Era mio padre

di Ornella Aprile Matasconi.
Giovanni Battista Aprile nasce a Roma il 12 luglio del 1939. Artista autodidatta eclettico e geniale, è pittore, scultore, cesellatore e restauratore, ma sperimenta numerose altre forme di espressione artistica, dalla poesia alla musica e al canto. Talento puro, marito di Vittoria, papà di Ornella, il suo più grande capolavoro è la sua famiglia. Piena di amore e di calore, come la sua numerosa famiglia di origine (otto fratelli), sarà per lui sempre un valore assoluto al di sopra di tutto e fonte di ispirazione artistica. Umile e gentile, e al tempo stesso imponente e carismatico, sembra uscire da una bottega d’arte rinascimentale, Giovanni Aprile.
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Cimentatosi fin da giovanissimo nell’arte del disegno a china colorata, da lui stesso prodotta con una struttura segreta, nelle sue opere esplora le molteplici possibilità consentite dalla tecnica (acquerello, carboncino, matita, tempera, olio, acrilico) con un’attenzione particolare all’arte applicata, realizzando in materiali diversi opere a tutto tondo (applique, lampadari, gioielli). La passione per la china colorata – racconta - nasce sui banchi di scuola, dove c’era solo il calamaio con l’inchiostro nero, quasi un “insulto” alla sua fantasia e alla sua libertà. Così inizia a fare semplici scarabocchi, poi i primi paesaggi a colori che il maestro apprezza, tanto da strappargli via le pagine dal quaderno per conservarli e il piccolo Giovanni è costretto a subire anche i rimproveri severi di sua madre quando, arrivato a casa, vede quei fogli mancanti. Nelle sue passeggiate per le campagne romane poi, raccoglie bacche ed altri frutti per studiare la miscela di inchiostri colorati con cui non solo scrive, ma compone anche bozzetti di disegni paesaggistici e caricature. Musica e Poesia Ereditata dal padre una voce tenorile di gran pregio, sin da ragazzo si fa notare per le sue doti canore. Viene selezionato dal maestro Loris Solinghi, artista e regista di fama internazionale, come “la voce più bella d'Italia”, ottenendo dal maestro stesso in premio lezioni di canto. Anche altri maestri ed esperti sono concordi nel ritenere la sua una voce da tenore spinto, sia per imposto che per bellezza, “una voce dal colore antico”. Dopo aver tenuto alcune esibizioni musicali, Aprile si dedica alla scrittura di alcune canzoni. Numerose le poesie da lui scritte in tutti i periodi della sua esistenza; una lirica giovanile, “la nostra vita” vinse il microfono d’argento nel 1965, venendo premiata alla RAI da Silvio Gigli. Ha composto anche ballate satiriche ed una poesia dedicata al suo paese d’adozione Sacrofano. Arte
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Raffigura i soggetti più vari con la sua tecnica originale, che dona a tutti particolari effetti di trasparenze e movimenti, e di trame riprese dalla maglia ai ferri, dal velluto, dagli arazzi. La linea predominante è la curva, i colori più usati sono il rosa, il viola e il blu nelle loro quasi infinite tonalità. In tutte le sue creazioni domina la natura: le farfalle, la laguna, la conchiglia, i fiori, la foca, la lumaca, presente in quasi tutti i suoi quadri, anche nell’amatissima tela “Città futura”. L’arte astratta (unita a quella figurativa) rimane però la sua forma di espressione favorita, e quella che più ha contribuito alla sua fama, in tutte le sue forme, sia nella lavorazione degli oggetti in ferro e dei monili in metallo prezioso, sia nelle sculture in ferro, sia nei dipinti, realizzati con colori a olio, a tempera, ad acquarello e soprattutto a china, come abbiamo ricordato, campo nel quale ha ideato una particolarissima tecnica esecutiva. Forse la caratteristica più straordinaria del talento di Aprile risiede nella formazione completamente autodidatta; pur conoscendo di fama i grandi pittori del passato, egli non ebbe che molto tardi la possibilità di vedere le loro opere, giungendo invece, per via completamente personale, alla messa a punto di tecniche pittoriche e scultoree, nonché di un linguaggio stilistico peculiare. L’armonia policroma con la quale veste le sue invenzioni, l’amore per la conoscenza, la sintonia con la natura, la disponibilità e l’amore mentale, fanno dell’artista Giovanni Aprile un catalizzatore di pensieri ed immagini che riesce a trasmetterci nella suggestione dell’insieme e del particolare. Talento e tecnica, ingegno e perseveranza sono gli strumenti costruttivi di questo personaggio eclettico, valido rappresentante della continuità dell’arte nell’attualità dei nostri giorni.
