HIROSHIGE Visioni dal Giappone …nelle sue quattro stagioni.
Utagawa Hiroshige - Il mare di Satta nella provincia di Suruga - 1858 Serie: Trentasei vedute del Fuji, 1858, quarto mese - 374 x 253 mm - silografia policroma Museum of Fine Arts, Boston William Sturgis Bigelow Collection
di Marina Novelli
Parto per un viaggio lasciando il mio pennello ad Azuma [Edo] per visitare i luoghi celebri della Terra d’Occidente” [il Paradiso della Terra Pura].
Parto per un viaggio lasciando il mio pennello ad Azuma [Edo] per visitare i luoghi celebri della Terra d’Occidente” [il Paradiso della Terra Pura].
…ed è anche ciò che accade ad un visitatore che, entrando nelle ampie sale delle Scuderie del Quirinale, si trova totalmente immerso nelle “Visioni dal Giappone”…incantevoli luoghi celebrati pitto- ricamente dal maestro Hiroshige…sembra proprio di partire per un viaggio alle volte del Sol Levante. Un viaggio che inizia nel 1812 quando Hiroshige, nato nel 1797, comincia a dipingere, e terminando nel 1858 quando egli, forse vittima di un’epidemia di colera, viene sepolto nel giardino di Tōgakuji, tempio zen appartenente alla sua famiglia. Possiamo annoverare la figura di Hiroshige tra i più influenti artisti giapponesi della metà dell’800. La mostra in atto fino al prossimo 29 luglio, espone circa 230 tra le sue mirabili opere, suddivise tra silografie policrome e dipinti su rotolo, coniugandole in ben sette percorsi tematici. Di grande suggestione sono le sue silografie policrome del Mondo Fluttuante, e non a caso infatti Hiroshige è conosciuto come “il maestro delle pioggie e della neve”, soggetti a cui deve la sua celebrità per le illustrazioni di paesaggi e vedute giapponesi nell’arco delle quattro stagioni espresse nelle diverse condizioni atmosferiche. Immagini queste molto determinanti nella cultura dell’epoca perché fonte di conoscenza nella divulgazione del territorio nonché elemento fondamentale nella connessione tra rapporti nazionali. Hiroshige segna un cambio epocale nella espressione pittorica del paesaggio, egli infatti sfrutta l’asimmetria della composizione, ponendo in primissimo piano elementi di grandi dimensioni, tali da sembrarci quasi tangibili…tattili, contrapponendoli ad altri molto lontani e molto piccoli sullo sfondo, ma che ci coinvolgono nella loro “spazialità”, elemento questo che è ricorrente nella sua produzione pittorica e che ci ricorda il repentino “volo d’uccello”. Inoltre le sue campiture piatte, nonché il rincorrersi di linee curve e spezzate, oltre alla serenità che ne trapela, sono state fonte di notevole ispirazione ed influenza per molti artisti europei, quali Van Gogh, Monet, Degas, Toulouse Lautrec e Manet che si appassionavano dinanzi alla produzione delle sue stampe e dipinti dando origine alla corrente del “Japonism”. Verrebbe altresì spontaneo, trovare delle analogie con l’opera del maestro Hokusai, genio fuori dalle righe e dalla personalità notevolmente più tormentata, più cupo anche nelle scelte cromatiche e da cui si differenzia proprio per la serenità, la pacatezza…il silenzio che scaturisce dalla sua espressione pittorica, nonché dalla scelta dei colori…una tavolozza che ci riporta al sentimento di riverenza e amore per la natura nelle rarefatte sfumature di nebbie, nel fitto scrosciare di improvvise pioggie e dal candido silenzio di interminabili paesaggi innevati. Non a caso infatti il sottotitolo alla nostra mostra recita la parola “Visioni” in quanto con la sua opera Hiroshige ci consente di immergerci nella rispettosa bellezza del Sol Levante. Hiroshige è annoverato come uno dei principali esponenti del genere artistico noto come ukiyoe (immagini del Mondo Fluttuante”) che, nato all’inizio