capace di esprimere i sentimenti dell'uomo e di rappresentarli. Ad esempio, per quanto mi riguarda, amo tutto della figura umana, dalle mani a ogni altra parte del corpo, non solo le parti visibili, ma anche interne, a partire dal cuore. La testa è poi la parte che mi piace studiare e rappresentare di più, è nella testa che nascono le idee, si formulano i pensieri e si manifestano quei processi mentali che danno vita alla storia di ciascuno di noi e del mondo stesso, quindi, della storia dell'umanità. La testa dell'uomo contiene una magia e insieme un mistero che mi piace indagare all'infinito. Non credo che l'arte abbia la possibilità di rifondare la società, il suo compito, come quello di ogni artista, è di andare avanti, seguendo la propria strada con serietà e passione per quello che si fa, ma anche avendo attenzione ai mutamenti sociali, sì, in questo l'arte può e deve ricoprire un suo ruolo».
Una carriera artistica di successo e una vita appagante, pure, c'è un sogno nel suo cassetto che ancora aspetta di realizzarsi. Quale, maestro?
«Il mio sogno, a ottantasei anni, è di continuare a lavorare ancora per del tempo, con la stessa energia, lo stesso entusiasmo e la stessa passione di sempre, andando avanti con la mia ricerca per indagare, attraverso la scultura, il mistero dell'uomo, della sua anima, del mondo che lo circonda, che ci circonda.
di Marilena Spataro
  • Pubblicato in Rivista

“Ritratti d’artista” Maestri del '900

Protagonista negli anni Sessanta del movimento dell’Arte Povera, Michelangelo Pistoletto, uno dei maggiori artisti contemporanei, con il tempo ha legato il suo nome a una serie di iniziative che vanno a coniugare indissolubilmente e con continuità l'arte all'impegno sociale. «La creatività artistica come ogni atto umano, nel suo farsi si espande all’esterno e come l’acqua riflette l’altro da sé. Mentre scorre e dilaga in tutti gli ambiti del vivere» spiega il maestro. L’arte per lui è, infatti, un elemento di conoscenza e di rivelazione dell’esistente attraverso cui soddisfa il suo bisogno innato «di riconoscere la vita e la realtà». Vita e realtà che oggi, nella sua visione, più che mai incrociano l’arte «la quale si distende come un’acqua incontrando la politica, l’economia, la comunicazione, l’educazione e tutti quegli elementi che hanno come sfondo la creatività umana».
Ed è proprio su quel filone della capacità creativa umana che per Michelangelo Pistoletto l’arte si trasforma in altrettanta capacità di agire, muoversi, produrre, creare, formare. Un’idea alla quale egli ha voluto dare concreta attuazione realizzando a Biella, sua città natale, la Cittadellarte.
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Cosa è esattamente, maestro, la Cittadellarte?
«Cittadellarte è la sede originaria del progetto del Terzo Paradiso; il luogo dove fare esperienza di un modo di vivere fondato su questa visione rigeneratrice. Cittadellarte è un nuovo modello di istituzione artistica e culturale che implica l'arte nei diversi settori della società».

Come e perché nasce questa struttura?
«Nell’arte moderna sono avvenuti grandi sconfinamenti, io addirittura ho fatto delle opere negli anni 70 in cui il quadro spezza anche la cornice ed esce da quello che è lo schema tradizionale del quadro. Quando la cornice si spezza, il quadro “dilaga”, invade lo spazio, gli ambiti e gli ambienti. E quando ci si trova davanti ad un quadro dilatato, esso diventa come l’acqua  che non è più solo specchio, ma qualcosa che si va stendendo su tutti i territori. Quanto alle finalità della struttura esse sono di far germogliare, nel rapporto tra sentimento e ragione, delle nuove visioni del mondo, partendo, non dal calcolo economico o politico, ma da una sensibilità e da un bisogno di tipo culturale».

