La canestra di Caravaggio. Segreti ed enigmi della natura morta.

Asti – Palazzo Mazzetti
Fino al 7 aprile 2024
A cura di Silvana Gatti.
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Nell’accogliente cittadina di Asti, Palazzo Mazzetti dedica una mostra a Caravaggio e ai pittori del Seicento, svelando ai visitatori i segreti della natura morta. L’evento ha come protagonista la Canestra di frutta, capolavoro di Michelangelo Merisi, ad Asti grazie ad un prestito eccezionale concesso dalla Pinacoteca Ambrosiana, istituzione milanese che accolse il dipinto nella sua collezione allorché il cardinale Federico Borromeo lo acquistò all’inizio del Seicento. Una rassegna unica nel suo genere in quanto offre ai visitatori le chiavi di lettura per leggere il significato intrinseco dei fiori, dei frutti e degli altri oggetti raffigurati nelle nature morte.
Era il 1983 l’anno in cui il primo ministro Bettino Craxi e il ministro del Tesoro Giovanni Goria, con l’accordo del governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi, diedero il via alla emissione di una nuova banconota del valore di centomila lire. Tra le immagini a disposizione della Zecca dello Stato, fu scelto il ritratto di Caravaggio dipinto su carta da Ottavio Leoni nel 1621, conservato presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze - mentre per il recto e per il verso furono scelti due capolavori del Merisi, rispettivamente la Buona ventura del Louvre e la Canestra di frutta qui esposta.
La Canestra di frutta, chiamata all’epoca Fiscella usando un termine latino, fu dipinta a Roma da Caravaggio alla fine del Cinquecento, ed è un quadro che ha cambiato la storia dell’arte in quanto, rispetto alla tradizione precedente, la frutta è l’assoluta protagonista del quadro, senza la presenza della figura umana.
L’opera colpisce per la ricchezza di particolari. Per comprendere il motivo per cui il cardinal Federico Borromeo ha posto l’opera accanto alle Madonne e ai santi della sua collezione, è necessario decifrarne i simboli. Il limone, simbolo di salvezza per via delle sue proprietà curative, è stato appena raccolto dall’albero, in quanto risulta ancora bagnato di rugiada.
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Un po’ nascosto dietro il limone, si intravede il frutto del fico, elemento simbolico nella religione cristiana in quanto Adamo ed Eva, dopo il peccato originale, cacciati dal paradiso, si coprono con una foglia di fico, l’albero simbolo del Bene e del Male; inoltre, nel Medioevo, si credeva che Giuda si fosse impiccato al ramo di un fico. Un frutto, il fico, simbolo del senso di colpa, mentre la mela dipinta in primo piano è il simbolo della tentazione. Caravaggio la rappresenta con un verme che la sta mangiando all’interno, accelerandone la morte. Siamo di fronte a un “memento mori”: Caravaggio invita a riflettere, attraverso i simboli, sulla necessità di scegliere tra il bene e il male. Anche l’uva non è dipinta casualmente. Come recita il Vangelo di Giovanni (Gv 15, 1-8), Gesù disse: “Io sono la vite, voi i tralci”. L’uva nella canestra di Caravaggio è ancora coperta dalla patina bianca che la protegge dai raggi solari prima di essere raccolta. La Chiesa ricopre per Caravaggio un ruolo essenziale nella strada del cristiano verso la salvezza. Anche la pesca ha la sua simbologia. Il frutto secondo Plinio è composto da tre parti, una dentro l’altra: la polpa, il nocciolo e il seme. Tre, come la Trinità - Padre, Figlio e Spirito Santo - a cui bisogna affidarsi per ottenere il perdono. La pesca ha ancora la foglia, simbolo della lingua, invitando il cristiano ad usarla per raccontare solo la verità. Così si arriva alla dolcezza del paradiso, rappresentato dalla pera, succosa e zuccherina. Osservando il quadro si nota come la luce provenga da sinistra, illuminando frutti e foglie rigogliosi e freschi, mentre verso destra le foglie sono marce, secche, fino a diventare soltanto un’ombra. è il ciclo della vita, magistralmente rappresentato con un semplice cesto di frutta, dalla luce all’ombra, dalla vita alla morte. Un messaggio che l’artista sottolinea ponendo la cesta in bilico sulla tavola, un espediente che serve a farla sembrare ancora più vera, come il suo messaggio nascosto che ci indica la strada verso la salvezza.
