Ritratti d'artista - Maestri del '900
Girolamo Ciulla: Figure antropomorfe sospese tra sogno e realtà. Un racconto fantastico che nasce dal mito e che diventa favola bella.
Come è avvenuto il suo incontro con l'arte, maestro, e quale il clima che si respirava agli esordi della sua carriera?
«Il mio incontro ufficiale con il mondo dell'arte è avvenuto all'incirca a metà degli anni '80, quando incontrai in una galleria di Catania, che al tempo frequentavo, il gallerista Tiziano Forni, titolare dell'omonima galleria a Bologna. Io sono di Caltanissetta e “bazzicavo” diversi ambienti artistici siciliani. Forni notò il mio lavoro che gli piacque e cosi iniziò a promuovermi nella sua città e un po' dappertutto in Italia. Avendogli manifestato il desiderio di conoscere cosa si faceva a Pietrasanta, già allora considerata patria della scultura in marmo, mi portò nella bella cittadina toscana presentandomi allo storico dell'arte Pier Carlo Santini e “affidandomi” a lui, il quale poi mi sostenne e mi aiutò nell'intenzione di rimanere a lavorare a Pietrasanta. In quel periodo il mondo dell'arte era carico di entusiasmo e di speranze. Posso ritenermi fortunato di aver vissuto appieno quella stagione entusiasmante da cui ho tratto grandi insegnamenti artistici e umani e da cui ho avuto molto. A Pietrasanta, dove mi sono trasferito, era tutto un fermento, la cittadina pullulava di artisti famosi di livello internazionale e di novità. Oggi molte cose sono cambiate sia qui come altrove. Spero si riesca a recuperare lo spirito che ci ha animati in quegli anni. A Pietrasanta, come del resto in tutta l'Italia, esistono le premesse e i talenti artistici più che altrove per ridare slancio alle arti figurative. Occorre avere però tanta buona volontà e umiltà per riuscire a riprendere le fila di un discorso importante come quello che ha segnato l'arte nel '900 e inizi anni 2000».
Per esprimersi lei ha scelto prevalentemente il linguaggio della scultura, perché e come nasce questa scelta?
«È davvero curioso il mio approccio con la scultura poiché risale alla mia infanzia. A proposito mi piace raccontarle un paio di aneddoti: mio padre era custode di una villa di certi signori di Caltanissetta e io e la mia famiglia vivevamo lì. In quella zona c'erano molti alberi che venivano tagliati e il cui legno era poi lavorato da esperti artigiani. Io li guardavo intagliare e mi provavo a scolpire su dei rametti ma con scarso successo. Intanto succedeva che a scuola il mio maestro mi invogliava a disegnare, visto che me la cavavo bene a fare disegni mi comprava lui stesso i fogli su cui realizzarli, non avendo i miei genitori grandi possibilità economiche. Un po' la passione e l'esercizio nel disegnare e un po' la mia testardaggine mi diedero una mano nel migliorare anche nella scultura in legno. Prova e riprova cominciai a vedere che i miei legni prendevano corpo diventando delle figure. Si perché, fin dall'inizio, il mio linguaggio si è orientato alla figura».
Cosa rappresenta per lei la scultura e quali i materiali che predilige?
«La scultura nel mio caso è la forma espressiva principale che ho scelto per fare arte, poi c'è anche il disegno che amo molto e che ho messo parecchie volte in mostra, ma, innanzitutto, sono scultore. Il materiale che prediligo è il travertino: ha un morbidezza che mi consente di plasmare un'immagine come meglio desidero dandomi, appunto, la possibilità di realizzare e di trasferire le mie fantasie e i mie sogni nella materia dotandola di forza espressiva. Lavoro comunque tutti i materiali, dal bronzo al marmo, dalla pietra al gesso, dalla terracotta al legno. Ho una vera e propria passione nello sperimentare. Pensi che da ragazzino andavo a raccogliere i cocci in una località vicino Caltanissetta, alla Sabucina, un vecchio sito archeologico che era stato il luogo dove gli antichi greci fondevano i loro lavori. Qui c'erano in giro ancora migliaia di cocci di quei lavori, io li raccoglievo e poi li lavoravo con la terracotta e attraverso un procedimento da me inventato realizzavo delle strane sculture. Questo mi riempiva di gioia, così come mi facevano gioire delle bacheche, che ancora prima, quasi da bambino, realizzavo utilizzando quei cocci e che poi ingenuamente chiamavo museo Ciulla. Racconto questo per far capire come per me l'arte e la scultura siano state fin da giovane, così come lo sono tuttora, una manifestazione gioiosa e anche giocosa per sperimentare e tradurre i miei sogni su tutti i materiali possibili in una ricerca tecnica e formale continua. La scultura è la mia vita, è l'essenza del mio lavoro artistico che, a sua volta, mi consente di mettere in scena tutti quei sogni, desideri e sentimenti che caratterizzano la mia stessa esistenza».