A che età si manifesta il suo interesse per l'arte?
«Fin da adolescente frequentando lo studio di mio padre che era pittore; lui guardava soprattutto all’arte classica, mentre io ho seguito un’altra strada. Ancora giovane decisi di andare a Milano per frequentare la scuola di pubblicità grafica con Armando Testa. Fu così che presi a guardare con interesse all’arte contemporanea, scoprendo in essa una libertà di espressione che mi consentiva di esprimere attraverso le arti figurative le mie più profonde attitudini e il mio senso poetico ed estetico in rapporto con il  mio mondo interiore e con quello circostante».
ph. di Enrico Amici
All’inizio della sua carriera quali erano i suoi modelli artistici ed estetici di riferimento?
«I miei modelli di riferimento all’inizio erano rivolti al Rinascimento, in particolare Piero della Francesca, un artista che attraverso la sua straordinaria capacità di proiettare il reale attraverso la prospettiva, mi dava un senso di possibilità prospettiche che potevano essere riprese. Poi naturalmente guardavo agli artisti dell’800 e del 900 e soprattutto agli espressionisti astratti».

Lei è stato uno dei protagonisti dell’Arte povera. Quali sono stati i moventi artistici da cui nacque quel movimento e quali quelli suoi personali?
«La definizione Arte Povera non nasce con il movimento, è stata fissata successivamente da Germano Celant. Quanto alla mia volontà era quella di fare dell’arte qualche cosa di molto vicino alla realtà, molto vicino alla vita e legato alle fenomenologie primarie dell’esistenza. Che sono poi i motivi ispiratori di molti altri artisti in quel momento: si cercavano dei materiali, dei prodotti, delle concezioni che fossero fenomenologicamente primari».

A suo parere qual è la lezione lasciata da questo movimento alle generazioni successive?
«C’è un’oggettività nel lavoro dell’Arte Povera, una relazione oggettiva col mondo, con le cose, con le materie e non soltanto una posizione individualistica e soggettiva. Questi sono aspetti che vengono riconosciuti come elementi di fondo dal senso comune. Oggi i giovani, pur introducendo una nuova individualità nel lavoro, mantengono questo fondo di oggettività, di relazione con il vero, in senso non solo rappresentativo, ma come fenomeno naturale».

A proposito di giovani, come giudica l'attuale panorama artistico?
«In un certo senso è un panorama molto più libero di qualche anno fa, in quanto i giovani non sono più legati a un’attività di corrente o non la ricercano. Sono più sparsi e autonomi. C’è quindi un panorama molto meno “inquadrato” di quello esistente nel ventesimo secolo. Oggi non c’è un sistema artistico che prevalga sull’altro. Ritengo che attualmente ci sia più attenzione verso una concezione poetica ed autoreferente dell’arte figurativa, così come avviene anche nella musica e nella letteratura. Personalmente sono interessato a figure di artisti che in qualche modo seguono una strada meno autoreferenziale, più eterodossa nella loro ricerca; il mio stesso lavoro di oggi si è evoluto in una direzione ancor più oggettiva di prima, che è quella di un impegno dell’arte verso quelle che sono le problematiche della vita nella società».

Quale contributo può derivare alle arti figurative dalle tecnologie di frontiera e dall’informatizzazione dei saperi?
«L’arte è un fenomeno pubblico, anche se esprime a volte sentimenti molto privati. Quindi, questo bisogno di comunicare attraverso i nuovi mezzi mi sembra necessario, persino ovvio. Essere coerenti con il nostro tempo vuol dire anche utilizzare i mezzi del nostro tempo».
ph. Enrico Amici
Nell’atto creativo, a suo parere, c’è anche una valenza sociale o solo individuale?
«Credo ci sia sempre una combinazione tra il sé e il mondo. Anche le tensioni, i drammi che l’arte è capace di evidenziare, sono vibrazioni che partono dall’interno, ma che provengono dall’esterno. L’esterno e l’interno dell’individuo nell’arte devono collegarsi, congiungersi».

