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Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano.

Milano, Palazzo Reale - 23 febbraio - 5 giugno 2022.
A cura di Silvana Gatti.

Apre il 23 febbraio a Milano, nelle sale del Palazzo Reale, un’importante mostra dedicata all’immagine della donna dipinta nel Cinquecento da Tiziano e dai suoi contemporanei quali Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese e Tintoretto.
La mostra è promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Skira editore, in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna. Il Gruppo Bracco è Partner dell’esposizione. L’allestimento è progettato da Studio Cerri & Associati. La mostra è curata da Sylvia Ferino, già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum, coadiuvata da un comitato scientifico internazionale composto da studiosi del settore, quali Anna Bellavitis, Jane Bridgeman, Beverly Louise Brown, Enrico Maria Dal Pozzolo, Wencke Deiters, Francesca Del Torre, Charles Hope, Amedeo Quondam. Il prestigioso catalogo della mostra è pubblicato da Skira in tre edizioni, italiana, tedesca e inglese.
Sono circa un centinaio le opere esposte di cui 46 dipinti, 15 di Tiziano per lo più prestati dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, cui si aggiungono sculture, oggetti di arte applicata come gioielli, una creazione omaggio di Roberto Capucci a Isabella d’Este (1994), libri e grafica.
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L’esposizione è focalizzata sulla pittura veneziana del XVI secolo che vede protagonista la figura femminile, come documenta il volume di Rona Goffen “Le donne di Tiziano”, pubblicato nel 1997. L’immagine femminile è presentata in tutte le sue sfaccettature, attraverso le opere di Tiziano e di altri pittori dell’epoca. Si parte dal ritratto realistico di donne appartenenti a diverse classi sociali, passando a quello idealizzato delle cosìddette “belle veneziane” ed alle celebri eroine e sante, fino ad arrivare alle divinità del mito e alle allegorie. Nei ritratti esposti è interessante osservare l’abbigliamento e le acconciature delle dame dell’epoca, che prediligevano tessuti sontuosi, perle e costosi gioielli. Esposti anche i ritratti e gli scritti di noti poeti che cantarono l’amore e la bellezza femminile, come anche ritratti delle donne scrittrici, nobildonne, cittadine e cortigiane.
Nella Venezia cinquecentesca, le opere di Tiziano raffigurano il mondo sensuale ed elegante delle donne, che nella città lagunare godevano di notevoli privilegi. Anche la letteratura decantava in quel periodo le doti femminili, con il rinnovato entusiasmo per il Canzoniere di Petrarca, per l’Arcadia di Jacopo Sannazaro, per l’Orlando furioso di Ariosto da parte di importanti letterati come Pietro Aretino, Pietro Bembo, Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e Baldassarre Castiglione, questi ultimi presenti in mostra in ritratti di Tiziano.
L’accresciuta autostima delle donne portava le più colte a partecipare con loro scritti alle discussioni di genere nella cosiddetta “querelle des femmes” che costituisce il più importante movimento “proto-femminista” anteriore alla rivoluzione francese. Donne come Moderata Fonte con il suo moderno dialogo “Il merito delle donne”, e poi Lucrezia Marinella con il suo discorso su ”La nobiltà e l’eccellenza delle donne” mettono in discussione la superiorità dell’uomo.
Elementi fondamentali delle raffigurazioni femminili della Scuola Veneta sono grazia, dolcezza, potere di seduzione, eleganza, che vedono in Tiziano il protagonista assoluto. Per Tiziano la bellezza artistica è lo specchio della bellezza femminile: la sua ricerca è indirizzata alla personalità delle donne raffigurate, esaltandone la femminilità senza sminuirne mai la dignità, mettendo il secondo piano il canone della bellezza esteriore.