del Seicento, sviluppa fino a tutto l’Ottocento come espressione delle nuove tendenze della emergente classe cittadina (chō-nin). Ma vediamo chi è Hiroshige! All’età di soli quindici anni decide di entrare nello studio del maestro Utagawa Toyohiro (1773 – 1828) per apprendere l’arte dell’ukiyoe, dimostrando subito il suo innato talento nell’affrontare temi legati alla beltà, nonché teatrali e storici, realizzando silografie policrome in cui riesce a definire la ricca brillantezza del “broccato”(nishie), mentre in due trittici dimostra lo spettacolo privato di teatro Kynōgen e, non ultimo, il ritratto di cortigiana colta nella insolita posizione a “schiena di gatto”, tema questo totalmente al di fuori dei canoni della scuola del suo maestro Toyohiro. Oltre ad opere di grande distribuzione troviamo i surimono (“cose stampate”) che altri non sono che una serie di biglietti augurali che fungono anche da invito per pubblici incontri e di cui vediamo, ad esempio, due opere: “La danza delle gru” del 1821 dove possiamo notare l’effetto rilievo dell’uso del goffrato (a seguito dell’imprimitura della carta su matrice a secco, seguito poi da una spruzzata di polvere d’oro) e “Carte di poesie in scatole laccate” del 1833. La prima serie delle Cinquantatré stazioni di posta del Tōkaidō, esce nel 1833 ed è composta da ben 55 stampe in totale perché comprende anche la stampa della partenza dal ponte di Nihonbashi situato nel cuore di Edi e l’arrivo al ponte Sanjo di Kyoto. Grazie alla realizzazione pittorica di quei luoghi di
Hiroshige, una volta diffusi è così che divengono celebri, tanto da diventare mete da raggiungere, nonché una sorta di “souvenir”. Questo soggetto infatti segna la fortuna di Hiroshige che trae ispirazione dai numerosi schizzi fatti durante il suo viaggio, nel 1832, ed in cui ha occasione di accompagnare per una parte del viaggio, la delegazione dello Shōgun, a cui era affidato il compito annuale dell’invio di cavalli sacri in dono all’imperatore da Edo a Kyoto, non ultimo quello di trovare pertinenti riferimenti nelle guide illustrate del periodo. Tra gli anni Trenta e Cinquanta dell’Ottocento, Hiroshige produce decine di serie di silografie policrome dedicate ai luoghi celebri (meisho) di tutta l’area geografica nipponica, non escludendo pertanto le province più lontane, sia realizzando schizzi in loco che attenendosi, come abbiamo già visto, alle guide di viaggio. Nel 1834 dedica una serie di dieci stampe alla capitale imperiale Kyoto e nel 1834-35 realizza una serie di otto vedute di ōmi (attuale Shiga), altre otto a Kanazawa nel 1835-36 e poi ancora alla suggestiva isola di Enoshima conosciuta per la sua bellissima scogliera sede del santuario dedicato alla dea Benten e quindi meta di numerosi pellegrinaggi. Non si può non notare inoltre, che tra i formati più fantasiosi, quello del ventaglio rotondo (uchiwa) è quello di maggiore originalità, senza trascurare però il trittico di cui Hiroshige fa uso nella spettacolare serie di panoramiche dedicate ai “Tre bianchi”, riferiti ai fiori di ciliegio, alla luna e alla neve; opera questa di grande fascino dove il bianco dei fiori è sostituito dalla schiuma bianca dei famosi vortici (o mulinelli) di