Ci descrive come prendono corpo le sue opere e quali sono i moventi artistici e la poetica da cui esse nascono?
«Le mie opere prendono vita dalla mia fantasia, da un immaginario che è fortemente legato alla mia terra di Sicilia e ai suoi miti. Sinceramente non mi è facile e non è semplice esprimere a parole quello che provo e che penso quando lavoro a un'opera. Si tratta sempre di qualcosa che mi porto dentro, che sento profondamente e che desidero far conoscere attraverso la mia arte. Un'arte dove io amo esprimere la gioia che mi deriva dallo scolpire. Quando lavoro, infatti, sono sempre colmo di gioia, ad esempio scolpire la pietra, sia essa di travertino o di altro materiale, è un'operazione che mi esalta, comincio a scavare dentro la materia togliendo quel superfluo che impedisce di cogliere la forma che già essa contiene, scavo per trovare la sua essenza più intima, la sua anima naturale. Ho sempre tenuto a imprimere alle mie figure un senso di armonia e positività, questo anche laddove rappresento figure mitologiche drammatiche. Al riguardo mi viene in mente la grande scultura della dea Cerere, un mio monumento collocato a Botticino in Sicilia, dove questa figura mitologica l'ho voluta rendere in tutta la sua forza simbolica di portatrice di prosperità e ricchezza, come testimoniato dalle spighe collegate al suo culto; le ho inoltre conferito una gioiosità che nel mito non sempre è presente. E' un lavoro che mi è molto caro e che mi soddisfa molto, di cui ho trasfigurato il mito sulla base della mia visione che guarda al mondo nella sua bellezza e gioiosità; è un'opera che mi rappresenta e che rappresenta il mio modo di sentire l'esistenza e di percepire l'arte».
Qual è il suo rapporto con il mondo dell'arte contemporanea. Come vede la spettacolarizzazione delle arti visive oggi tanto di moda?
«Ringrazio quegli artisti che definiscono i loro lavori come una rappresentazione pura e semplice di un'idea. Io li seguo questi artisti e quando vedo le loro opere mi chiedo quale sia la loro idea che hanno voluto rappresentare. Ma la risposta non la trovo quasi mai, per cui non posso non pensare che si tratti davvero di trovate prive di qualsiasi senso artistico ed esistenziale, nonchè di una qualsivoglia visione del mondo. Spettacolarizzare l'arte non porta a niente, a volte può portare a un facile successo cui il tempo non credo che poi darà ragione».
Qual è, a suo avviso, il futuro delle arti tradizionali come la scultura in rapporto alla arti di nuova generazione come arte digitale, video art e tutte quelle manifestazioni artistiche e visive legate all'uso della tecnologia?
«Le tecnologie se utilizzate come strumento, ad esempio le nuove macchine che sbozzano il marmo, sono utili. Sebbene nel caso specifico, ma credo anche in generale, sul lavoro occorre poi che intervenga la mano dell'uomo per renderlo completo, nel caso della scultura è necessario, almeno per quanto mi riguarda, intervenire per conferirle quella forza espressiva che la rende viva, che le dà un'anima. Quanto agli altri tipi di arte dove si utilizzano le tecnologie digitali non ho nulla in contrario. Sono molto aperto in tal senso. Non credo, però, che le forme artistiche tradizionali possano considerarsi superate o superabili dalla presenza di altre forme d'arte a carattere digitale. L'arte è bella perchè è infinita e si può esprimere in una infinità di modi».
I suoi progetti futuri e, magari, un sogno nel cassetto?
«Un progetto che ormai é una realtà, è un grande monumento della ninfa Aretusa, già completato e da installare a breve nella città di Siracusa, un lavoro al quale tengo molto, su cui ho lavorato intensamente e con grande passione e che sento molto. Prossimamente dovrei installare un'altra mia opera monumentale in America. Di sogni nel cassetto ce ne sono ancora tanti. Li faccio uscire un po' per volta perché hanno una loro preziosità. Importante è continuare a nutrire sogni, un segreto che vale nella vita come nell'arte e che dà un senso alle cose. Senza mai dimenticare di far uscire dal cassetto i sogni migliori, quelli più belli».