Le “belle veneziane” sono donne reali o presunte tali, ritratte a mezzo busto e fortemente idealizzate. Grazie allo studio di testi come “L’arte de’ cenni” di Giovanni Bonifacio (1616), queste donne non vengono più considerate come cortigiane ma come spose. Indossano abiti scollati in quanto mostrare il seno non è simbolo di spregiudicatezza sessuale, ma, diversamente, simboleggia l’apertura del cuore, l’atto consensuale della donna verso lo sposo. Queste opere sostituiscono i ritratti reali di donne delle classi patrizie o borghesi, avversati dal governo che rifiutava il culto della personalità individuale. Quando Tiziano ritrae donne reali si tratta di figure non veneziane, come Isabella d’Este, marchesa di Mantova o sua figlia Eleonora Gonzaga, duchessa di Urbino.
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Le cortigiane erano spesso anche colte ed alcune di loro diventarono famose per i loro scritti, come per esempio Veronica Franco, che in una lettera ringrazia Tintoretto per averla ritratta. Ci sono poi le eroine come Lucrezia, Giuditta o Susanna che rappresentano l’onore, la castità, il coraggio e il sacrificio o Maria Maddalena nella sua fase spirituale di penitenza. E infine le figure mitologiche come Venere che nasce dal mare.
Tra i dipinti più importanti di Tiziano presenti in mostra segnaliamo: Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere (1538) da Firenze, Gallerie degli Uffizi; Madonna col Bambino (1510 circa), Ritratto di Isabella d’Este (1534-1536 circa), Marte, Venere e Amore (1550 circa) Danae (1554 circa), Tarquino e Lucrezia (1570-1576) da Vienna, Kunsthistorisches Museum; Ritratto di una giovane donna (1536) da San Pietroburgo Hermitage Museum; Ritratto di giovinetta da Napoli, Museo di Capodimonte; Allegoria della Sapienza (1560) da Venezia, Biblioteca Marciana.
Tiziano dipinse il ritratto di Eleonora Gonzaga, moglie del duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, nell'autunno-inverno del 1536-1537, prima di eseguire quello del marito. La duchessa, nel gennaio 1536, comunicò al proprio ambasciatore a Venezia il desiderio di essere ritratta da Tiziano, ed il suo desiderio fu esaudito a Venezia, durante il suo soggiorno dal settembre 1536 ai primi mesi dell’anno seguente. Il Vecellio la ritrasse dal vero, cogliendo pienamente il prestigio del personaggio attraverso la ricchezza dei gioielli che testimoniano una forte personalità. Mentre l’anello al dito indice rappresenta la determinazione e l’ambizione, indossare un anello al mignolo è indice di creatività, vanità e anticonformismo. L’abbigliamento è molto ricercato, con la pelliccia di martora con la testa dell’animale in oro, impreziosita da perle e rubini, tenuta nella mano destra; l’abito di stoffa pesante a righe grigie e nere, ravvivato da merletti e da ornamenti a forma di fiocco dorato, richiama i colori dello stemma dei Montefeltro; il cagnolino è simbolo della fedeltà coniugale; e infine l’orologio a torre, simbolo della caducità del tempo e della vita, riccamente cesellato e coronato da una statuetta, è posto sul tavolo rivestito di velluto verde, al di sotto della finestra che si apre sul paesaggio sullo sfondo.
Molto bello un altro dipinto di Tiziano qui esposto, Ritratto di una giovane donna con un cappello con una piuma. La dimensione del dipinto, un olio su tela, è di 96 x 75 cm. Il volto della donna emana freschezza e giovanile entusiasmo. Sul berretto sembra soffiare una leggera brezza che fa ondeggiare le piume di struzzo. La donna dallo sguardo malizioso indossa una parure di perle e lascia scoperta una spalla, mentre le mani dalla pelle delicata tengono il mantello di velluto verde scuro che scivola sulla camicetta di seta resa con abili drappeggi.
Lucrezia e suo marito Lucio Tarquinio Collatino o Tarquin è un dipinto ad olio attribuito a Tiziano, datato intorno al 1515 e proveniente dal Kunsthistorisches Museum di Vienna. Il dipinto raffigura Lucrezia in procinto di suicidarsi per preservare il suo onore dopo aver rivelato di esser stata stuprata da Sesto Tarquinio la notte precedente. Il suo viso è rivolto verso l’illuminazione divina proveniente dall’alto, mentre cerca di trovare il coraggio per uccidersi. Il quadro è ricco di sensualità, attraverso elementi come la veste cadente di Lucrezia e il suo seno semi-scoperto. Il verde della veste è particolarmente brillante, a testimonianza dell’elevata qualità dei pigmenti disponibili a Venezia.