Naruto, la luna piena illumina gli otto luoghi celebri di Kanazawa affacciati sul mare, mentre la coltre di neve abbraccia le montagne come un grande elefante a riposo, lungo il Kisokaidō. Nel 1858 lo vediamo cimentarsi con il formato verticale (molto caro a Hokusai!) replicandone il successo nelle trentasei vedute del Fuji, nonché della sua famosa “grande Onda”, proponendo invece suggestive vedute del mare di Satta. Una innovativa impostazione espressiva quella di Hiroshige che lascia presagire i prodomi delle tecnologie di impostazioni europee e che segnano il preludio all’avvento della fotografia. Ciò che maggiormente affascina e coinvolge in Hiroshige è la natura calma che manifestandosi lo rende unico nel suo genere, rivoluzionando il modo classico di rappresentare animali, fiori e uccelli. Nelle sue immagini pittoriche sono elegantemente evidenziati i versi dal ricercato contenuto armoniosamente legate con i soggetti rappresentati, tali da renderli notevolmente apprezzati anche dal raffinato mondo dei circoli letterari dell’epoca e che, personalmente, trovo di grande attualità. Le silografie dei “Grandi pesci” pubblicate tra il 1832 e 1842, ritraggono pesci, molluschi e crostacei in un modo molto realistico. Vediamo composizioni di animali fluttuanti, guizzanti come se galleggiassero nell’aria. Il soggetto della carpa e di ayu è molto ricorrente ed è significativamente espresso nei loro movimenti, intensi nelle loro colorazioni e dove è ricorrente il blu di Prussia. Hiroshige per tali raffigurazioni predilige il formato verticale, perché più adatto alle sue composizioni asimmetriche spesso scandite diagonalmente da motivi floreali o da splendidi uccelli dall’elegante piumaggio. Hiroshige inoltre non disdegna la produzione di silografie policrome con temi comici che trae da parodie di eventi antichi e di racconti classici; una selezione di opere che vediamo presenti in mostra e che appartengono al periodo tra il 1840 e 1854. Concludendo possiamo considerare le “Cento vedute di luoghi celebri di Edo” del 1856, quale capolavoro assoluto di Hiroshige ma che purtroppo segna anche la fine della sua conclamata carriera artistica…egli muore infatti, nel 1858. Un sentito e doveroso ringraziamento a Rossella Menegazzo che con Sarah E. Thompson ha curato questo progetto, realizzando una mostra davvero ricca di emozioni oltre ad un indiscusso piacere dell’occhio, nonché alla produzione di Ales S.p.A. Arte e Mondo Mostre Skira in collaborazione con il Museum of Fine Arts di Boston e …last but not least, al patrocinio dell’Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone, dell’Ambasciata del Giappone in Italia e dell’Università degli Studi di Milano.
Hiroshige, una volta diffusi è così che divengono celebri, tanto da diventare mete da raggiungere, nonché una sorta di “souvenir”. Questo soggetto infatti segna la fortuna di Hiroshige che trae ispirazione dai numerosi schizzi fatti durante il suo viaggio, nel 1832, ed in cui ha occasione di accompagnare per una parte del viaggio, la delegazione dello Shōgun, a cui era affidato il compito annuale dell’invio di cavalli sacri in dono all’imperatore da Edo a Kyoto, non ultimo quello di trovare pertinenti riferimenti nelle guide illustrate del periodo. Tra gli anni Trenta e Cinquanta dell’Ottocento, Hiroshige produce decine di serie di silografie policrome dedicate ai luoghi celebri (meisho) di tutta l’area geografica nipponica, non escludendo pertanto le province più lontane, sia realizzando schizzi in loco che attenendosi, come abbiamo già visto, alle guide di viaggio. Nel 1834 dedica una serie di dieci stampe alla capitale imperiale Kyoto e nel 1834-35 realizza una serie di otto vedute di ōmi (attuale Shiga), altre otto a Kanazawa nel 1835-36 e poi ancora alla suggestiva isola di Enoshima conosciuta per la sua bellissima scogliera sede del santuario dedicato alla dea Benten e quindi meta di numerosi pellegrinaggi. Non si può non notare inoltre, che tra i formati più fantasiosi, quello del ventaglio rotondo (uchiwa) è quello di maggiore originalità, senza trascurare però il trittico di cui Hiroshige fa uso nella spettacolare serie di panoramiche dedicate ai “Tre bianchi”, riferiti ai fiori di ciliegio, alla luna e alla neve; opera questa di grande fascino dove il bianco dei fiori è sostituito dalla schiuma bianca dei famosi vortici (o mulinelli) di