Come è avvenuto il suo incontro con l'arte, maestro, e quale il clima che si respirava agli esordi della sua carriera?
«Il mio incontro ufficiale con il mondo dell'arte è avvenuto all'incirca a metà degli anni '80, quando incontrai in una galleria di Catania, che al tempo frequentavo, il gallerista Tiziano Forni, titolare dell'omonima galleria a Bologna. Io sono di Caltanissetta e “bazzicavo” diversi ambienti artistici siciliani. Forni notò il mio lavoro che gli piacque e cosi iniziò a promuovermi nella sua città e un po' dappertutto in Italia. Avendogli manifestato il desiderio di conoscere cosa si faceva a Pietrasanta, già allora considerata patria della scultura in marmo, mi portò nella bella cittadina toscana presentandomi allo storico dell'arte Pier Carlo Santini e “affidandomi” a lui, il quale poi mi sostenne e mi aiutò nell'intenzione di rimanere a lavorare a Pietrasanta. In quel periodo il mondo dell'arte era carico di entusiasmo e di speranze. Posso ritenermi fortunato di aver vissuto appieno quella stagione entusiasmante da cui ho tratto grandi insegnamenti artistici e umani e da cui ho avuto molto. A Pietrasanta, dove mi sono trasferito, era tutto un fermento, la cittadina pullulava di artisti famosi di livello internazionale e di novità. Oggi molte cose sono cambiate sia qui come altrove. Spero si riesca a recuperare lo spirito che ci ha animati in quegli anni. A Pietrasanta, come del resto in tutta l'Italia, esistono le premesse e i talenti artistici più che altrove per ridare slancio alle arti figurative. Occorre avere però tanta buona volontà e umiltà per riuscire a riprendere le fila di un discorso importante come quello che ha segnato l'arte nel '900 e inizi anni 2000».
Per esprimersi lei ha scelto prevalentemente il linguaggio della scultura, perché e come nasce questa scelta?
«È davvero curioso il mio approccio con la scultura poiché risale alla mia infanzia. A proposito mi piace raccontarle un paio di aneddoti: mio padre era custode di una villa di certi signori di Caltanissetta e io e la mia famiglia vivevamo lì. In quella zona c'erano molti alberi che venivano tagliati e il cui legno era poi lavorato da esperti artigiani. Io li guardavo intagliare e mi provavo a scolpire su dei rametti ma con scarso successo. Intanto succedeva che a scuola il mio maestro mi invogliava a disegnare, visto che me la cavavo bene a fare disegni mi comprava lui stesso i fogli su cui realizzarli, non avendo i miei genitori grandi possibilità economiche. Un po' la passione e l'esercizio nel disegnare e un po' la mia testardaggine mi diedero una mano nel migliorare anche nella scultura in legno. Prova e riprova cominciai a vedere che i miei legni prendevano corpo diventando delle figure. Si perché, fin dall'inizio, il mio linguaggio si è orientato alla figura».
Cosa rappresenta per lei la scultura e quali i materiali che predilige?
«La scultura nel mio caso è la forma espressiva principale che ho scelto per fare arte, poi c'è anche il disegno che amo molto e che ho messo parecchie volte in mostra, ma, innanzitutto, sono scultore. Il materiale che prediligo è il travertino: ha un morbidezza che mi consente di plasmare un'immagine come meglio desidero dandomi, appunto, la possibilità di realizzare e di trasferire le mie fantasie e i mie sogni nella materia dotandola di forza espressiva. Lavoro comunque tutti i materiali, dal bronzo al marmo, dalla pietra al gesso, dalla terracotta al legno. Ho una vera e propria passione nello sperimentare. Pensi che da ragazzino andavo a raccogliere i cocci in una località vicino Caltanissetta, alla Sabucina, un vecchio sito archeologico che era stato il luogo dove gli antichi greci fondevano i loro lavori. Qui c'erano in giro ancora migliaia di cocci di quei lavori, io li raccoglievo e poi li lavoravo con la terracotta e attraverso un procedimento da me inventato realizzavo delle strane sculture. Questo mi riempiva di gioia, così come mi facevano gioire delle bacheche, che ancora prima, quasi da bambino, realizzavo utilizzando quei cocci e che poi ingenuamente chiamavo museo Ciulla. Racconto questo per far capire come per me l'arte e la scultura siano state fin da giovane, così come lo sono tuttora, una manifestazione gioiosa e anche giocosa per sperimentare e tradurre i miei sogni su tutti i materiali possibili in una ricerca tecnica e formale continua. La scultura è la mia vita, è l'essenza del mio lavoro artistico che, a sua volta, mi consente di mettere in scena tutti quei sogni, desideri e sentimenti che caratterizzano la mia stessa esistenza».