La Sua poetica, specialmente quella degli specchianti, si può considerare come anticipatoria rispetto al percorso poi da lei intrapreso con Cittadellarte?
«Sono partito dall’autoritratto, che non è più solo il ritratto dell’artista, ma, attraverso la trasformazione della tela in superficie specchiante, è il mondo stesso che entra nell’autoritratto, per cui il mondo, la gente, la società entrano a far parte direttamente dell’opera e la penetrano. A questo punto l’opera riflette il mondo e a sua volta si riflette sul mondo: l’artista non è più solo e l’autoritratto dell’artista è anche l’autoritratto del mondo. Questo sentirsi immerso nel grande spazio del vissuto e nella grande comunità umana è il passo naturale che porta alla Cittadellarte».

Tornando alla Cittadellarte, questo progetto è intrinsecamente collegato alla teoria del “Terzo paradiso”. In cosa consiste tale teoria?
«Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell'infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità. Cittadellarte e io, come Michelangelo Pistoletto, portiamo il Simbolo del Terzo Paradiso a reinventarsi in centinaia di installazioni realizzate da comunità in tutto il mondo. Io e Cittadellarte stessi ne progettiamo in prima persona alcune, ma la maggior parte sono opere collettive, individuali o aperte, il cui autore è la comunità che le realizza. Unico requisito obbligatorio richiesto da Cittadellarte è che la realizzazione del simbolo non sia fine a se stessa, ma sia parte di un progetto condiviso che preveda azioni con la comunità che fanno vivere i temi che il simbolo rappresenta.
La prossima missione dell’astronauta italiano Paolo Nespoli sulla ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, utilizzerà come logo la riconfigurazione del segno matematico d’infinito, il Terzo Paradiso. Il progetto è realizzato in collaborazione con ASI (Agenzia Spaziale Italiana); ESA (European Space Agency). In questa occasione verrà anche lanciata l'APP SPAC3 sviluppata dall’ESA con RAM radioartemobile in cooperazione con l’ASI e Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, con l’obiettivo di coinvolgere il pubblico nella creazione di un’opera d’arte collettiva».
di Marilena Spataro
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Le grandi Mostre