I visitatori della mostra milanese avranno il piacere di soffermarsi dinanzi a Marte, Venere e Amore (1550 circa), bellissima tela che vede le due divinità incontrarsi in un paesaggio bucolico. È l’abbraccio tra gli opposti: l’uomo e la natura; il guerriero che depone spada ed elmo sconfitto dall’amore e Venere che si abbandona all’amante. Amore svolazza qua e là, ma dovrà rassegnarsi a deporre arco e freccia in quanto la passione ha già travolto i due amanti senza bisogno del suo intervento e dal loro incontro nascerà, non a caso, Armonia. Il dipinto ci presenta il Tiziano degli ultimi decenni di vita. Qui il disegno è poco definito e la pittura quasi “di macchia” sembra anticipare la pittura impressionista, anche il paesaggio è evocato in modo sommario, e le atmosfere inquiete sono in contrasto con l’ambiente artistico e la committenza di lungo corso di quello che era considerato “il pittore” della Serenissima. Abituati all’armonia e alla quiete del Tiziano nitido e luminoso, non lo ritrovavano più in questi contorni disfatti che ai loro occhi faceva apparire come opere “non finite” quelli che oggi riusciamo a leggere come capolavori. È questo il Tiziano maturo, quello che si avvia verso l’ultima fase della sua carriera e, infine, verso la morte, che sopraggiungerà una quindicina di anni dopo l’esecuzione di Marte, Venere e Amore, si dice per febbre ma probabilmente di peste, il 27 agosto del 1576, a Venezia, nella sua casa studio di Biri Grande, da dove riusciva a scorgere le cime del suo natio Cadore.
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Il Vasari narra che agli occhi dei contemporanei innumerevoli affreschi eseguiti da Tiziano apparvero così affini all’arte di Giorgione da indurre in errore gli stessi amici del maestro. Secondo quanto attesta Ludovico Dolce, amico di Tiziano, fu la pittura di Giorgione a dare a Tiziano “l’idea del dipingere perfettamente”. Di Giorgione è qui esposto “Laura” (1506) da Vienna, Kunsthistorisches Museum. Da uno sfondo scuro emerge una donna ritratta di tre quarti a mezzo busto, voltata a sinistra, con rami d'alloro alle spalle. La donna indossa una veste foderata di pelliccia e una sciarpa bianca, oltre a un velo azzurrino in testa. Il manto è aperto e lascia scoperto un seno, avvolto da un velo trasparente. In questo quadro spicca la tecnica pittorica di Giorgione, che dipinse per campiture cromatiche dense e materiche, stese direttamente sulla tela senza contorni netti. Pennellate chiare danno origine a vivaci colpi di luce in particolari come la mano. L’assenza di uniformità è eccezionalmente moderna e rappresenta un contributo fondamentale di Giorgione all’evoluzione della pittura. Si tratta del cosiddetto tonalismo, tecnica tipica della tradizione artistica veneta del 1500, legata ad una nuova percezione del colore. Con la progressiva stesura, tono su tono, di velature sovrapposte, si ottiene un effetto plastico in cui il colore diventa l’elemento che dona volume e spazio prospettico. Si ottengono così effetti di luce, ombra e profondità senza l'uso del chiaroscuro, ma solo con variazioni di colore.
