L’arte concreta

di Rita Lombardi.

Nell’aprile del 1930 esce a Parigi il primo numero della rivista “Art Concret” di Theo van Doesburg con il manifesto del gruppo omonimo. Ecco alcuni postulati:
“L’opera d’arte deve essere interamente concepita e presente nella mente dell’artista prima di essere realizzata. Non deve contenere nessun elemento legato alla natura, alla sensualità ed ai sentimenti. è bandito il figurativo. Il lirismo, il dramma, il simbolismo, etc. devono essere evitati. L’opera deve rivendicare soltanto l’autonomia di esprimere sé stessa”. Altri punti essenziali sono la ricerca, il calcolo, l’analisi, la geometria.
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Theo van Doesburg, pittore oltreché teorico ha già fondato con Piet Mondrian nel 1917 “De Stijl”, la rivista del neoplasticismo.
Come si vede nell’opera in Fig. 1 van Doesburg, a differenza di Mondrian, introduce un fattore dinamico che spezza e sovverte l’equilibrio statico della composizione: le diagonali. Ed è proprio questo fattore che crea un dissenso insanabile tra i due, anche se entrambi hanno una concezione radicale di un’arte puramente geometrica e vogliono elaborare un linguaggio universale.
Nel 1931 i membri di “Art Concret” si uniscono al gruppo “Abstraction-Creation”, su proposta dello stesso van Doesburg. L’associazione raccoglie, pian piano, la maggior parte delle correnti internazionali di arte non-figurativa finendo col contare nel 1936, anno in cui si scioglie, più di 400 membri. Nel 1932 aderisce in “Abstraction-Creation” anche Max Bill, zurighese, studente tra il 1927 e il 1929 del Bauhaus.
Quando Max Bill aderisce all’associazione ha già maturato autonomamente l’aspirazione ad un’arte autosufficiente, priva di riferimenti al mondo sensibile, non-figurativa, in cui la struttura logica e razionale prevalga sulle tendenze irrazionali.
Quando nel 1936 il gruppo si scioglie, Max Bill raccoglie il testimone e fonda il “Concretismo”.
Per Max Bill “L’arte non è fine a sé stessa, deve irradiare qualcosa, deve far riflettere, deve spingere ad osservare e deve suscitare anche sensazioni”. è convinto che siano sufficienti le leggi della geometria e i colori per concretizzare, rendere cioè visibile, un’idea. Pertanto tramite una composizione di forme colorate ciò che prima non c’era ora c’è, cioè esiste. Ribadisce: “Noi chiamiamo con il termine Arte Concreta le opere d’arte create secondo una tecnica e delle leggi che appartengono esclusivamente ad essa, senza alcun riferimento alla natura sensibile o alle trasformazioni di quest’ultima, cioè senza l’intervento di un processo di astrazione. L’arte concreta è per il suo stesso modo di essere assolutamente indipendente. Essa è l’espressione dello spirito umano e di quella precisione, chiarezza e perfezione che ci si può attendere da opere dello spirito umano… idee che esistevano dapprima solamente come concetto vengono rese visibili se realizzate in forma concreta. L’arte concreta è nella sua conseguenza finale la pura espressione di misura e leggi armoniche.” E continua: “Obiettivo dell’arte concreta è di sviluppare oggetti per uso intellettuale così come l’uomo crea oggetti per l’uso materiale…”
Espone le sue riflessioni teoriche ne “Il pensiero matematico nell’arte del nostro tempo” del 1949 e in “Forma, funzione, bellezza” del 1953.
Finita la seconda guerra mondiale Max Bill incontra artisti, viaggia e diffonde il Concretismo del mondo.
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In Fig. 2 una sua opera piena di vitalità del 1985: sono campi di colori accesi, puri, vibranti che occupano tutto lo spazio della tela.
Max Bill ha realizzato opere in ogni campo, architettura, pittura, scultura, grafica, design, ma è stato anche saggista ed insegnante e così si riassume nel 1991 in occasione di una sua personale a Locarno: “Io ho perfezionato ed ampliato il concetto di arte concreta di van Doesburg… Il mio contributo è stato quello di averne cercato il più ampio ventaglio di possibilità di applicazione”.

