GIUSEPPE AMADIO - Bi-Valente - Chiostri di Santa Caterina
Chiostri di Santa Caterina - Oratorio de’ Disciplinanti
Finalborgo - Finale Ligure (SV)
dal 31 marzo al 19 aprile 2018
“Mi hanno suggerito questa mostra due amici che in fatto di artisti non sbagliano mai. Non si sbagliavano, infatti”
Un quadro di Amadio, apparentemente, non rappresenta nulla: non è che una superficie accuratamente suddivisa, per mezzo di estroflessioni, in un certo numero di porzioni di diversa estensione, dipinti, sapientemente, con colori piatti; alle volte in monocromia, in questa occasione con al più due colori, a ottenere un seducente e cangiante effetto tono su tono.
Va da sé che un simile quadro non commuove né attiva istantaneamente alcuna declinazione emotiva. Lo schema compositivo è rigorosamente di geometrica ascendenza ma l’intento dell’autore non pare essere quello di esaltare una potenziale metafisica bellezza delle forme geometriche. Queste, almeno, le personali sensazioni di impatto, innanzi ai lavori di un artista che non avevo mai incontrato, appena sapevo chi era pur avendo già presenziato, lui, in terra albisolese, ma questo certo non fa notizia. Non l’avevo mai nemmeno avuto nel mirino, forse perché in penombra rispetto alle fanfare e gli strombazzi di tanti suoi colleghi. E allora, direte voi, cosa vuol dimostrare o almeno significare, l’opera di Amadio presentata in questa circostanza?
Per quanto un suo quadro (e per ora così lo definiamo) appaia piuttosto semplice e schematico alla prima osservazione, ad uno sguardo più attento o almeno più misurato, meno frettoloso intendo, non può sfuggire una certa forma di eleganza, priva di genio ma ricca di maestria che chiama lo spettatore a un piacere tutto particolare, perfino sospeso, affine all’osservare, sdraiati, lo scorrere delle nuvole in cielo. E’ un godimento sottilmente fisico generato dal puro disporsi della pittura nello spazio, dalla leggerezza delle sue movenze, dal mutare delle condizioni luminose, dal perseguimento compiaciuto e compiacente di un equilibrio che non è necessariamente, per Amadio, conseguenza della simmetria. E se il punto di arrivo è sempre una composizione geometrica, il punto di partenza è proprio il colore inteso come dato della percezione e come sensazione visiva e tattile. Nella sua apparente immediatezza, la percezione di un fatto coloristico, come lo definiva Argan, è un atto estremamente articolato e solo attraverso la profondità, la variazione, la durata, il movimento del colore si può rappresentare visivamente lo spazio. E, sempre prendendo a prestito alcune non scontate riflessioni arganiane - che si possono facilmente estendere al lavoro di Amadio -, posto che la qualità di un colore è sempre relativa al campo (inteso come zona di estensione), ne discende che lo stesso colore assumerà valori diversi quando risalti su campi diversi e che, anche quando il campo rimanga lo stesso, sarà diverso secondo che si tratti di zone giustapposte o di una zona isolata. Il valore dell’estensione è, infatti, assolutamente fondamentale nei casi in cui si voglia rendere un effetto di colore mediante l’impiego di due sole gradazioni o due distinte tonalità. Inoltre se la superficie è piana, concava o convessa, continua o discontinua, in luce o in ombra, va da sé che la percezione finale del valore cromatico non è univoca e assoluta. La dilatazione spaziale di Amadio è un intervento che scompone la continuità del campo di azione in un numero finito di unità linguistiche elementari cambiando l’immagine percepita. L’azione del curvare la tela affida alla luce il compito di