“Ritratti d’artista” Maestri del '900 Giuliano Vangi
Maestro Vangi perchè ha scelto la scultura come forma espressiva prioritaria della sua arte?
«Non ho scelto io la scultura, è la scultura che ha scelto me. Fin da piccolo ho sempre cercato di modellare, di scolpire qualcosa, magari in un mattone, in un sasso, invece, non mi sono mai impegnato a dipingere, a fare quadri».
Come era la scena artistica dei suoi esordi, lei come si poneva rispetto ai movimenti artistici del tempo. Quali i mutamenti più evidenti, in positivo e in negativo, nel mondo dell'arte che ha registrato negli anni della sua lunga carriera?
«La scena artistica al tempo era popolata da una miriade di movimenti di grande vivacità e originalità d'idee. Io ho guardato con interesse a ciascuno di questi movimenti cogliendone i vari aspetti estetici e teorici, per poi, però, proseguire sulla mia strada sulla base di una mia personale visione. Reputo che il grande fermento artistico e i nuovi modi di fare arte del tempo siano stati per molti versi positivi, per altri meno. Ad esempio, la grande mostra di Henry Moore al Forte Belvedere di Firenze, se da una parte ha fatto conoscere e ha introdotto elementi di assoluta novità che hanno aperto nuove e inesplorati percorsi sul fronte dell'arte astratta e informale anche in scultura, dall'altra ha generato in tantissimi artisti la convinzione che si potesse fare scultura con estrema facilità, levigando forme e mettendo fori a caso, con questo fraintendendo la grande lezione che ci veniva dal maestro anglosassone che, con le sue forme, ha inventato uno stile e un linguaggio scultorei del tutto originali, comunque dotati di quella armonia e perfezione estetico formale, nonchè di una carica poetica ed emotiva, degne della migliore tradizione scultorea del passato».
Quali sono stati i suoi modelli artistici di riferimento del passato?
«Da quando ho iniziato a studiare prima all’Istituto d'arte, poi per un pò in Accademia, ho guardato, innanzitutto, all'arte antica, questo per capire i valori estetici e formali che ci sono stati tramandati. Da ragazzo ero innamorato dell'arte egiziana di cui amavo particolarmente l'essenzialità nella forma, dopo ho rivolto la mia attenzione ai romani e all'arte etrusca. La mia formazione artistica vera e propria mi deriva dallo studio profondo e appassionato del Rinascimento, soprattutto toscano. Vivendo ormai a Firenze, facevo delle immersioni totali nei musei, nelle chiese e in qualunque altro luogo si trovassero opere d'arte. Amo moltissimo Giovanni Pisano, Donatello e Michelangelo, specie quello delle ultime opere. Idealmente sono stati loro i miei maestri e a loro mi sento molto vicino. Ovviamente con il tempo ho cominciato a guardare ai miei contemporanei, all'arte americana astratta e ad artisti quali Smith e Moore così acquisendo una visione più ampia dell'arte e che corrispondeva ai nuovi linguaggi che si andavano affermando».
Artisti si nasce o si diventa?
«Entrambe le cose. Certo, si nasce con una predisposizione. Ma poi si diventa. Le doti naturali, infatti, non bastano a fare di un artista un buon artista, per diventarlo occorre avere spirito di sacrificio, costanza, lavorare con molta umiltà, serietà, senza pensare di fare imprese eccezionali. Se non si hanno poi le doti per andare avanti, allora è scontato che non si va da nessuna parte».
Come vede il mondo di oggi. Quale la visione del mondo che la guida nel suo lavoro?
«È una visione che mi avvilisce quella del mondo di oggi. Viviamo in una terra bellissima, che noi uomini stiamo, però, sciupando sotto tutti gli aspetti, sia umani che naturali. La natura è abusata fin dagli abissi del mare, per poi estendersi, questo abuso, a tutto il resto. Questi aspetti negativi mi procurano un dispiacere profondo. La mia visione creativa è rivolta all'uomo e alla sua azione. Dell'uomo mi interessa tutto. L'uomo mi interessa nella sua totalità, con tutti i suoi problemi e difetti, con i suoi pregi e valori. Con la mia scultura porto avanti una lotta per individuare l'essenza umana, cercando di andare al di là persino del bene e del male».
