Un tema di propaganda politica per due pittori

I due pittori sono il veneziano Jacopo Robusti detto il Tintoretto (1519-1594) e la romana Artemisia Gentileschi (1593-1652).
A cura di Rita Lombardi.
Siamo in piena Controriforma e l’episodio di “Susanna e i Vecchioni” narrato nella Bibbia (libro del profeta Daniele), diventa per la Chiesa di Roma materia di propaganda politica.
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La vicenda si svolge nel VI secolo A.C. a Babilonia e tutti i protagonisti sono Israeliti. Susanna, “donna di rara bellezza e timorata di Dio”, è sposata con un uomo molto ricco e vive in una casa con giardino. Due anziani giudici, in carica per quell’anno, frequentano la sua casa e la desiderano ardentemente. Un giorno riescono a sorprenderla mentre è sola in giardino e cercano di convincerla a concedersi a loro, minacciando una denuncia pubblica per adulterio. Susanna, pur consapevole che, per la legge mosaica, rischia la lapidazione, preferisce morire piuttosto che peccare. I due giudici la denunciano e vengono creduti. Susanna sta per essere lapidata quando, in risposta alle sue ardenti suppliche a Dio, sopraggiunge il profeta Daniele, che smaschera i due bugiardi.
L’interesse per questo soggetto nasce proprio nel Cinquecento, quando viene interpretato e usato, in ossequio allo spirito dei decreti tridentini, come allegoria della purezza della Chiesa, che, come Susanna, è “timorata di Dio” e resiste alle turpitudini degli eretici e dei riformisti adombrati nei due anziani giudici. Pertanto il titolo dei due dipinti è “Susanna e i Vecchioni”, anche se dovrebbe essere, per entrambi, “La Chiesa di Roma, il Riformista e il Protestante”.
Nel racconto biblico Susanna ha solo manifestato il desiderio di fare il bagno, ma è ancora vestita di tutto punto! In questi due dipinti, invece, Susanna è nuda e in quello del Tintoretto ha appena finito di fare il bagno. La nudità di Susanna, definita “nuditas virtualis” è necessaria perché simboleggia innocenza e purezza, come nelle Maddalene penitenti.
RIFORMA E CONTRORIFORMA
La Riforma Protestante, iniziata ufficialmente il 31 ottobre 1517, è stata per la Chiesa di Roma un vero e proprio ciclone devastante, perché ha comportato una gigantesca perdita di prestigio e di potere politico ed è stato un vero disastro per le sue finanze. Infatti, nel giro di mezzo secolo Svezia, Norvegia, Olanda, Danimarca, Inghilterra, Germania e Svizzera si separano dalla Chiesa di Roma diventando Chiese autonome e ovviamente decime e le offerte di questi territori non confluiscono più nei forzieri romani.
Il Papa, i cardinali e i vescovi sono accusati di commercio di reliquie, compravendita di cariche ecclesiastiche, vendita di indulgenze, amore per il sesso e per il lusso. E’ risaputo che nelle dimore papali si eseguono magnifiche feste con le più famose cortigiane di Roma e che ogni tanto ci scappa anche qualche omicidio. Già nel 1492, a Firenze, il frate Gerolamo Savonarola invocava il castigo di Dio su Roma, novella Babilonia. Anche negli stati che restano fedeli alla Chiesa di Roma, compresi la Repubblica di Venezia, il Regno di Napoli e il Ducato di Ferrara, fioriscono circoli di uomini e donne che simpatizzano con i protestanti e invocano la riforma dei costumi del Papa e del Clero.
La Chiesa di Roma corre ai ripari e inizia la Controriforma. Nel 1545, viene convocato il Concilio di Trento, che conclude i suoi lavori nel 1563 con la riaffermazione definitiva del primato del Papa e con l’esaltazione della sua azione e di quella della gerarchia ecclesiastica. Trionfa l’assolutismo papale, la posizione intransigente della Chiesa di Roma, la repressione e la persecuzione degli eretici.
Per definire la funzione didattica dei dipinti sacri, i padri tridentini definiscono una analogia tra la “teoria delle prediche” e la “teoria delle immagini”. Ma questa rivalutazione dei pittori, considerati “predicatori del popolo”, determina di necessità una loro istruzione teologica e un meticoloso controllo dell’aderenza dottrinale delle loro opere.
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TINTORETTO E IL CLIMA POLITICO DI VENEZIA