E' un gradito ritorno quello del maestro della videoarte contemporanea Bill Viola a Firenze. E' qui, nella capitale del Rinascimento, che l'artista americano ha iniziato negli anni '70 a muovere i primi passi con la videoarte ed è qui che oggi ritorna accolto con un'ampia rassegna di opere che vanno, appunto, da quei mitici anni '70 fino ai giorni nostri. Nella cornice rinascimentale di Palazzo Strozzi, dove sarà presente fino al 23 Luglio 2017, la mostra, intitolata “Bill Viola. Rinascimento elettronico”, vede i lavori del maestro statunitense messe in uno straordinario quanto spaesante dialogo tra antico e contemporaneo con capolavori di grandi maestri del passato, che sono stati fonte di ispirazione per questo artista, segnandone l’evoluzione del linguaggio. Nello specifico i video di Viola sono messi a confronto, oltre che con l’architettura di Palazzo Strozzi, con le opere di cinque maestri del Rinascimento: Pontormo, Andrea di Bartolo, Masolino da Panicale, Paolo Uccello e Lukas Cranach.
I visitatori di questa rassegna sperimenteranno straordinarie esperienze di immersione tra spazio, immagine e suono ideate dal genio creativo di Bill Viola, ripercorrendone in tal modo la carriera, segnata dall’unione tra ricerca tecnologica e riflessione estetica, dalle prime sperimentazioni con il video negli anni '70 fino alle grandi installazioni più recenti concepite per catturare il pubblico attraverso forti esperienze sensoriali.
The Crossing Fire 1996 Piano Nobile
Nato a New York nel 1951, Bill Viola è internazionalmente riconosciuto come uno dei più importanti artisti contemporanei, nonché il maestro incontrastato della videoarte dei giorni nostri. Esplorando spiritualità, esperienza e percezione, Viola indaga l’umanità: persone, corpi, volti sono i protagonisti delle sue opere, caratterizzate da uno stile poetico e fortemente simbolico in cui l’uomo è chiamato a interagire con forze ed energie della natura come l’acqua e il fuoco, la luce e il buio, il ciclo della vita e quello della rinascita. «Sono davvero felice  dichiara l'artista  di recuperare le mie radici italiane e di avere l’occasione di ripagare il mio debito con la città di Firenze attraverso le mie opere. Dopo aver vissuto e lavorato a Firenze negli anni settanta, non avrei mai immaginato di avere l’onore di realizzare una così grande mostra in un’istituzione così importante come Palazzo Strozzi». Creare una mostra di Bill Viola a Palazzo Strozzi, in un percorso espositivo unitario tra Piano Nobile e Strozzina, significa celebrare anche la speciale relazione tra l’artista e la città di Firenze, dove il maestro statunitense ha soggiornato agli inizi della sua carriera; tra il 1974 e il 1976 è stato direttore tecnico di art/tapes/22, straordinario centro di produzione e documentazione del video fondato e diretto da Maria Gloria Bicocchi. Nella capitale toscana Bill Viola è tornato più volte, nel 2013 ha donato il suo Self Portrait, Submerged agli Uffizi, così sottolineando il suo speciale legame e la sua gratitudine per questa città; tale video è il primo ad essere stato collocato nella più ampia ed esaustiva collezione di autoritratti oggi esistente al mondo. La mostra dei lavori di Viola presenti a Palazzo Strozzi trova una sua diretta prosecuzione in altre location di Firenze e della Toscana attraverso importanti collaborazioni con musei e luoghi del territorio dove sono esposte opere dell’artista, esaltando il suo rapporto con la storia e l'arte italiane. In occasione della rassegna Palazzo Strozzi ha inoltre creato un’esclusiva collaborazione con l’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze. Grazie a uno speciale biglietto congiunto è possibile visitare la mostra di Palazzo Strozzi insieme al Battistero di San Giovanni e al Museo dell’Opera del Duomo.
Surrender 2001 Piano Nobile
Qui sono eccezionalmente esposti i video Observance (2002) e Acceptance (2008): due celebri opere di Bill Viola dedicate ai temi del dolore e della sofferenza esaltando la riflessione sull’umanità e sul senso religioso nel mondo contemporaneo, che sono messe in dialogo con due simboli del museo fiorentino come la Maddalena penitente di Donatello e la Pietà Bandini di Michelangelo. Pioniere della videoarte, nell’arco di una carriera di oltre 40 anni, Bill Viola ha lavorato con un’ampia varietà di media, realizzando opere oggi esposte nei più importanti musei del mondo. Suoi temi di riferimento sono esperienze umane universali come la nascita, la morte, il disvelamento della coscienza, che egli elabora attraverso il confronto con fonti artistiche occidentali e orientali e il riferimento a tradizioni religiose come il buddhismo zen, il sufismo islamico e il misticismo cristiano.
L'evento espositivo è a cura di Arturo Galansino (direttore generale, Fondazione Palazzo Strozzi) e Kira Perov (direttore esecutivo, Bill Viola Studio), ed è stato promosso dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dal Bill Viola Studio con il sostegno di Comune di Firenze, Camera di Commercio di Firenze, Associazione Partners Palazzo Strozzi e Regione Toscana.
Il catalogo è di Giunti
Bill Viola.
Rinascimento elettronico
Orario mostra
Tutti i giorni inclusi i festivi 10.00-20.00 Giovedì: 10.00-23.00
InfoTel +39 055 2645155
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Prenotazioni Sigma CSC
Dal lunedì al venerdì
9.00-13.00 / 14.00-18.00
Telefono: +39 055 2469600
di Marilena Spataro
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