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Nella sua vocazione artistica occupa grande rilievo la lavorazione del ferro. “Tutti dicono che sia un materiale freddo, ma non è così, è un materiale nobile”, spiega Aprile. Quest’arte non ha per lui alcun mistero, anche per il suo lungo lavoro come restauratore di monumenti di Roma antica dal 1975 al 1990. La sua tecnica di invecchiamento del ferro (arte in cui ormai eccellono pochissimi artisti) ha riscosso l’ammirazione di esperti del settore non solo italiani, ma anche tedeschi e giapponesi. I luoghi più suggestivi dell'antichità hanno visto il suo lavoro attento: Teatro Marcello, Colle Oppio, Casa di Nerone, Casa di Romolo, Mausoleo di Cesare, Mercati Traianei, largo argentina, Circo Massimo, dove ha effettuato il restauro di rivestimenti esterni originali (strutture, grate, cancellate, etc.), o la creazione di nuovi per l’abbellimento delle aree perimetrali (particolarmente belli e impegnativi i gigli fiorentini a forgia). Oltre all’opera di restauro, Aprile ha realizzato preziosi lavori artistici in ferro, oro, ed argento; sculture cesellate, forgiate e battute, sia naturalistiche che stilizzate (la cui produzione si è sviluppata soprattutto negli anni Ottanta), e monili in cui ricorre la figura della rosa, simbolo per lui di bellezza della vita quando bambino, negli anni della seconda guerra mondiale, si fermò estasiato a contemplare un roseto odoroso, che faceva aspro contrasto con il conflitto e i bombardamenti in corso. Negli anni Settanta comincia a dare grande impulso al suo lavoro e studio pittorico, utilizzando tutte le tecniche, dai colori a olio agli acrilici, dalla tempera alla china, che rimane la sua prediletta, anche per la estrema difficoltà che questa tecnica comporta, quando la si vuole rendere così duttile nel realizzare capolavori assoluti, come quelli di Aprile. Dopo aver lavorato in completo isolamento Aprile viene “scoperto” e in breve le sue opere lo portano a esporre in importanti manifestazioni nel nostro paese e la sua fama si estende. Finalmente nel 1999 riesce a esporre nel cuore della sua amata Roma grazie all’Assessore Gianni Borgna e alla sua giunta che gli concede l’uso della ex Chiesa di Santa Rita nei pressi del teatro Marcello. Roma la sua città tanto amata, dove tanto ha lavorato.
Raffaella De Rosa
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Giovanni Battista Aprile, mio papà, che da figlia mi permetto di definire, unico, meraviglioso, generoso, buono, ha amato moltissimo la sua città, Roma, gli ha dedicato cura ed attenzione come ad una madre, restaurandone le parti metalliche, dedicandole una canzone, “Villa Borghese”, dove ripete che Roma “gli ha dato una gran cosa: la vita, con la gioia e l’amor”. Anche se occuparsi della sua città gli ha portato poi il suo grave handicap, lavorava il ferro con il piombo, e il piombo se lo è mangiato. Come famiglia ci siamo amati molto, siamo stati uniti. Io ho sempre sostenuto che mettendoci a tre lati dell’universo se ci avessero fatto una domanda, avremmo dato tutti e tre la stessa risposta.Ora che non ci sei più papà, amo immaginarti come da bambino, “libero”, come quando correvi nei prati sopra la tua casa a ridosso di Montecucco, cercando le bac- che da trasformare in inchiostri colorati per i tuoi disegni. Libero seppur legato ai tuoi amori. Papà ha vissuto gli anni della guerra e del dopoguerra insieme ai suoi sette fratelli, in un quartiere popolare, un comprensorio edificato da Mussolini che ancora oggi ospita migliaia di persone. All’epoca i rapporti di vicinato erano diversi rispetto ad oggi, i ragazzini giocavano in strada, tiravano calci ad un pallone rimediato, correvano nei prati, si buttavano nelle marane per fare il bagno in estate, un po’ come si vede nei film di quegli anni che ben rappresentano la vita romana. Ma nel tempo libero oltre a giocare, i giovani delle famiglie facevano gavetta, presso meccanici, fruttivendoli, panettieri. E mio padre aveva lavorato da un tappezziere, nei banchi al mercato e in un panificio, dove a quattordici anni aveva conosciuto quella che poi sarebbe diventata sua moglie, mia madre: Vittoria, di un anno più piccola di lui. Me ne parlava spesso. Mamma Vittoria, bimba di tredici anni con lunghe trecce e un vestitino rosa, si era presentata al panificio per comprare del pane, era in vacanza da una zia, lei veniva dal paese, da Sacrofano, in quegli anni, era un viaggio giungere da Sacrofano a Roma. E lui se ne innamorò all’istante, tanto da invitarla al cinema, e mamma timidamente accettò e per poterlo fare fece tutti i lavori di casa per ricevere il benestare della zia. Papà rideva raccontando quel loro primo appuntamento, ha sempre raccontato che le mani di mamma odoravano di candeggina, avendo lavato il pavimento come compromesso per uscire. Da allora di an- ni ne sono passati quasi settanta, settanta anni d'amore, di unione, di complicità, di dolori, di gioie... una vita vissuta in armonia e collaborazione.