L’ARTE CONCRETA IN ITALIA
Max Bill nel 1947 organizza a Milano, insieme a Max Huber e all’architetto Bombelli la grande “Mostra Internazionale di Arte Astratta e Concreta”.
Questo evento spinge un gruppo di intellettuali ed artisti a fondare, sempre a Milano, il MAC (Movimento Arte Concreta). Teorico del movimento è Gill Dorfles, noto critico e studioso, e allora, anche pittore. Tra i fondatori Luigi Veronesi, Bruno Munari, Atanasio Soldati, Mauro Reggiani, Mario Nigro, Augusto Garau.
Questi artisti sono fermamente intenzionati a mantenere distinto il loro modo di creare da tutto l’astrattismo di carattere gestuale e libero, e vogliono evidenziare l’errore di molti critici italiani che usano il termine astratto per indicare sia la scomposizione neo-cubista o le deformazioni neo-impressioniste, sia tutte le forme scaturite dalla fantasia dell’artista. Gill Dorfles chiarisce così il significato di “Arte Concreta”: “è quella corrente che non cerca di creare opere d’arte cogliendo lo spunto o il pretesto dal mondo esterno ed estraendone una successiva immagine pittorica, ma che, anzi, va alla ricerca di forme pure, archetipi, da porre alla base del dipinto, senza che la loro possibile analogia con alcunché di naturalistico abbia la minima importanza, e che, quindi, mira a creare un’arte concreta in cui i “nuovi oggetti” pittorici non siano astrazioni di oggetti già noti”.
Gli artisti del MAC sono mossi dalla convinzione che una società dell’immagine e della comunicazione, quale è quella che si va configurando, necessiti di nuove regole percettive ed interpretative, più razionali, più universali e meno sottoposte alla dittatura degli stati d’animo. Pertanto vedono arte, architettura e design andare di pari passo sotto l’egida della parola “progetto”.
I componenti del MAC, così come gli artisti di Forma1 di Roma, si oppongono fermamente a tutta quell’arte falsamente moderna che non fa altro che aggiornare moduli stilistici ormai sorpassati.
Ora un breve profilo di due famosi esponenti del MAC e poi di altri artisti che, a mio parere, operano secondo i principi testé elencati dell’Arte Concreta.
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LUIGI VERONESI

Nel 1932 soggiorna a Parigi e frequenta Moholy-Nagy e Kandinskij dai quali apprende i principi del Bauhaus. Inizia dipingere opere geometriche.
Nel 1936 aderisce al gruppo “Abstraction-Creation”. Nello stesso anno partecipa, a Torino, alla prima collettiva organizzata in Italia di arte astratta, insieme ad Atanasio Soldati e Mauro Reggiani.
Durante la guerra pone le sue capacità di grafico al servizio del Movimento di Liberazione Nazionale diventando un falsario provetto. è un artista poliedrico, si occupa oltre che di pittura, di grafica e di fotografia, è attivo nel teatro e nel cinema.
Si interessa ai rapporti matematici delle note musicali traducendoli in rapporti tonali di colore creando numerose trasposizioni pittoriche di partiture musicali. Per queste sue ricerche nel colore, percezione cromatica e musica viene chiamato, negli anni ‘70 a ricoprire la Cattedra di Cromatologia e Composizione all’Accademia di Belle Arti di Brera.
In Luigi Veronesi la Matematica diventa opera d’arte.
In Fig. 3 un suo acrilico del 1995.
In Fig. 4 uno dei bozzetti preparatori conservati al MACRO di Roma, per il mosaico, da lui progettato, che si dispiega su una parete del capolinea Anagnina della Metro A di Roma.
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BRUNO MUNARI
Nel 1933 espone a Milano le sue prime “Macchine Inutili”. Confesserà successivamente “Il Futurismo mi ha lasciato il senso del dinamismo, della ricerca”.
Munari passa attraverso le esperienze più diverse, dalle “Macchine Inutili” ai libri per bambini, al design, alla didattica, alla pittura (i famosi quadri della serie Negativo-Positivo sono degli anni ‘50), ma il suo modo di lavorare è sempre lo stesso, improntato al rigore e tendente sempre a semplificare al massimo l’oggetto della sua ricerca fino a proporlo nel modo più chiaro, diretto e facile.
È stato un concentrato di creatività ed un fantasista del design.
In Fig. 5 un suo quadro del 1976 “Curva di Peano”, opera puramente matematica perché ispirata ad una celebre curva, di Peano appunto, che riempie tutto il quadrato e che è stata una delle scoperte più inquietanti della dine del diciannovesimo secolo (1890).
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MARCELLO MORANDINI

Marcello Morandini inizia la sua attività artistica nei primi anni ‘60.
Confessa: “Bruno Munari e ancor più Franco Grignani erano il mio punto di riferimento”.
Comincia a lavorare come grafico in uno studio di Milano e oggi rivela: “La grafica costringe ad un linguaggio chiaro, semplice ed efficace. Mi ha fatto scoprire nella geometria il senso di ogni cosa”.
Nel 1968 Gill Dorfles lo invita alla Biennale di Venezia, con gli artisti di Arte Cinetica e Programmata. Da questo momento per Marcello Morandini è un susseguirsi di mostre, collaborazioni e progetti in giro per il mondo. I suoi lavori in bianco e nero sono vere armonie compositive di grande rigore geometrico. Rivela: “In arte uso il bianco e il nero come una grafica su di un foglio e la forma ha modo di raccontare unicamente la sua bellezza” e aggiunge “di ricercare la forma mai esistita prima, attraverso la semplicità del linguaggio geometrico, che non è mai finito, proprio come il pensiero”.
In Fig. 6 una sua scultura in plexiglass del 2005. Cinquant’anni di lavoro che spazia dalla scultura, ai mobili, agli arredi ed ai progetti di architettura sono ora esposti a Varese in una Fondazione.
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SERGIO LOMBARDO

