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Victor Vasarely

Una vita che abbraccia un secolo
di Rita Lombardi
Il Museo d’Arte Moderna del Centro Pompidour di Parigi accoglie dal 6 febbraio, per tre mesi, una grande retrospettiva dal titolo “Vasarely, le partage des formes” dedicata all’artista ungherese (naturalizzato francese nel 1961), considerato il padre della “Optical Art”, brevemente Op-Art.
Vega 1957
Op-Art e Arte Cinetica
In netta opposizione con l’ideologia esistenziale dell’Informale, della Pop-Art, dell’Antirazionalismo in generale, l’Op-Art e l’Arte Cinetica assumono forma di movimenti artistici internazionali verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso.
Utilizzando colori contrastanti e forme geometriche semplici e ripetitive, l’Optical Art vuole produrre illusioni di profondità, di rilievo e di movimento, con- fondere o animare lo sguardo senza far ricorso ad un effettivo movimento dell’opera stessa, mentre le opere dell’Arte Cinetica sono composizioni geometriche mobili, esse cioè si muovono veramente per effetto o dell’aria o dell’acqua o del- l’elettricità o per azione dell’osservatore che può toccarle e metterle in moto. In entrambe le correnti si sperimentano nuovi materiali, come il plexiglass, l’alluminio o la plastica.
Questi sono artisti che ritornano ai principi del Bauhaus con la sua attenzione al sociale, che hanno fiducia nel futuro, nella scienza e nelle innovazioni tecnologiche, come i Futuristi e che seguono in parte l’impostazione filosofico-morale delle Avanguardie Storiche. Studiano, pertanto, i lavori di Albers e di Itten, le opere di Malévitch e le “Compenetrazioni iridescenti” di Balla. Aspirano ad analizzare sistematicamente i fenomeni percettivi al fine di creare una scienza dell’Arte innovativa e utile alla società. Per le loro opere utilizzano un linguaggio pulito ed essenziale, scientifico ed universale, fondato sulle conoscenze della fisica, della biologia e della psicologia. Siamo in presenza, non soltanto, di un impegno continuo di studio e di sperimentazione, ma anche di un atteggiamento morale innovativo e rigoroso, come afferma Otto Piene “la torbidezza del colore è espressione della torbidezza dell’uomo”.
Alcuni artisti come Victor Vasarely e Bridget Riley producono opere esclusivamente nell’ambito della Op-Art, altri come Alexander Calder con i suoi “mobiles”, Yvaral, Otto Piene o Gianni Colombo si muovono solo nella corrente dell’Arte Cinetica, di altri ancora, come ad esempio, Julio Le Parc, abbiamo opere sia di Op-Art, che di Arte Cinetica.
La famosa gallerista parigina Denise René è la prima, in assoluto, a presentare al pubblico le opere di Op-Art e Arte Cinetica organizzando nel 1955 la storica mostra “Le mouvement”. Vi espongono oltre a Victor Vasarely, Alexander Calder, Marcel Duchamp, Jacoov Agam, Nicolas Schöffer, Paul Bury, Jesus Rafael Soto, Jean Tinguely.
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L’uomo Vasarely
Victor Vasarely nasce il 9 aprile 1906 a Pécs, e qui trascorre l’infanzia e l’adolescenza. Nel 1925 è a Budapest, dove inizia a frequentare, per incitamento del padre, i corsi di medicina, ma nel 1927 cambia idea e si iscrive all’Accademia Artistica privata Podolini-Wolkman, dove riceve un insegnamento tradizionale. Inizia a creare manifesti pubblicitari. Ma a Budapest esiste anche il Mühely, un istituto artistico fondato nel 1927 da un ex professore del Bauhaus, Sandor Bortnyik. Vasarely inizia a studiare in questa scuola, da lui definita il “Bauhaus ungherese” due anni dopo, nel 1929. L’anno successivo sposa Claire, conosciuta al Mühely e con lei si trasferisce a Parigi, dove lavora come grafico pubblicitario. Nel frattempo dipinge e studia gli effetti ottici nella grafica.