Nel Seicento, in particolare nel Nord Italia, si trovavano sul mercato dipinti di natura morta che, a differenza dei dipinti caravaggeschi, si basavano su uno sguardo più scientifico e un interesse più laico nei confronti dei prodotti della terra. Tra questi vanno inseriti i dipinti di Octavianus Monfort, artista che, nonostante le scarse notizie disponibili, ha eseguito molteplici quadri, utilizzando principalmente la tecnica della tempera su carta, più povera, veloce ed economica rispetto all’olio su tela. La sua reinterpretazione della Canestra di frutta di Caravaggio esclude la simbologia spirituale, per offrire all’osservatore un’atmosfera serena, attenta semplicemente alla precisione grafica dei singoli elementi. Questa mostra presenta diverse opere su pergamena dell’artista piemontese. Curiosa la presenza di conchiglie incastrate tra i pomi o crostacei in primo piano, che annovera questi dipinti nell’ambito dei quadri dedicati agli elementi esotici, atti a ostentare la ricchezza dei signori piemontesi.
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Dalla fine del Cinquecento, gli artisti nelle loro opere si orientano verso gli umili, descrivendo con realismo l’abbigliamento dei personaggi e gli oggetti che li circondano, oltre a frutta e verdura. È una novità, mentre prima gli oggetti erano posti ai margini della scena, ora diventano protagonisti assoluti, sebbene dobbiamo considerarli ancora elementi “accessori”, a corredo delle caratteristiche del personaggio ritratto. Un passaggio che condurrà alcuni artisti, tra i quali soprattutto Caravaggio, verso il concepimento della natura morta propriamente detta, senza la figura.
E’ molto bello, nella sala dedicata ai caravaggeschi, l’opera Coppia di popolani con natura morta, di un ignoto pittore lombardo, con una coppia di umili personaggi colti in una scena di seduzione, con l’uomo che tiene per il polso la ragazza che contraccambia l’abbraccio. Come in molte opere di Caravaggio, lo sguardo del giovane uomo è rivolto verso il fruitore, creando un’atmosfera di coinvolgimento. Sul tavolo in primo piano, la zucca è posta quale simbolo di abbondanza e fecondità.
Sempre nella stessa sala, attira lo sguardo Ragazzo con vassoio di susine di Nicolas Régnier (Maubeuge 1591 - Venezia 1667), pittore, collezionista e mercante d’arte, un fiammingo che a Roma subisce l’influenza del Caravaggio. Qui la posa del giovane, che offre un vassoio di susine, evoca senza dubbio il Bacco del Caravaggio, grazie all’abbigliamento dimesso del ragazzo, dalla giovanile sensualità. La susina, giunta in Europa dall’Asia, è stata scelta da Régnier in quanto simbolo dell’irruenza giovanile, perché il frutto nasce da un fiore che spunta sui rami dell’albero ancor prima delle foglie.
Non lascia indifferenti l’opera del pittore fiammingo Jodocus (Joost) Van de Hamme (Bruxelles 1629/1630 - Roma 1657), Vecchio sdraiato vicino a verdura e frutta, 1650, per via del contrasto tra l’umiltà del personaggio e l’abbondanza del cibo presente nella scena. È un contadino che, a fine giornata, finalmente assapora i frutti della sua fatica. È un invito al godimento e alla riconoscenza dei doni che la natura offre, con la figura umana che risulta quasi secondaria rispetto ai prodotti in primo piano.
Le nature morte del primo Seicento sono caratterizzate dai dettagli in primo piano di ogni elemento, al fine di esaltare il virtuosismo tecnico dell’artista. Le composizioni sono spesso inserite in uno spazio dal fondo buio, al fine di esaltare il volume dei fiori e dei frutti. Alcune opere sfociano nell’ostentazione dell’eleganza degli interni, al fine di accontentare facoltosi committenti. Basta osservare la Composizione con cesta di frutta e specchio su tappeto, opera della prima metà del XVII secolo di Francesco Noletti detto il Maltese (La Valletta 1611 circa - Roma 1654), per stupirsi della maestria con cui sono raffigurati i minimi particolari, con lo sfondo chiuso da tendaggi al fine di immergere gli oggetti in una dimensione senza tempo, dove le pieghe morbide del pesante tappeto dalle lunghe frange sono quasi un logo dell’artista, le cui opere sono da ascrivere nel genere cosiddetto della “pittura di tappeti”, molto in voga nel Seicento. Non mancano però le simbologie religiose. La melagrana, se rappresentata tra le mani di Gesù Bambino evoca le gocce di sangue che Cristo verserà sulla croce, mentre associata alla Madonna ritrova il suo significato antico, quando era collegata a Venere e Giunone come simbolo di fertilità e prosperità.
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Per il marchese Vincenzo Giustiniani, amico e collezionista di Caravaggio, la natura morta era considerata di media difficoltà nell’elenco delle tecniche artistiche, ed era uno dei generi più richiesti dal mercato per il valore decorativo e per il significato degli elementi raffigurati. I fiori, per la loro caducità, erano simbolo di vanitas, simboleggiando la fugacità dell’esistenza. E non si può parlare di fiori senza citare la pittura fiamminga, tra cui le opere dei due Brueghel, padre e figlio.