Giuditta con le testa di Oloferne (1512), uno dei capolavori della collezione artistica BNL, è un prezioso olio su tavola di Lorenzo Lotto, firmato e datato in alto a destra “l. Lotus 1512”. Il dipinto qui esposto riprende uno dei più noti episodi della tradizione biblica ambientato durante il regno del re babilonese Nabucodonosor, che affida al generale assiro Oloferne la campagna d’Occidente contro il popolo di Israele. ll dipinto raffigura l’episodio saliente della storia dell’eroina ebrea Giuditta - a cui è dedicato un intero libro della Bibbia cristiana a lei intitolato. Nel corso della guerra la città di Betulia è posta sotto assedio e la sua popolazione ridotta allo stremo delle forze. Qui entra in scena il piano della ricca e bella vedova Giuditta che, con uno stratagemma, si reca nel campo nemico, finge di cedere alle seduzioni di Oloferne e, durante un banchetto, lo fa ubriacare e lo uccide. L’artista dipinge Giuditta come una donna elegante del 500, nonostante compia azioni tradizionalmente ritenute “maschili”. I capelli biondi sono raccolti in un’acconciatura molto in voga nel XVI secolo: piccole trecce di capelli arrotolate a un sottilissimo panno che era un oggetto molto importante per le signore e figura in grandi quantità nei loro corredi cinque-seicenteschi. Giuditta, subito dopo aver ucciso e decapitato Oloferne, si accinge, ancora con la spada in pugno, a nascondere la testa del generale assiro nella bisaccia dei viveri tenuta aperta da un’attonita serva. In ambito veneziano il soggetto è stato affrontato anche da Giorgione intorno al 1505 con la scultorea Giuditta dell’Ermitage. Lotto fonde la lezione dell’ambiente artistico romano con la matrice veneziana e, prediligendo il taglio compositivo a mezza figura, annovera la sua eroina nella galleria delle “belle donne”. Osservando il dipinto, si può notare sotto la scollatura un ornamento simile a una croce, a ricordare che Giuditta fu considerata una prefigurazione della Madonna. Gli orecchini pendenti con pietre trasparenti multicolori seguono l’inclinazione del capo e una ricca fibbia orna i lacci che stringono il corpetto in cintura. La precisione da “intenditore” nella resa dei gioielli rivela i rapporti del pittore con alcuni orefici, tra i quali Bartolomeo, uno dei tre fratelli Carpan di Treviso.
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Lo stesso episodio è narrato anche da una tela di Paolo Veronese, databile al 1580 circa, che raffigura con estremo realismo il momento in cui Giuditta consegna le macabre spoglie alla sua ancella Abra, pronta a riceverle nella bisaccia dei viveri. La testa del generale, successivamente esposta dalle mura della città assediata, induce gli Assiri a ritirarsi. Il confronto tra le due tele è piuttosto interessante, e dimostra il vivo interesse degli artisti cinquecenteschi per la figura femminile vista da un punto di vista eroico. Sempre del Veronese, Venere e Adone (1586 circa) dal Kunsthistorisches Museum e Il Ratto di Europa (1576-1580), da Venezia, Fondazione Musei Civici.
Tra le opere esposte figura inoltre Peccato originale (1550-1553), di Tintoretto, proveniente dalla Galleria dell’Accademia di Venezia, che illustra un altro passo biblico, quello del peccato originale compiuto da Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden. Su un muretto di pietre a due livelli sono raffigurati Adamo, nella parte più bassa e al lato sinistro, ed Eva, in quella leggermente più alta e al lato destro. Al centro tra le due figure si trova l'albero della conoscenza del Bene e del Male di cui Dio aveva intimato di non mangiare i frutti. Eva, ingannata dal demonio sotto forma serpente con in bocca il frutto proibito, porge ad Adamo il frutto. Sullo sfondo a destra l’angelo con la spada infuocata caccia Adamo ed Eva dal Paradiso.
Il percorso prosegue con due splendidi dipinti di Palma il Vecchio: Giovane donna con vestito blu e Giovane donna con vestito verde (1512-1514 circa), e Ninfe al bagno (1525-1528 circa) dal Kunsthistorisches Musem.
Per finire, altre opere di grande forza espressiva di Paris Bordone, Giovanni Cariani, Bernardino Licinio, Giovan Battista Moroni, Palma il Giovane, Alessandro Bonvicino detto il Moretto arricchiscono questo interessante percorso nella pittura di soggetto femminile della Venezia cinquecentesca. Una mostra dunque da non perdere, che pone anche una riflessione riguardo alla panoramica dei “gender studies”.