Nonostante da lungo tempo la sua fama sia di livello internazionale e moltissime delle sue opere siano collocate in luoghi pubblici e privati di grande prestigio in tutto il mondo, lei continua a tenersi piuttosto lontano dalle luci della ribalta, al contrario di molti artisti famosi della contemporaneità che amano e cercano notorietà e consenso affidandosi sempre più spesso a gesti clamorosi e a performance ad alto impatto mediatico. Cosa risponde?
«L'arte per me è poetica della vita. Alla base della mia esistenza c'è il mio lavoro, che amo fare con serietà e senso del dovere. Lavoro quotidianamente più di dodici ore, sei giorni su sette, vado in studio al mattino presto e rientro alla sera. Mi fermo giusto per le feste comandate. Non mi interessa assolutamente andare nei salotti o fare pubbliche relazioni al fine di ottenere visibilità. Quello che a me interessa, ripeto, è di andare avanti con la mia ricerca e con il mio lavoro, che amo moltissimo. Reputo che se si lavora con coscienza, serietà e umiltà, anche i riconoscimenti prima o poi arrivano. Indulgere in forme spettacolari e basta, perdendo di vista l'obiettivo artistico, non porta da nessuna parte, con il passare del tempo di queste cose se ne perde traccia, infatti. Quanto agli artisti che espongono nelle belle, di certo importanti, vetrine di cui mi parla, ritengo che spesso si dia spazio, specie ultimamente, a scelte che arrivano da una sola parte, sono i critici, i curatori, gli storici e chi si occupa di organizzare le mostre a decidere chi chiamare. L'arte è un fenomeno complesso e variegato, credo che sia giusto far esporre tutti coloro che abbiano qualcosa di serio da dire, artisticamente e poeticamente parlando, e non sempre gli stessi nomi o le stesse correnti. Muovendosi come ci si muove oggi non si fa un buon servigio né a coloro che amano l'arte e che desiderano ammirane le opere e nemmeno a coloro che desiderano possederle queste opere».
Dagli anni 80 in poi molti suoi lavori si ispirano al sacro, soprattutto a connotazione cattolico – cristiana, tra l'altro parecchi suoi monumenti sono esposti in luoghi di culto famosi. Perchè questa scelta e cosa è il sacro per Giuliano Vangi?
«Sinceramente non ho scelto io di lavorare sull'arte sacra, mi hanno chiamato degli architetti a fare dei lavori al riguardo. Il primo è stato Renzo Piano che mi ha chiesto di realizzare un ambone in pietra garganica dedicato a Maria di Magdala per la nuova chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, così ho collaborato con lui. Poi mi ha chiamato un altro architetto, Mario Botta, e ho lavorato sul tema del sacro anche con lui. Questi lavori sul sacro li ho fatti perché me lo hanno chiesto. Non mi ritengo particolarmente religioso, ma quando devo lavorare su questo tema cerco di immergermi il più possibile. Per me il sacro è qualcosa di misterioso che va fuori, al di là dell'uomo. Quando lavoro la scultura, lo faccio con grande passione e quando raggiungo una certa purezza di idee e di forme e senza alcun tipo di compromessi, è allora che per me l'opera è finita ed è sempre allora che diventa qualcosa di sacro».
Per le sue sculture lei adotta materiali diversi, molte volte combinati tra loro. Come spiega questa scelta, c'è una materiale che, comunque, predilige sugli altri?