evidenziare le relazioni tra le parti risultanti e le eventuali disparità. Concretizza, di fatto, momenti di focalizzazione visiva, definendo o modificando lo spazio. Da qui l’idea dell’estroflessione come soglia, come nozione di limite che può essere assimilata a quella di un vuoto o un silenzio. Soglia intesa quindi come pausa, intervallo di un fare che potrebbe non avere un preciso termine. Un tempo di attesa, una disuguaglianza, uno slittamento che rimette in causa un nuovo principio, in un sottile gioco di rinvii in cui il rapporto di affinità e disparità costituisce il testo su cui esercitare lo sguardo. Ancora, una superficie piana, quando è sollecitata da una ondulazione, attiva uno sviluppo verso la tridimensionalità. Per questo la designazione “quadro” in riferimento al suo lavoro mi sembra riduttiva. Per Amadio non può esserci separazione tra pittura e scultura. La realizzazione plastica che ne consegue supera i limiti del supporto attraverso sollevamenti e ripiegamenti che generano risonanze spaziali, secondo una linea di pensiero che ha le sue radici nelle avanguardie storiche di segno astratto e, in particolare, nell’ambito del costruttivismo scultoreo e, più facilmente, nell’ambito della ricerca di oggettuale ascendenza tipica dei primi anni Sessanta. La componente programmata, la metodologia progettuale, la volontà di indagine dei fenomeni percettivi fanno afferire la ricerca del nostro autore alle poetiche allora dominanti. Bonalumi diceva “…fare l’opera con la tela e non sulla tela…” a significare “fare pittura superando la pittura”. I rapporti di proporzione, gli spessori, le distanze, l’alternanza dell’interno e dell’esterno, di un prima e di un dopo, le proiezioni di ombre come effetto derivato, sono perciò i caratteri che connotano il formarsi delle opere di Amadio e ne determinano le possibilità di incidenza spazio dinamica e spazio temporale.
Ma il vero intento, in questo caso, non è riproporre vecchi schematismi o artificiosi cloni, quanto insistere nell’approfondire quel rapporto tra struttura e colore che mai è di dipendenza quanto di incessante e forse imprendibile contaminazione. Amadio credo cerchi una cosa che gli artisti conoscono bene, cioè un punto da cui guardare le cose che non esisterebbe se non ci fossero loro.
Riccardo Zelatore
Finalborgo - Finale Ligure (SV)
dal 31 marzo al 19 aprile 2018
“Mi hanno suggerito questa mostra due amici che in fatto di artisti non sbagliano mai. Non si sbagliavano, infatti”
Un quadro di Amadio, apparentemente, non rappresenta nulla: non è che una superficie accuratamente suddivisa, per mezzo di estroflessioni, in un certo numero di porzioni di diversa estensione, dipinti, sapientemente, con colori piatti; alle volte in monocromia, in questa occasione con al più due colori, a ottenere un seducente e cangiante effetto tono su tono.
Va da sé che un simile quadro non commuove né attiva istantaneamente alcuna declinazione emotiva. Lo schema compositivo è rigorosamente di geometrica ascendenza ma l’intento dell’autore non pare essere quello di esaltare una potenziale metafisica bellezza delle forme geometriche. Queste, almeno, le personali sensazioni di impatto, innanzi ai lavori di un artista che non avevo mai incontrato, appena sapevo chi era pur avendo già presenziato, lui, in terra albisolese, ma questo certo non fa notizia. Non l’avevo mai nemmeno avuto nel mirino, forse perché in penombra rispetto alle fanfare e gli strombazzi di tanti suoi colleghi. E allora, direte voi, cosa vuol dimostrare o almeno significare, l’opera di Amadio presentata in questa circostanza?