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Una vita a tre, con me, nata dopo un anno dal loro matrimonio celebrato nel 1963. La mia vita è stata piena e intensa, ho vissuto intensamente i miei splendidi genitori, ho ricordi bellissimi, tanti episodi preziosi custoditi nel cuore e nella mente. Io che mi ammalai seriamente e papà e mamma a curarmi con amore immenso. E poi gli anni della scoperta del mondo dell’arte. Papà che dall’età di sette anni disegnava con colori da lui stesso prodotti, ricavati da bacche che cercava nei boschi, vicino la sua casa, con una lente di ingrandimento che ancora oggi abbiamo, anche se piena di fil di ferro a tenerla, perché ormai consumata e rotta. Decine di anni a dipingere sul frigorifero della cucina nella minuscola casa di Roma, mentre mamma cucinava, oppure la notte, e le sculture che si divertiva a realizzare dopo il lavoro e che portava a casa. Dipinti e sculture tenuti per noi, nascosti in uno sgabuzzino, senza mai pensare ad un progetto di arte, perché per lui non era quella la necessità, ma solo la gioia di produrre segni e oggetti a rappresentare un mondo perfetto. Nemmeno vincere alla Rai un premio per una poesia scritta* all’età di dieci anni ci aveva fatto capire l’ecletticità di papà, nemmeno quando negli anni ‘60 aveva vinto un concorso come più bella voce tenorile italiana, nemmeno allora ci si rese conto delle molteplici qualità artistiche di mio padre. Fin quando non ci trasferimmo a Sacrofano, nella casa da noi edificata con tanto sacrificio, le pareti bianche e grandi da riempire con i suoi quadri e gli spazi da colmare con le grandi sculture in ferro. E poi un giorno qualsiasi, in cui un uomo, un critico d’arte, venne a chiedere un lavoro a mio padre, ricordo esattamente quel giorno; mio padre faceva strada in casa per offrirgli un caffè e il critico d’arte si impietrì nel vedere quei quadri e quelle sculture riempire la nostra casa, esclamando a voce alta: dove avete preso queste cose? E mio padre, con quella sua umiltà e semplicità rispose: le ho fatte io, ti piacciono? Da lì iniziammo ad andare per mostre, per vedere di capire, e ad ogni mostra io e mamma guardavamo papà e capivamo che lui era un artista, un artista che non aveva avuto contatti con nessun altro artista e per questo unico e non contaminato nel tratto. Quei quadri a china colorata sono perfezione, inno alla vita. Il suo soggetto più amato “Vaso di cristallo”, rappresenta la vita, il DNA. Da quel momento vivemmo un crescendo di emozioni, tenemmo mostre in tutta Italia, insieme a galleristi, nelle fiere, in manifestazioni prestigiose. L’impatto delle persone di fronte ai suoi quadri ci fece effetto, con un tipo di pittura così unica e originale, rimanevano spiazzati. Ecco, iniziò così il percorso nell’arte che avrebbe poi fatto di me la sua organizzatrice. Il dolore arrivò quando negli anni papà fu costretto a vivere su una sedia a rotelle a motore, con le mani ormai impossibilitate a dipingere. Di papà dicevano che era ribelle e irrequieto, ma era solo un tipo geniale, difficile da capire, perché avanti, oltre. Ha inventato molte cose, ideato attrezzature che hanno rivoluzionato la vita di molte persone. Ma non se ne è preso mai il merito. Aveva un forte senso di giustizia anche se non conosceva cattiverie, ha combattuto per i suoi ideali che con il tempo abbiamo scoperto avere a che vedere con il suo animo poetico e artistico. Nessuno ha mai dipinto la china come te, papà! La perfezione dei colori e l’abilità acquisita negli anni, la mano sicura che non ha mai sbagliato.
Ornella Aprile Matasconi

La nostra vita
Come il vento strappa la foglia ingiallita,
così con il passar degli anni
il lento cammino della vecchiaia
strappa la mia vita...
O vento che accarezzi
le alte vette bianche, che
sembrano tante testoline
invecchiate dal tempo,
pare che ogni tanto
aspettino il tuo ritorno,
ferme,
immobili,
sembrano dominare tutto e tutti,
esse hanno pazienza e aspettano,
ma la vita non ha pazienza,
tutti cercano di arrivare,
chissà dove...
e come il ruscello, che scende lentamente,
saluta nel passar quelle alte vette,
così è colui che nella vita si mette...
quando vede passar la sua gioventù
e come il ruscello
non potrà mai più tornar su...
e si avvia lentamente
lentamente verso una meta
ignota,
come la foglia inerte che si è spenta alla vita...