«Adopero molti materiali, la mia scultura è quasi tutta policroma. Da ragazzo realizzavo, ad esempio, una testa e poi la dipingevo. Ben presto, ho, però, scoperto che esistono materiali diversi e di diversi colori, così ho cominciato a usarli tutti, ottenendo, quando mi occorre, gli effetti policromi. Quando penso un soggetto questo nasce già con una sua materia. Se devo fare qualcosa di monolitico o statico allora scelgo il marmo, se, invece, devo fare qualcosa di dinamico scelgo il metallo. Ripeto, ogni soggetto nasce con una sua materia. Non scelgo una materia perché mi piace,
ma perché essa corrisponde e si adatta all'idea che ho immaginato. Ho voluto imparare a lavorare tutte le materie, dal bronzo al marmo, alla creta al legno. A volte innesto gli stessi tipi di materiali trattandoli in modo diverso oppure innesto materiali diversi che messi insieme creano l'opera così come l'ho pensata. E' per questo che ho dovuto imparare a lavorare tutti i tipi di materia, all'occorrenza so come trattarli. Ammetto, tuttavia, che i materiali mi affascinano tutti e li tratto tutti con pari amore. Nel marmo, come si sa, si toglie, nella creta e nel bronzo si aggiunge, è comunque bello e affascinante ciascuno di questi procedimenti per chi ama veramente l'arte e la scultura».
Quando realizza lavori monumentali, segue le fasi personalmente?
«Sì lavoro io, laddove il lavoro sia troppo grande, allora mi faccio aiutare da esecutori, tuttavia sono sempre io a finire l'opera e a dare i tocchi necessari per conferirle un'anima, di qualunque materiale si tratti. Rispetto a quei lavori per i quali gli artisti si affidano in tutto agli altri per far realizzare la loro idea artistica, reputo che non si tratti più di lavoro artistico, ma di lavoro artigiano altrui. Per cui le opere che ne derivano hanno sempre qualcosa di freddo, mancando di quel soffio dell'anima che solo un artista sa infondere trattando la materia con le proprie mani».
Lei è nato in Toscana, ha vissuto a Pesaro, poi, per parecchi anni, anche in Brasile. Oggi vive a Pesaro e frequenta con assiduità, soggiornandovi per mesi, Pietrasanta, dove è tenuto in grande considerazione. Come è il suo rapporto con questa cittadina e con i luoghi in cui si trova o si è trovato a vivere, a partire da quello con la sua terra d'origine. E quali le tracce più evidenti dell'influenza di tutti questi “suoi mondi” sulla poetica e sul suo linguaggio plastico ed estetico?
«Sono nato a Barberino del Mugello in provincia di Firenze. Del mio paese conservo ricordi bellissimi legati alla mia infanzia trascorsa lì, amo moltissimo quei luoghi e appena posso ci torno, le mie vere radici sono lì. Amo e sono legatissimo, comunque, a tutta la Toscana dove ho avuto la mia prima formazione artistica, non solo scolastica. A Firenze e nelle altre città toscane ho potuto visitare musei, chiese e altri luoghi dove ammirare e studiare i capolavori dell'arte del passato. A Pesaro ci andai successivamente per insegnare, lavoravo già da scultore al tempo, ma all'inizio le mie opere non le facevo vedere a nessuno, le reputavo troppo scolastiche. Poi sentii il bisogno di andare altrove, di fare esperienze nuove, nelle grandi città dove si vivevano grandi fermenti artistici, per sperimentare andai a Roma, poi a Milano e a Firenze. Sentivo, però, il bisogno di altro. Allora andai in Brasile perché al tempo lì si faceva un tipo di architettura più dinamica e interessante che da noi, si stava costruendo Brasilia, esistevano inoltre situazioni sociali che mi interessavano dal punto di vista umano e anche della mia visione e sensibilità artistiche, da una parte c'erano le favelas e dall'altra una classe economica e finanziaria che deteneva quasi tutta la ricchezza nelle proprie mani. In Brasile presi a fare scultura astratta, desideravo, infatti, liberarmi da forme troppo bloccate e rigide, per cui sperimentai forme più spoglie, più pulite e aeree lavorando su materiali quali il ferro e l'acciaio. Imparai anche a saldare. Tornando in Italia tutte queste esperienze mi furono utili per riprendere il mio discorso sul fronte della figura che affrontai con grinta diversa e con una libertà maggiore di prima. Attualmente ho uno studio a Pesaro, la città dove in genere vivo e alla quale sono molto legato, in questo studio disegno e faccio i bozzetti. A Pietrasanta ho da lungo tempo uno studio, che è di dimensioni più ampie, qui faccio principalmente opere in marmo e in bronzo, quelle più grandi. Pietrasanta è una cittadina bellissima e accogliente e io mi trovo benissimo. Mi hanno persino conferito la cittadinanza onoraria, del che ne vado orgoglioso. Gli ambienti artistici, di questa cittadina sono ricchi di personaggi del mondo dell'arte internazionale e di colleghi scultori di grande fama, purtroppo non li frequento, ma solo perché non ho tempo, quando vado lì lavoro tutto il giorno. Trovo che oggi come oggi a Pietrasanta ci siano tra i più bravi artigiani al mondo sia del marmo che del bronzo e questo è molto importante per gli artisti che realizzano un lavoro come il mio. Quanto all'influenza che il mio territorio d'origine, così come quella degli altri territori da me vissuti, ha lasciato sul mio lavoro, essa è chiaramente rintracciabile nelle mie stesse opere e nella mia storia artistica».