Per quanto un suo quadro (e per ora così lo definiamo) appaia piuttosto semplice e schematico alla prima osservazione, ad uno sguardo più attento o almeno più misurato, meno frettoloso intendo, non può sfuggire una certa forma di eleganza, priva di genio ma ricca di maestria che chiama lo spettatore a un piacere tutto particolare, perfino sospeso, affine all’osservare, sdraiati, lo scorrere delle nuvole in cielo. E’ un godimento sottilmente fisico generato dal puro disporsi della pittura nello spazio, dalla leggerezza delle sue movenze, dal mutare delle condizioni luminose, dal perseguimento compiaciuto e compiacente di un equilibrio che non è necessariamente, per Amadio, conseguenza della simmetria. E se il punto di arrivo è sempre una composizione geometrica, il punto di partenza è proprio il colore inteso come dato della percezione e come sensazione visiva e tattile. Nella sua apparente immediatezza, la percezione di un fatto coloristico, come lo definiva Argan, è un atto estremamente articolato e solo attraverso la profondità, la variazione, la durata, il movimento del colore si può rappresentare visivamente lo spazio. E, sempre prendendo a prestito alcune non scontate riflessioni arganiane - che si possono facilmente estendere al lavoro di Amadio -, posto che la qualità di un colore è sempre relativa al campo (inteso come zona di estensione), ne discende che lo stesso colore assumerà valori diversi quando risalti su campi diversi e che, anche quando il campo rimanga lo stesso, sarà diverso secondo che si tratti di zone giustapposte o di una zona isolata. Il valore dell’estensione è, infatti, assolutamente fondamentale nei casi in cui si voglia rendere un effetto di colore mediante l’impiego di due sole gradazioni o due distinte tonalità. Inoltre se la superficie è piana, concava o convessa, continua o discontinua, in luce o in ombra, va da sé che la percezione finale del valore cromatico non è univoca e assoluta. La dilatazione spaziale di Amadio è un intervento che scompone la continuità del campo di azione in un numero finito di unità linguistiche elementari cambiando l’immagine percepita. L’azione del curvare la tela affida alla luce il compito di evidenziare le relazioni tra le parti risultanti e le eventuali disparità. Concretizza, di fatto, momenti di focalizzazione visiva, definendo o modificando lo spazio. Da qui l’idea dell’estroflessione come soglia, come nozione di limite che può essere assimilata a quella di un vuoto o un silenzio. Soglia intesa quindi come pausa, intervallo di un fare che potrebbe non avere un preciso termine. Un tempo di attesa, una disuguaglianza, uno slittamento che rimette in causa un nuovo principio, in un sottile gioco di rinvii in cui il rapporto di affinità e disparità costituisce il testo su cui esercitare lo sguardo. Ancora, una superficie piana, quando è sollecitata da una ondulazione, attiva uno sviluppo verso la tridimensionalità. Per questo la designazione “quadro” in riferimento al suo lavoro mi sembra riduttiva. Per Amadio non può esserci separazione tra pittura e scultura. La realizzazione plastica che ne consegue supera i limiti del supporto attraverso sollevamenti e ripiegamenti che generano risonanze spaziali, secondo una linea di pensiero che ha le sue radici nelle avanguardie storiche di segno astratto e, in particolare, nell’ambito del costruttivismo scultoreo e, più facilmente, nell’ambito della ricerca di oggettuale ascendenza tipica dei primi anni Sessanta. La componente programmata, la metodologia progettuale, la volontà di indagine dei fenomeni percettivi fanno afferire la ricerca del nostro autore alle poetiche allora dominanti. Bonalumi diceva “…fare l’opera con la tela e non sulla tela…” a significare “fare pittura superando la pittura”. I rapporti di proporzione, gli spessori, le distanze, l’alternanza dell’interno e dell’esterno, di un prima e di un dopo, le proiezioni di ombre come effetto derivato, sono perciò i caratteri che connotano il formarsi delle opere di Amadio e ne determinano le possibilità di incidenza spazio dinamica e spazio temporale.
Ma il vero intento, in questo caso, non è riproporre vecchi schematismi o artificiosi cloni, quanto insistere nell’approfondire quel rapporto tra struttura e colore che mai è di dipendenza quanto di incessante e forse imprendibile contaminazione. Amadio credo cerchi una cosa che gli artisti conoscono bene, cioè un punto da cui guardare le cose che non esisterebbe se non ci fossero loro.
Riccardo Zelatore