Nel 1931 nasce il primo figlio André e nel 1934 Jean-Pierre, che sarà anche lui artista con il nome di Yvaral. Nel 1940 conosce la gallerista Denise René, ma inizia il periodo buio dell’occupazione nazista (giugno 1940) e quindi la prima mostra di Vasarely è nel 1944 con gli “Studi grafici”, tra i quali la famosa “Zebra” (fig.1).
Tra il 1994 e il 1947 subisce l’influenza del Cubismo, del Futurismo, dell’Espressionismo, del Surrealismo, successivamente da lui definite “Fausses Routes”.
Nel 1947 la svolta, Vasarely inizia lo studio dell’astrazione geometrica, “la forma nelle forme”. Tra il 1947 e il 1953 produce le opere classificate Gordes-Cristal (Gordes è la località dove ha acquistato una cascinetta verso la fine degli anni ‘40); sono opere caratterizzate da semplici forme e pochi colori. Questo periodo si conclude con l’“Hommage à Malévitch” (fig.2).
Nel 1950 la prima mostra in Europa a Copenhagen.
Nel 1955 la mostra “Le Mouvement”, prima citata, lo rende famoso a livello internazionale; tre anni dopo le sue opere sbarcano a New York e a Buenos Aires.
Nel 1963 presenta la serie “Folklore planetario” di cui fa parte “Vega” (fig. 3) e la serie “Alfabeto plastico”.
Il 1964 è l’anno della mostra “The Responsive Eye” al MOMA (Museum of Modern Art) di New York e della presentazione della serie “Hommage à l’Exagone”.
Negli anni successivi produce rilievi, multipli, sculture e dipinge quadri con colori vivaci e contrastanti, abbandonando del tutto il binomio bianco/nero.
Si dedica alla costruzione di due centri: il Centro Didattico di Gordes (smantellato nel 1996) e quello di Aix-en-Provence, ancora esistente. Sulle facciate di questi edifici, Vasarely applica le gigantografie dei suoi quadri più famosi.
Nel 1993 le sue opere fanno una tournée in varie città del Giappone.
Muore a Parigi il 15 marzo 1997.
Le sue opere hanno avuto una grande risonanza internazionale, influenzando mo- da e cinema e comparendo spesso sulle copertine di riviste e libri di divulgazione scientifica.
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Vasarely teorico della Optical Art
Nel “Manifeste Jaune” pubblicato nel catalogo della mostra “Le Mouvement” del 1955 scrive: “Due forme-colori formano l’unità plastica, vale a dire l’unità di quel- la creazione artistica e la persistente, onnipresente dualità viene finalmente riconosciuta inscindibile” e continua dichiarando che la geometria (quadrato, cerchio, triangolo, etc.), la chimica (cadmio, cobalto, cromo, etc.), la fisica (spettro, intensità dei colori, etc.) costituiscono dei parametri costanti, essendo elementi di un linguaggio che non soltanto è universale e universalmente percepito, ma che si trova alla base di tutte le immagini e di tutte le opere d’arte, ed è questo linguaggio che essi come gruppo vogliono usare esplicitamente.
Anni dopo, per descrivere la Optical Art, si esprime così: “La posta in gioco non è più il cuore, ma la retina, e l’anima bella ormai è divenuta oggetto della psicologia sperimentale. I bruschi contrasti in bianco e nero, l’insostenibile vibrazione dei colori complementari, il baluginante intreccio di linee e le strutture permutate... sono elementi della mia opera il cui compito non è più quello di immergere l’osservatore in una dolce melanconia, ma di stimolarlo, e il suo occhio con lui”. Dichiara inoltre che l’instabilità percettiva che ne deriva è volta a rendere lo spettatore partecipe dell’opera tramite la sua reazione/interpretazione dell’opera stessa.