Come vede il panorama artistico di oggi e come immagina il futuro delle arti visive tra cento anni. Reputa che le nuove tecnologie siano elementi capaci di contribuire in termini evolutivi dal punto di vista sociale nonché di crescita e di novità anche sul fronte delle arti figurative?
«Le tecnologie non sono né buone né cattive, occorre vedere l'uso che se ne fa. Non sono minimamente contrario al loro utilizzo anche rispetto alla creatività artistica. Se si riesce a dar vita a lavori che esprimono arte, siano essi legati alla figura o all'astratto, non importa, allora ben vengano tutti i lavori, anche quelli realizzati attraverso l'utilizzo della tecnologia, importante secondo me è che siano l'esito di una passione e di un amore sinceri e non l'esito di scelte superficiali. A me l'arte interessa tutta, solo ritengo importante che essa dedichi attenzione all'uo-mo e all'ambiente che lo circonda. Tale discorso vale sia per il presente come per il futuro, anche tra cento anni è con questo che dovremo continuare a confrontarci».
Pensa, quindi, sia necessario avere un'etica unitamente all'estetica nell'arte?
«Sì certo, è indispensabile avere etica, essere puliti e chiari nel fare arte, realizzare le cose semplicemente, senza inganni e, soprattutto, senza voler rap- presentare quello che non è».
In questi ultimi anni sono molti gli artisti, ma anche i critici e teorici dell'arte, tra cui alcuni famosi, secondo cui rifondare l'arte è rifondare la società e rifondare la società è rifondare l'arte. Quale il suo punto di vista al riguardo?
«Credo che l'arte segua un suo percorso e un suo meccanismo e che i mutamenti avvengono di continuo e con una velocità estrema; di continuo nascono correnti che poi spariscono nel giro di pochissimo tempo. L'arte che, secondo me, ancora funziona è l'arte figurativa, reputo che nella contemporaneità sia la più moderna, la più attuale e rivoluzionaria. Questo perchè è quella maggiormente capace di esprimere i sentimenti dell'uomo e di rappresentarli. Ad esempio, per quanto mi riguarda, amo tutto della figura umana, dalle mani a ogni altra parte del corpo, non solo le parti visibili, ma anche interne, a partire dal cuore. La testa è poi la parte che mi piace studiare e rappresentare di più, è nella testa che nascono le idee, si formulano i pensieri e si manifestano quei processi mentali che danno vita alla storia di ciascuno di noi e del mondo stesso, quindi, della storia dell'umanità. La testa dell'uomo contiene una magia e insieme un mistero che mi piace indagare all'infinito. Non credo che l'arte abbia la possibilità di rifondare la società, il suo compito, come quello di ogni artista, è di andare avanti, seguendo la propria strada con serietà e passione per quello che si fa, ma anche avendo attenzione ai mutamenti sociali, sì, in questo l'arte può e deve ricoprire un suo ruolo».
Una carriera artistica di successo e una vita appagante, pure, c'è un sogno nel suo cassetto che ancora aspetta di realizzarsi. Quale, maestro?