Ci descrive come prendono corpo le sue opere e quali sono i moventi artistici e la poetica da cui esse nascono?
«Le mie opere prendono vita dalla mia fantasia, da un immaginario che è fortemente legato alla mia terra di Sicilia e ai suoi miti. Sinceramente non mi è facile e non è semplice esprimere a parole quello che provo e che penso quando lavoro a un'opera. Si tratta sempre di qualcosa che mi porto dentro, che sento profondamente e che desidero far conoscere attraverso la mia arte. Un'arte dove io amo esprimere la gioia che mi deriva dallo scolpire. Quando lavoro, infatti, sono sempre colmo di gioia, ad esempio scolpire la pietra, sia essa di travertino o di altro materiale, è un'operazione che mi esalta, comincio a scavare dentro la materia togliendo quel superfluo che impedisce di cogliere la forma che già essa contiene, scavo per trovare la sua essenza più intima, la sua anima naturale. Ho sempre tenuto a imprimere alle mie figure un senso di armonia e positività, questo anche laddove rappresento figure mitologiche drammatiche. Al riguardo mi viene in mente la grande scultura della dea Cerere, un mio monumento collocato a Botticino in Sicilia, dove questa figura mitologica l'ho voluta rendere in tutta la sua forza simbolica di portatrice di prosperità e ricchezza, come testimoniato dalle spighe collegate al suo culto; le ho inoltre conferito una gioiosità che nel mito non sempre è presente. E' un lavoro che mi è molto caro e che mi soddisfa molto, di cui ho trasfigurato il mito sulla base della mia visione che guarda al mondo nella sua bellezza e gioiosità; è un'opera che mi rappresenta e che rappresenta il mio modo di sentire l'esistenza e di percepire l'arte».
Qual è il suo rapporto con il mondo dell'arte contemporanea. Come vede la spettacolarizzazione delle arti visive oggi tanto di moda?
«Ringrazio quegli artisti che definiscono i loro lavori come una rappresentazione pura e semplice di un'idea. Io li seguo questi artisti e quando vedo le loro opere mi chiedo quale sia la loro idea che hanno voluto rappresentare. Ma la risposta non la trovo quasi mai, per cui non posso non pensare che si tratti davvero di trovate prive di qualsiasi senso artistico ed esistenziale, nonchè di una qualsivoglia visione del mondo. Spettacolarizzare l'arte non porta a niente, a volte può portare a un facile successo cui il tempo non credo che poi darà ragione».
Qual è, a suo avviso, il futuro delle arti tradizionali come la scultura in rapporto alla arti di nuova generazione come arte digitale, video art e tutte quelle manifestazioni artistiche e visive legate all'uso della tecnologia?
«Le tecnologie se utilizzate come strumento, ad esempio le nuove macchine che sbozzano il marmo, sono utili. Sebbene nel caso specifico, ma credo anche in generale, sul lavoro occorre poi che intervenga la mano dell'uomo per renderlo completo, nel caso della scultura è necessario, almeno per quanto mi riguarda, intervenire per conferirle quella forza espressiva che la rende viva, che le dà un'anima. Quanto agli altri tipi di arte dove si utilizzano le tecnologie digitali non ho nulla in contrario. Sono molto aperto in tal senso. Non credo, però, che le forme artistiche tradizionali possano considerarsi superate o superabili dalla presenza di altre forme d'arte a carattere digitale. L'arte è bella perchè è infinita e si può esprimere in una infinità di modi».
I suoi progetti futuri e, magari, un sogno nel cassetto?
«Un progetto che ormai é una realtà, è un grande monumento della ninfa Aretusa, già completato e da installare a breve nella città di Siracusa, un lavoro al quale tengo molto, su cui ho lavorato intensamente e con grande passione e che sento molto. Prossimamente dovrei installare un'altra mia opera monumentale in America. Di sogni nel cassetto ce ne sono ancora tanti. Li faccio uscire un po' per volta perché hanno una loro preziosità. Importante è continuare a nutrire sogni, un segreto che vale nella vita come nell'arte e che dà un senso alle cose. Senza mai dimenticare di far uscire dal cassetto i sogni migliori, quelli più belli».