Naruto, la luna piena illumina gli otto luoghi celebri di Kanazawa affacciati sul mare, mentre la coltre di neve abbraccia le montagne come un grande elefante a riposo, lungo il Kisokaidō. Nel 1858 lo vediamo cimentarsi con il formato verticale (molto caro a Hokusai!) replicandone il successo nelle trentasei vedute del Fuji, nonché della sua famosa “grande Onda”, proponendo invece suggestive vedute del mare di Satta. Una innovativa impostazione espressiva quella di Hiroshige che lascia presagire i prodomi delle tecnologie di impostazioni europee e che segnano il preludio all’avvento della fotografia. Ciò che maggiormente affascina e coinvolge in Hiroshige è la natura calma che manifestandosi lo rende unico nel suo genere, rivoluzionando il modo classico di rappresentare animali, fiori e uccelli. Nelle sue immagini pittoriche sono elegantemente evidenziati i versi dal ricercato contenuto armoniosamente legate con i soggetti rappresentati, tali da renderli notevolmente apprezzati anche dal raffinato mondo dei circoli letterari dell’epoca e che, personalmente, trovo di grande attualità. Le silografie dei “Grandi pesci” pubblicate tra il 1832 e 1842, ritraggono pesci, molluschi e crostacei in un modo molto realistico. Vediamo composizioni di animali fluttuanti, guizzanti come se galleggiassero nell’aria. Il soggetto della carpa e di ayu è molto ricorrente ed è significativamente espresso nei loro movimenti, intensi nelle loro colorazioni e dove è ricorrente il blu di Prussia. Hiroshige per tali raffigurazioni predilige il formato verticale, perché più adatto alle sue composizioni asimmetriche spesso scandite diagonalmente da motivi floreali o da splendidi uccelli dall’elegante piumaggio. Hiroshige inoltre non disdegna la produzione di silografie policrome con temi comici che trae da parodie di eventi antichi e di racconti classici; una selezione di opere che vediamo presenti in mostra e che appartengono al periodo tra il 1840 e 1854. Concludendo possiamo considerare le “Cento vedute di luoghi celebri di Edo” del 1856, quale capolavoro assoluto di Hiroshige ma che purtroppo segna anche la fine della sua conclamata carriera artistica…egli muore infatti, nel 1858. Un sentito e doveroso ringraziamento a Rossella Menegazzo che con Sarah E. Thompson ha curato questo progetto, realizzando una mostra davvero ricca di emozioni oltre ad un indiscusso piacere dell’occhio, nonché alla produzione di Ales S.p.A. Arte e Mondo Mostre Skira in collaborazione con il Museum of Fine Arts di Boston e …last but not least, al patrocinio dell’Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone, dell’Ambasciata del Giappone in Italia e dell’Università degli Studi di Milano.
“Studiando l’arte giapponese si vede un uomo indiscutibilmente saggio, filosofo e intelligente, che passa il suo tempo a far che? A studiare la distanza fra la terra e la luna? No. A studiare la politica di Bismarck? No. A studiare un unico filo d’erba e le grandi vie del paesaggio, e infine gli animali, e poi la figura umana. Così passa la sua vita e la sua è troppo breve per arrivare a tutto. Ma insomma, non è quasi una vera religione quella che ci insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono in mezzo alla natura come se fossero essi stessi dei fiori? E non è possibile studiare l’arte giapponese, credo, senza diventare molto più gai e felici, e senza tornare alla nostra natura nonostante la nostra educazione e il nostro lavoro nel mondo della convenzione”.
Vincent Van Gogh
Lettera a Theo