«Il mio sogno, a ottantasei anni, è di continuare a lavorare ancora per del tempo, con la stessa energia, lo stesso entusiasmo e la stessa passione di sempre, andando avanti con la mia ricerca per indagare, attraverso la scultura, il mistero dell'uomo, della sua anima, del mondo che lo circonda, che ci circonda.
di Marilena Spataro
«Non ho scelto io la scultura, è la scultura che ha scelto me. Fin da piccolo ho sempre cercato di modellare, di scolpire qualcosa, magari in un mattone, in un sasso, invece, non mi sono mai impegnato a dipingere, a fare quadri».
Come era la scena artistica dei suoi esordi, lei come si poneva rispetto ai movimenti artistici del tempo. Quali i mutamenti più evidenti, in positivo e in negativo, nel mondo dell'arte che ha registrato negli anni della sua lunga carriera?
«La scena artistica al tempo era popolata da una miriade di movimenti di grande vivacità e originalità d'idee. Io ho guardato con interesse a ciascuno di questi movimenti cogliendone i vari aspetti estetici e teorici, per poi, però, proseguire sulla mia strada sulla base di una mia personale visione. Reputo che il grande fermento artistico e i nuovi modi di fare arte del tempo siano stati per molti versi positivi, per altri meno. Ad esempio, la grande mostra di Henry Moore al Forte Belvedere di Firenze, se da una parte ha fatto conoscere e ha introdotto elementi di assoluta novità che hanno aperto nuove e inesplorati percorsi sul fronte dell'arte astratta e informale anche in scultura, dall'altra ha generato in tantissimi artisti la convinzione che si potesse fare scultura con estrema facilità, levigando forme e mettendo fori a caso, con questo fraintendendo la grande lezione che ci veniva dal maestro anglosassone che, con le sue forme, ha inventato uno stile e un linguaggio scultorei del tutto originali, comunque dotati di quella armonia e perfezione estetico formale, nonchè di una carica poetica ed emotiva, degne della migliore tradizione scultorea del passato».
Quali sono stati i suoi modelli artistici di riferimento del passato?
«Da quando ho iniziato a studiare prima all’Istituto d'arte, poi per un pò in Accademia, ho guardato, innanzitutto, all'arte antica, questo per capire i valori estetici e formali che ci sono stati tramandati. Da ragazzo ero innamorato dell'arte egiziana di cui amavo particolarmente l'essenzialità nella forma, dopo ho rivolto la mia attenzione ai romani e all'arte etrusca. La mia formazione artistica vera e propria mi deriva dallo studio profondo e appassionato del Rinascimento, soprattutto toscano. Vivendo ormai a Firenze, facevo delle immersioni totali nei musei, nelle chiese e in qualunque altro luogo si trovassero opere d'arte. Amo moltissimo Giovanni Pisano, Donatello e Michelangelo, specie quello delle ultime opere. Idealmente sono stati loro i miei maestri e a loro mi sento molto vicino. Ovviamente con il tempo ho cominciato a guardare ai miei contemporanei, all'arte americana astratta e ad artisti quali Smith e Moore così acquisendo una visione più ampia dell'arte e che corrispondeva ai nuovi linguaggi che si andavano affermando».
Artisti si nasce o si diventa?
«Entrambe le cose. Certo, si nasce con una predisposizione. Ma poi si diventa. Le doti naturali, infatti, non bastano a fare di un artista un buon artista, per diventarlo occorre avere spirito di sacrificio, costanza, lavorare con molta umiltà, serietà, senza pensare di fare imprese eccezionali. Se non si hanno poi le doti per andare avanti, allora è scontato che non si va da nessuna parte».
Come vede il mondo di oggi. Quale la visione del mondo che la guida nel suo lavoro?
«È una visione che mi avvilisce quella del mondo di oggi. Viviamo in una terra bellissima, che noi uomini stiamo, però, sciupando sotto tutti gli aspetti, sia umani che naturali. La natura è abusata fin dagli abissi del mare, per poi estendersi, questo abuso, a tutto il resto. Questi aspetti negativi mi procurano un dispiacere profondo. La mia visione creativa è rivolta all'uomo e alla sua azione. Dell'uomo mi interessa tutto. L'uomo mi interessa nella sua totalità, con tutti i suoi problemi e difetti, con i suoi pregi e valori. Con la mia scultura porto avanti una lotta per individuare l'essenza umana, cercando di andare al di là persino del bene e del male».