Tra i più noti e prolifici pittori fiamminghi del XVI secolo, Jan Brueghel il Vecchio, avviato all’arte dalla nonna miniaturista Marie Bessemers, si lega all’esordio della natura morta come genere autonomo che si esprime con soggetti ricorrenti, tra cui variopinti vasi di fiori. Nella mostra ad Asti, è esposta la bellissima Caraffa di fiori (1591-1595 circa o 1606 - Olio su rame, 28 × 21 cm - Roma, Galleria Borghese, attribuita a Jan Brueghel il Vecchio (Anversa 1568-1625). Soprannominato Brueghel dei Fiori, grazie alla raffinata eleganza della sua pennellata fluida, le sue composizioni floreali sono rese con precisione botanica, probabilmente dipinte dal fiammingo aiutandosi talvolta con lenti d’ingrandimento.
Di Jan Brueghel il Giovane, appartenente alla terza generazione della famosa dinastia di pittori fiamminghi, è esposta la bellissima Natura morta con vaso di fiori, (1640-1660), con splendidi tulipani raffigurati in vari stadi di fioritura. Narra un’antica leggenda persiana che questo fiore - importato dalla Persia nel XVI secolo a Vienna dal console austriaco a Istanbul - sarebbe nato dal sangue e dalle lacrime di una giovane avventuratasi nel deserto alla ricerca del suo amato, diventando così simbolo di amore. In questo dipinto i tulipani sono accompagnati da molte altre specie, tra cui spicca il garofano, che in passato era chiamato anche “chiodino”, per il singolare aspetto del suo frutto. La forma appuntita richiama immediatamente quella dei chiodi piantati sulla croce di Cristo, associando il fiore alla Passione. Mentre la storia racconta che è stato importato in Europa dalla Tunisia verso la fine del XIII secolo, la leggenda vuole che sia spuntato dalla terra sul Golgota dove caddero le lacrime della Madonna. Per questo il suo nome antico era Dianthus, letteralmente “fiore di Dio”.
Non mancano gli artisti nostrani, come la pittrice Orsola Maddalena Caccia (Moncalvo 1596-1676) di cui è esposto il Vaso di fiori con due uccelli (1631-1640). Un dipinto, questo dell’artista piemontese, a metà tra l’allegria, la passione e il presagio della morte, come simboleggiato dagli uccelli, che alludono al volo dell’anima verso Dio.
I due dipinti su tavola rotonda della Bottega di Michele Antonio Rapous (Torino 1733-1819) alludono anch’essi allo scorrere del tempo, grazie alla presenza sullo sfondo di rovine antiche.
In questa mostra sono esposte anche diverse nature morte in cui non compaiono fiori e frutti, ma strumenti musicali e oggetti che non evocano il passaggio dalla vita alla morte. Oggetti temporaneamente accantonati in attesa di essere riutilizzati. Nel dipinto Natura morta con strumenti musicali, stipo e sfera armillare, 1660 circa, di Bartolomeo Bettera (Bergamo 1639-1699 circa), la sfera armillare è un congegno astronomico impiegato per dimostrare il moto e determinare la posizione degli astri attorno alla sfera celeste.
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Inventato presumibilmente nel 255 a.C. da Eratostene (276/272-196/192 a.C.), rappresenta al centro la terra con il suo “asse del mondo”, i cui estremi identificano i poli nord e sud, secondo la concezione tolemaica dell’universo geocen- trico, anche se esistono varianti più tarde, come quella nel dipinto, che pongono il sole al centro, in base alla successiva visione eliocentrica copernicana. Largamente impiegate negli studi astronomici fin dall’antichità, è a partire dal Rinascimento che le sfere armillari assumono il ruolo di vero e proprio simbolo di saggezza e conoscenza. L’opera di Dirck Valkenburg (Amsterdam 1675-1721), Natura morta con selvaggina, fucile e vaso mediceo, del 1701, rappresenta il tipo di quadri prediletto dai cacciatori, come un trofeo in ricordo delle prede catturate. In quest’opera, anche il leone dipinto a rilievo sul vaso nello sfondo non è casuale e potrebbe alludere allo stemma di una famiglia nobile.
Una mostra interessante, questa ad Asti, al fine di indagare i segreti della natura morta. Manca la presenza di altre opere di Caravaggio, come Giovane con canestro di frutta, che avrebbe reso più completa la rassegna, visto il costo del biglietto d’ingresso non proprio economico. Mancanza compensata in parte dalle opere dei pittori fiamminghi e dagli artisti nostrani tra cui Monfort, Orsola Maddalena Caccia e Bartolomeo Bettera.