Sergio Lombardo, uno dei maggiori esponenti della “Scuola di Piazza del Popolo”, psicologo ed artista, può essere considerato tra i principali innovatori del linguaggio artistico internazionale.
Nel 1969 rappresenta l’Italia alla Biennale di Parigi e nel 1970 ottiene una sala personale nel Padiglione Italiano alla Biennale di Venezia. Da vero sperimentatore ha cambiato spesso l’oggetto delle sue ricerche estetiche, famosi sono i suoi Gesti Tipici e gli Uomini Politici Colorati degli anni ‘60. Dal 1980 si dedica alla Pittura Stocastica e dal 1995 anche ai Pavimenti Stocastici, ambedue le serie sono strutture modulari.
In Fig. 7 una Pittura Stocastica del 1993.
L’aggettivo stocastico deriva dal calcolo delle probabilità e, nell’ambito delle arti, viene adottato a partire dagli anni cinquanta per indicare l’uso di procedimenti aleatori nel momento in cui si realizza un’opera artistica.
La pittura stocastica è quindi una pittura sperimentale creata utilizzando molti strumenti matematici come la statistica, la teoria dei grafi, la topologia, il calcolo delle probabilità. Infatti Sergio Lombardo tiene a precisare che stocastico non è sinonimo di casuale, a vanvera, ma di misurato. Scrive:
“La pittura stocastica non è pittura astratta, essa vuole dimostrare la bellezza delle armonie matematiche, non deriva dall’ispirazione dell’artista… alla fantasia è stato sostituito l’uso logico di elementi dati”.
Sergio Lombardo spiega che le sue sono raffigurazioni di poligoni stocastici, ottenuti da quadrati o rettangoli e precisa: “Il principio fondamentale del metodo è l’applicazione di una successione di poligoni stocastici su una successione di punti. Tra le due successioni ci deve essere una corrispondenza biunivoca”. Sia la Pittura Stocastica che i Pavimenti Stocastici “sono stimoli iperambigui realizzati attraverso un programma di tipo matematico per suscitare reazioni interattive nello spettatore”.
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RITA LOMBARDI

Laureata in Matematica e appassionata di scienza e di filosofia orientali, condivido i pensieri testé riportati di Max Bill e Gill Dorfles.
“La mia pittura sperimentale nasce assemblando quadrati, cerchi o triangoli, veri archetipi o traendo idee dalla topologia dei nodi. Nell’ideare un quadro applico alcune conoscenze sulla perczione visiva come il fatto che quando osserviamo una immagine inconsciamente ricerchiamo il centro, notando se questa zona resta vuota, e tracciamo idealmente le diagonali e gli assi orizzontale e verticale. Pertanto sfrutto intenzionalmente l’effetto dinamico comunicato dalle diagonali e/o l’effetto di stabilità ed equilibrio che le rette orizzontali e verticali trasmettono. Ogni volta che creo un’opera ricerco il bilanciamento visivo che è un’esigenza propria del nostro cervello, basata, probabilmente, su una predisposizione biologica, tenuto conto che è tipica anche degli scimpanzè.
Scelgo con cura i colori, puri, vivaci, vibranti sperimentandoli ogni volta e studiando i loro rapporti reciproci perché due o più colori sulla stessa tela possono valorizzarsi, annullarsi o peggio ancora snaturarsi. Tengo quindi conto della loro forza poichè i colori sono energia, a diverse lunghezze d’onda che operano sempre sulla nostra psiche e sul nostro corpo anche se non ne siamo consapevoli.
Sono stata selezionata dalla Galleria Ess&rrE per la trasmissione televisiva Laboratorio AccA su Arte Investimenti.”
In Fig. 8 un quadro eseguito per il XXVIII Porticato Gaetano del 2016 che aveva come tema “Il vuoto tra senso e forma”.
Lo spazio della tela, suddiviso secondo i primi numeri di Fibonacci, è dominato dal rombo centrale, instabile, che rappresenta il “vuoto” che si prova durante la meditazione, quando si attenua, fin quasi a scomparire, la percezione degli stimoli esterni (i campi rossi e gialli), cessa il chiacchiericcio interno e si calmano respiro e battito cardiaco (campi blu e viola). Accentua l’instabilità del rombo il blu di Prussia, un colore che richiama la pace e il silenzio della notte e non è dominante come il nero.