Nonostante da lungo tempo la sua fama sia di livello internazionale e moltissime delle sue opere siano collocate in luoghi pubblici e privati di grande prestigio in tutto il mondo, lei continua a tenersi piuttosto lontano dalle luci della ribalta, al contrario di molti artisti famosi della contemporaneità che amano e cercano notorietà e consenso affidandosi sempre più spesso a gesti clamorosi e a performance ad alto impatto mediatico. Cosa risponde?
«L'arte per me è poetica della vita. Alla base della mia esistenza c'è il mio lavoro, che amo fare con serietà e senso del dovere. Lavoro quotidianamente più di dodici ore, sei giorni su sette, vado in studio al mattino presto e rientro alla sera. Mi fermo giusto per le feste comandate. Non mi interessa assolutamente andare nei salotti o fare pubbliche relazioni al fine di ottenere visibilità. Quello che a me interessa, ripeto, è di andare avanti con la mia ricerca e con il mio lavoro, che amo moltissimo. Reputo che se si lavora con coscienza, serietà e umiltà, anche i riconoscimenti prima o poi arrivano. Indulgere in forme spettacolari e basta, perdendo di vista l'obiettivo artistico, non porta da nessuna parte, con il passare del tempo di queste cose se ne perde traccia, infatti. Quanto agli artisti che espongono nelle belle, di certo importanti, vetrine di cui mi parla, ritengo che spesso si dia spazio, specie ultimamente, a scelte che arrivano da una sola parte, sono i critici, i curatori, gli storici e chi si occupa di organizzare le mostre a decidere chi chiamare. L'arte è un fenomeno complesso e variegato, credo che sia giusto far esporre tutti coloro che abbiano qualcosa di serio da dire, artisticamente e poeticamente parlando, e non sempre gli stessi nomi o le stesse correnti. Muovendosi come ci si muove oggi non si fa un buon servigio né a coloro che amano l'arte e che desiderano ammirane le opere e nemmeno a coloro che desiderano possederle queste opere».
Dagli anni 80 in poi molti suoi lavori si ispirano al sacro, soprattutto a connotazione cattolico – cristiana, tra l'altro parecchi suoi monumenti sono esposti in luoghi di culto famosi. Perchè questa scelta e cosa è il sacro per Giuliano Vangi?
«Sinceramente non ho scelto io di lavorare sull'arte sacra, mi hanno chiamato degli architetti a fare dei lavori al riguardo. Il primo è stato Renzo Piano che mi ha chiesto di realizzare un ambone in pietra garganica dedicato a Maria di Magdala per la nuova chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, così ho collaborato con lui. Poi mi ha chiamato un altro architetto, Mario Botta, e ho lavorato sul tema del sacro anche con lui. Questi lavori sul sacro li ho fatti perché me lo hanno chiesto. Non mi ritengo particolarmente religioso, ma quando devo lavorare su questo tema cerco di immergermi il più possibile. Per me il sacro è qualcosa di misterioso che va fuori, al di là dell'uomo. Quando lavoro la scultura, lo faccio con grande passione e quando raggiungo una certa purezza di idee e di forme e senza alcun tipo di compromessi, è allora che per me l'opera è finita ed è sempre allora che diventa qualcosa di sacro».
Per le sue sculture lei adotta materiali diversi, molte volte combinati tra loro. Come spiega questa scelta, c'è una materiale che, comunque, predilige sugli altri?
«Adopero molti materiali, la mia scultura è quasi tutta policroma. Da ragazzo realizzavo, ad esempio, una testa e poi la dipingevo. Ben presto, ho, però, scoperto che esistono materiali diversi e di diversi colori, così ho cominciato a usarli tutti, ottenendo, quando mi occorre, gli effetti policromi. Quando penso un soggetto questo nasce già con una sua materia. Se devo fare qualcosa di monolitico o statico allora scelgo il marmo, se, invece, devo fare qualcosa di dinamico scelgo il metallo. Ripeto, ogni soggetto nasce con una sua materia. Non scelgo una materia perché mi piace,
ma perché essa corrisponde e si adatta all'idea che ho immaginato. Ho voluto imparare a lavorare tutte le materie, dal bronzo al marmo, alla creta al legno. A volte innesto gli stessi tipi di materiali trattandoli in modo diverso oppure innesto materiali diversi che messi insieme creano l'opera così come l'ho pensata. E' per questo che ho dovuto imparare a lavorare tutti i tipi di materia, all'occorrenza so come trattarli. Ammetto, tuttavia, che i materiali mi affascinano tutti e li tratto tutti con pari amore. Nel marmo, come si sa, si toglie, nella creta e nel bronzo si aggiunge, è comunque bello e affascinante ciascuno di questi procedimenti per chi ama veramente l'arte e la scultura».