Tintoretto vive e lavora a Venezia, città ricca e cosmopolìta, capitale di una libera e indipendente repubblica. Essendo la Serenissima uno stato commerciale ha come principio inderogabile la libertà di coscienza e accoglie sì l’Inquisizione, ma a condizioni restrittive e sotto la continua sorveglianza dei suoi magistrati, limitando di fatto le condanne a morte per eresia. Nelle piazzette veneziane discutono liberamente ebrei, cristiani ortodossi, riformisti, protestanti e fedeli alla Chiesa di Roma. Tintoretto si appassiona ai dibattiti teologici che coinvolgono i suoi contemporanei negli anni della Riforma e della Controriforma. Egli è un uomo libero intellettualmente e profondamente religioso; la sua famiglia possiede una Bibbia (messa all’Indice nel 1548) tradotta da un frate seguace del Savonarola e appartenente ad un’ala radicale dei domenicani particolarmente critica nei confronti della gerarchia ecclesiastica.
IL DIPINTO DI “SUSANNA E I VECCHIONI” DEL TINTORETTO
In questo dipinto, terminato nel 1556, egli pone Susanna in un rigoglioso giardino e la raffigura nell’atto di asciugarsi una gamba con un telo di lino ornato da finissimo merletto. La donna, dalla pelle luminosa, quasi lunare, è assorta nella contemplazione della sua nudità, per niente infastidita né dagli anziani, nascosti tra gli alberi, né dall’osservatore esterno. Susanna indossa i suoi gioielli, è circondata da preziosi oggetti di toeletta ed un ricco corsetto le giace accanto. La presenza di una siepe di rose, i fiori di Venere, riporta il racconto dal piano religioso a quello profano ed erotico.
Un veneziano contemporaneo di Tintoretto coglie il messaggio che il pittore vuole trasmettere. Se lo specchio, i gioielli, il ricco corsetto, gli oggetti da toeletta apparecchiati intorno alla donna e il suo atteggiamento sono più adatti a raccontare la quotidianità di una cortigiana piuttosto che quella di una casta sposa e se Susanna è la metafora della Chiesa di Roma, allora è chiaro che quest’ultima è ancora attratta dai piaceri terreni piuttosto che dal Cielo, è preda ancora della lussuria e dell’avidità ed è lontana dall’avere attuato una seria, profonda riforma dei costumi.
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ARTEMISIA GENTILESCHI E IL CLIMA POLITICO DI ROMA

Artemisia Gentileschi nasce a Roma nel luglio del 1593. Il padre Orazio, pisano di nascita, è un affermato pittore nel panorama romano con un suo stile ben definito. La madre, romana, muore quando Artemisia ha dodici anni.
Roma è la capitale dello Stato Pontificio, uno stato teocratico, a tutti gli effetti una monarchia assoluta governata dal Papa, dalla gerarchia ecclesiastica e da poche potenti famiglie nobiliari. E’ obbligatorio andare a messa regolarmente, comunicarsi una volta l’anno, a Pasqua, e comportarsi da bravi cristiani se si vuole vivere e lavorare a Roma. Nel 1592, un anno prima della sua nascita, è salito al soglio pontificio Clemente VIII. Nei tredici anni del suo pontificato vengono eseguite ben 30 condanne a morte. Le esecuzioni sono pubbliche e tutti sono obbligati ad assistervi, nobili e popolino, ricchi e poveri, adulti e bambini. Poiché i pittori hanno il privilegio di stare in prima fila durante questi “spettacoli”, in modo da poter poi dipingere realisticamente i supplizi dei martiri cristiani, Artemisia, anch’essa in prima fila con il suo papà, sin dalla più tenera infanzia ha assorbito tutta questa crudeltà.
Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno è arrostito vivo in Campo de’ Fiori. Cinque mesi prima, nel settembre 1599, era stata giustiziata la giovane nobildonna Beatrice Cenci insieme alla matrigna e ai due fratelli. Sono accusati di aver assassinato il rispettivo padre e marito, uomo violento che abusava della figlia. Le due donne sono decapitate e i fratelli squartati.
Poiché all’indomani dell’esecuzione Roma è invasa da libelli ingiuriosi nei confronti del Papa, accusato di aver sterminato la famiglia Cenci per cupidigia (il nipote del Papa ha acquistato a prezzi ridicoli i beni dei Cenci confiscati), i presunti autori dei libelli vengono anch’essi condannati a morte.
Nel 1601 Clemente VIII promulga una legge contro coloro che divulgano a voce o per iscritto notizie ingiuriose che ledono la reputazione altrui, stabilendo che i diffamatori saranno deferiti al Tribunale dell’Inquisizione.
Nel settembre 1603, anche Orazio Gentileschi viene messo in prigione. In casa sua è stato trovato (!) uno scritto in cui viene denigrato un collega, Giovanni Baglioni. Probabilmente dei protettori influenti intercedono per lui, perché dopo due settimane è libero.
Questo è il clima che si respira a Roma nel 1600!
ARTEMISIA GENTILESCHI E IL SUO DIPINTO “SUSANNA E I VECCHIONI”
Primogenita di sei figli, Artemisia è l’unica femmina e sin da piccola si rivela dotata di talento artistico, unica tra i figli di Orazio. Cresce nell’odierna via del Babuino, in una casa frequentata assiduamente da altri pittori, amici e colleghi del padre. Sin da bambina questi le ha fatto ammirare e studiare da vicino le opere dei grandi artisti che hanno lavorato a Roma, come Raffaello e Michelangelo, in quanto egli ha libero accesso ai cantieri romani.
Nel decennio della sua adolescenza Caravaggio crea le famose pale che ornano tre chiese a due passi da casa sua. