Miriam Ferrucci
Un insieme, spesso contrastante, di emozioni caratterizza i dipinti di Miriam Ferrucci, opere realizzate partendo dalla tecnica del fotorealismo. Un’immagine fotografica, che Miriam stessa realizza “obbligando” il soggetto a una posa da lei suggerita, viene poi, riprodotta sulla tela, elaborando con perizia e lunghe ore di lavoro con il pennello, ciò che l’obiettivo ha carpito: non siamo, come ad un primo e superficiale sguardo sembrerebbe, di fronte a delle opere iperrealiste, produzioni virtuosistiche della fotografia, di ben altra carica emotiva vivono protagonisti ritratti dalla Ferrucci. Alcuni dettagli dei corpi e dei volti vengono così messi a fuoco attraverso espressioni o gestualità esasperati, per esaltare emozioni nascoste, ciò che l’obiettivo fotografico non avrebbe mai rivelato, la mano talentuosa dell’artista fa emergere, per poi narrare una rabbia incontenibile, un segreto da tutelare, una malinconia che lascia trapelare il rammarico per l’ineluttabile passare del tempo o una consapevolezza interiore conquistata.
Donne e uomini che sfidano la tela e fanno emergere la loro vitalità, che diventa tangibile e reale, le emozioni forti e potenti si trasmettono come in un transfert dalla persona rappresentata a chi guarda i dipinti. Un gioco di complicità coinvolge l’osservatore richiamato in un dialogo intimo ed interiore. Si veda l’opera Maieutica che già dal titolo si ispira alle dottrine dei grandi filosofi, ad evocare il confronto come stimolo creativo tra persone consapevoli. Se il linguaggio pittorico è quasi cinematografico e moderno molteplici sono i richiami alla grande pittura da Lotto e Vermeer fino ad arrivare a Lucian Freud, gesti pacati e sguardi enigmatici sembrano mettere in discussione l’unicità e l’identità di ognuno dei personaggi rappresentati. Alcuni ritratti maschili esprimono rabbia e angoscia e la sensazione che nessuno possa essere in pace con sé stesso. La rappresentazione del femminile suggerisce all’artista una riuscita carrellata di personaggi, e così Rosa, Ophelia e le altre evocano altre storie e altre narrazioni. Via via questi volti femminili ci inoltrano in abissi interiori e ombre ora visibili dell’anima: la sfida nello sguardo impenetrabile degli occhi, contornati a suggerire una mascherina, del ritratto Anima, l’evanescenza dell’essere che ci suggerisce Ophelia. Figura femminile simbolo di innocenza violata, icona e musa immortale nella rappresentazione letteraria e iconografica, viene riproposta dalla Ferrucci in forma di ritratto contemporaneo al quale difficilmente lo spettatore riesce a sottrarsi come ipnotizzato, anche, dalla componente simbolica dell’acqua prefigurazione della follia e della caduta nell’abisso, in un intreccio indissolubile tra la vita e la morte.
Una maturità anche stilistica contraddistingue gli ultimi lavori: il doppio ritratto Ritiro, viaggio simbolico e percorso identificativo dove si evidenzia la duplice rappresentazione di uno stesso soggetto, ancora il gioco del moltiplicarsi, il motivo archetipo del doppio che evoca l’incessante ricerca della propria identità, identificazione e alienazione, il confrontarsi con la propria Ombra (Jung) e infine la raggiunta armonia tra inconscio e coscienza. Tutto questo ci suggerisce la giovane donna dai lunghi capelli rossi che si disgiunge da sé stessa, libera, immersa nella calma contemplativa nella piena consapevolezza del sé. Nel grande ritratto il Distacco è una gestualità pacata delle mani che si attestano quasi in posizione difensiva, che domina il dipinto pervaso dal profondo messaggio allegorico. Un nuovo ordine simbolico sembra aver sovvertito il senso stesso del ritratto e di chi è rappresentato, lo sguardo della donna si perde e non senza timore trasferisce al linguaggio alchemico delle mani la comunicazione della propria distanza, la separazione dal tutto, il distacco.
Silvana Bonfili
Donne e uomini che sfidano la tela e fanno emergere la loro vitalità, che diventa tangibile e reale, le emozioni forti e potenti si trasmettono come in un transfert dalla persona rappresentata a chi guarda i dipinti. Un gioco di complicità coinvolge l’osservatore richiamato in un dialogo intimo ed interiore. Si veda l’opera Maieutica che già dal titolo si ispira alle dottrine dei grandi filosofi, ad evocare il confronto come stimolo creativo tra persone consapevoli. Se il linguaggio pittorico è quasi cinematografico e moderno molteplici sono i richiami alla grande pittura da Lotto e Vermeer fino ad arrivare a Lucian Freud, gesti pacati e sguardi enigmatici sembrano mettere in discussione l’unicità e l’identità di ognuno dei personaggi rappresentati. Alcuni ritratti maschili esprimono rabbia e angoscia e la sensazione che nessuno possa essere in pace con sé stesso. La rappresentazione del femminile suggerisce all’artista una riuscita carrellata di personaggi, e così Rosa, Ophelia e le altre evocano altre storie e altre narrazioni. Via via questi volti femminili ci inoltrano in abissi interiori e ombre ora visibili dell’anima: la sfida nello sguardo impenetrabile degli occhi, contornati a suggerire una mascherina, del ritratto Anima, l’evanescenza dell’essere che ci suggerisce Ophelia. Figura femminile simbolo di innocenza violata, icona e musa immortale nella rappresentazione letteraria e iconografica, viene riproposta dalla Ferrucci in forma di ritratto contemporaneo al quale difficilmente lo spettatore riesce a sottrarsi come ipnotizzato, anche, dalla componente simbolica dell’acqua prefigurazione della follia e della caduta nell’abisso, in un intreccio indissolubile tra la vita e la morte.
Una maturità anche stilistica contraddistingue gli ultimi lavori: il doppio ritratto Ritiro, viaggio simbolico e percorso identificativo dove si evidenzia la duplice rappresentazione di uno stesso soggetto, ancora il gioco del moltiplicarsi, il motivo archetipo del doppio che evoca l’incessante ricerca della propria identità, identificazione e alienazione, il confrontarsi con la propria Ombra (Jung) e infine la raggiunta armonia tra inconscio e coscienza. Tutto questo ci suggerisce la giovane donna dai lunghi capelli rossi che si disgiunge da sé stessa, libera, immersa nella calma contemplativa nella piena consapevolezza del sé. Nel grande ritratto il Distacco è una gestualità pacata delle mani che si attestano quasi in posizione difensiva, che domina il dipinto pervaso dal profondo messaggio allegorico. Un nuovo ordine simbolico sembra aver sovvertito il senso stesso del ritratto e di chi è rappresentato, lo sguardo della donna si perde e non senza timore trasferisce al linguaggio alchemico delle mani la comunicazione della propria distanza, la separazione dal tutto, il distacco.
Silvana Bonfili