Quando realizza lavori monumentali, segue le fasi personalmente?
«Sì lavoro io, laddove il lavoro sia troppo grande, allora mi faccio aiutare da esecutori, tuttavia sono sempre io a finire l'opera e a dare i tocchi necessari per conferirle un'anima, di qualunque materiale si tratti. Rispetto a quei lavori per i quali gli artisti si affidano in tutto agli altri per far realizzare la loro idea artistica, reputo che non si tratti più di lavoro artistico, ma di lavoro artigiano altrui. Per cui le opere che ne derivano hanno sempre qualcosa di freddo, mancando di quel soffio dell'anima che solo un artista sa infondere trattando la materia con le proprie mani».
Lei è nato in Toscana, ha vissuto a Pesaro, poi, per parecchi anni, anche in Brasile. Oggi vive a Pesaro e frequenta con assiduità, soggiornandovi per mesi, Pietrasanta, dove è tenuto in grande considerazione. Come è il suo rapporto con questa cittadina e con i luoghi in cui si trova o si è trovato a vivere, a partire da quello con la sua terra d'origine. E quali le tracce più evidenti dell'influenza di tutti questi “suoi mondi” sulla poetica e sul suo linguaggio plastico ed estetico?
«Sono nato a Barberino del Mugello in provincia di Firenze. Del mio paese conservo ricordi bellissimi legati alla mia infanzia trascorsa lì, amo moltissimo quei luoghi e appena posso ci torno, le mie vere radici sono lì. Amo e sono legatissimo, comunque, a tutta la Toscana dove ho avuto la mia prima formazione artistica, non solo scolastica. A Firenze e nelle altre città toscane ho potuto visitare musei, chiese e altri luoghi dove ammirare e studiare i capolavori dell'arte del passato. A Pesaro ci andai successivamente per insegnare, lavoravo già da scultore al tempo, ma all'inizio le mie opere non le facevo vedere a nessuno, le reputavo troppo scolastiche. Poi sentii il bisogno di andare altrove, di fare esperienze nuove, nelle grandi città dove si vivevano grandi fermenti artistici, per sperimentare andai a Roma, poi a Milano e a Firenze. Sentivo, però, il bisogno di altro. Allora andai in Brasile perché al tempo lì si faceva un tipo di architettura più dinamica e interessante che da noi, si stava costruendo Brasilia, esistevano inoltre situazioni sociali che mi interessavano dal punto di vista umano e anche della mia visione e sensibilità artistiche, da una parte c'erano le favelas e dall'altra una classe economica e finanziaria che deteneva quasi tutta la ricchezza nelle proprie mani. In Brasile presi a fare scultura astratta, desideravo, infatti, liberarmi da forme troppo bloccate e rigide, per cui sperimentai forme più spoglie, più pulite e aeree lavorando su materiali quali il ferro e l'acciaio. Imparai anche a saldare. Tornando in Italia tutte queste esperienze mi furono utili per riprendere il mio discorso sul fronte della figura che affrontai con grinta diversa e con una libertà maggiore di prima. Attualmente ho uno studio a Pesaro, la città dove in genere vivo e alla quale sono molto legato, in questo studio disegno e faccio i bozzetti. A Pietrasanta ho da lungo tempo uno studio, che è di dimensioni più ampie, qui faccio principalmente opere in marmo e in bronzo, quelle più grandi. Pietrasanta è una cittadina bellissima e accogliente e io mi trovo benissimo. Mi hanno persino conferito la cittadinanza onoraria, del che ne vado orgoglioso. Gli ambienti artistici, di questa cittadina sono ricchi di personaggi del mondo dell'arte internazionale e di colleghi scultori di grande fama, purtroppo non li frequento, ma solo perché non ho tempo, quando vado lì lavoro tutto il giorno. Trovo che oggi come oggi a Pietrasanta ci siano tra i più bravi artigiani al mondo sia del marmo che del bronzo e questo è molto importante per gli artisti che realizzano un lavoro come il mio. Quanto all'influenza che il mio territorio d'origine, così come quella degli altri territori da me vissuti, ha lasciato sul mio lavoro, essa è chiaramente rintracciabile nelle mie stesse opere e nella mia storia artistica».