Nel 1963 confessa: “Una frase (di Bohr, Dirac, De Broglie o di Wiener o di Heisenberg?... non lo so) mi ha colpito come un colpo di frusta, «in fin dei conti, si potrebbe considerare lo spazio-tempo come una deformazione della materia-energia». La fisica pura si rivelava all’improvviso davanti ai miei occhi incantati, il paesaggio abituale spariva, certezza e incertezza si alternavano. Portato dalle onde, fuggivo in avanti, verso l’atomo, verso le galassie, superando campi di attrazione e di repulsione”.
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L’Artista Vasarely
Vasarely porta avanti, con metodo rigorosamente scientifico, la ricerca visiva, basandosi sulla legge ottica dei contrasti simultanei e sulla teoria dei colori. La sua operazione non è volta ad esprimere contenuti simbolici, ma vuole offrirsi soltanto come oggetto della percezione, organizzata su dati matematici, e l’oggetto stesso viene desunto attraverso una serie di processi mentali. Infatti il suo scopo non è la percezione come modo di recepire un dato, ma come fase mentale o pensiero e lo spazio è uno spazio strutturato secondo rapporti quantità-qualità che sono propri della mente umana. Vasarely giunge così alla percezione pura, che esclude ogni trasmissione sensoria ed emozionale. Egli porta a compimento il principio alla base dell’arte astratto-geometrica, cioè che la bellezza pura e universale è raggiungibile solo con l’ar- monia di forme elementari e colori puri.
Vasarely dipinge i primi quadri con i colori ad olio, ma dal 1960 usa esclusivamente i colori acrilici, che ha sperimentato per la prima volta nel 1953 in “Hommage à Malévitch”.
Ora mi soffermo su tre opere: Hat-leg (fig. 4), Torony (fig. 5) e Lava (fig. 6).
Le prime due opere appartengono alla serie “Hommage à l’Exagone”. In questa serie Vasarely elabora il paradosso dei cubi reversibili, già noto agli antichi Romani (è presente infatti in molti mosaici di quell’epoca). In che cosa consiste questo paradosso? Due rombi adiacenti ad un altro rombo compongono un esagono (da qui il nome della serie) e, nello stesso tempo, sono visti come facce di un cubo; possono essere interpretati sia come le tre facce interne e, allora, il cubo sprofonda, o sia come le tre facce esterne e, allora, il cubo emerge. è facile ottenere questo effetto colorando le facce con sfumature di grigio o di ocra, ma molto più complesso, come fa Vasarely, con colori vivaci e contrastanti: richiede sperimentazione ed esperienza. Inoltre il tema viene da lui sviluppato con grande virtuosismo, portandolo ad effetti mai ottenuti prima. Per esempio in Hat-Leg (fig. 4) più cubi reversibili sono dipinti in modo che sembrino spalmati su di una superficie convessa.
In altre opere della serie i cubi si inseriscono in altri cubi, oppure i rombi diventano parallelogrammi che creano paral- lelepipedi, come in Torony (fig. 5).
Sublime è poi, secondo me Lava (fig. 6). Ho l’impressione che più superfici convesse coabitino sulla medesima tela. Sembrano bolle che vogliono emergere, proiettarsi fuori dal quadro, quasi, quasi, stanno per scoppiare! L’opera è stata eseguita nel 1984, quando Vasarely ha 78 anni. Davanti a me appare un uomo che conserva l’atteggiamento meravigliato ed entusiasta dell’adolescente che studiava fisica al liceo, un artista che desidera condividere con noi la sua visione, non la natura delicata o terribile che scorgiamo abitualmente, bensì le basi fisiche e matematiche, eterne ed immutabili, che supportano tali spettacoli, quasi un Leonardo Da Vinci!
Nella sua opera arte e vita erano una cosa sola.