Come vede il panorama artistico di oggi e come immagina il futuro delle arti visive tra cento anni. Reputa che le nuove tecnologie siano elementi capaci di contribuire in termini evolutivi dal punto di vista sociale nonché di crescita e di novità anche sul fronte delle arti figurative?
«Le tecnologie non sono né buone né cattive, occorre vedere l'uso che se ne fa. Non sono minimamente contrario al loro utilizzo anche rispetto alla creatività artistica. Se si riesce a dar vita a lavori che esprimono arte, siano essi legati alla figura o all'astratto, non importa, allora ben vengano tutti i lavori, anche quelli realizzati attraverso l'utilizzo della tecnologia, importante secondo me è che siano l'esito di una passione e di un amore sinceri e non l'esito di scelte superficiali. A me l'arte interessa tutta, solo ritengo importante che essa dedichi attenzione all'uo-mo e all'ambiente che lo circonda. Tale discorso vale sia per il presente come per il futuro, anche tra cento anni è con questo che dovremo continuare a confrontarci».
Pensa, quindi, sia necessario avere un'etica unitamente all'estetica nell'arte?
«Sì certo, è indispensabile avere etica, essere puliti e chiari nel fare arte, realizzare le cose semplicemente, senza inganni e, soprattutto, senza voler rap- presentare quello che non è».
In questi ultimi anni sono molti gli artisti, ma anche i critici e teorici dell'arte, tra cui alcuni famosi, secondo cui rifondare l'arte è rifondare la società e rifondare la società è rifondare l'arte. Quale il suo punto di vista al riguardo?
«Credo che l'arte segua un suo percorso e un suo meccanismo e che i mutamenti avvengono di continuo e con una velocità estrema; di continuo nascono correnti che poi spariscono nel giro di pochissimo tempo. L'arte che, secondo me, ancora funziona è l'arte figurativa, reputo che nella contemporaneità sia la più moderna, la più attuale e rivoluzionaria. Questo perchè è quella maggiormente capace di esprimere i sentimenti dell'uomo e di rappresentarli. Ad esempio, per quanto mi riguarda, amo tutto della figura umana, dalle mani a ogni altra parte del corpo, non solo le parti visibili, ma anche interne, a partire dal cuore. La testa è poi la parte che mi piace studiare e rappresentare di più, è nella testa che nascono le idee, si formulano i pensieri e si manifestano quei processi mentali che danno vita alla storia di ciascuno di noi e del mondo stesso, quindi, della storia dell'umanità. La testa dell'uomo contiene una magia e insieme un mistero che mi piace indagare all'infinito. Non credo che l'arte abbia la possibilità di rifondare la società, il suo compito, come quello di ogni artista, è di andare avanti, seguendo la propria strada con serietà e passione per quello che si fa, ma anche avendo attenzione ai mutamenti sociali, sì, in questo l'arte può e deve ricoprire un suo ruolo».
Una carriera artistica di successo e una vita appagante, pure, c'è un sogno nel suo cassetto che ancora aspetta di realizzarsi. Quale, maestro?
«Il mio sogno, a ottantasei anni, è di continuare a lavorare ancora per del tempo, con la stessa energia, lo stesso entusiasmo e la stessa passione di sempre, andando avanti con la mia ricerca per indagare, attraverso la scultura, il mistero dell'uomo, della sua anima, del mondo che lo circonda, che ci circonda.
di Marilena Spataro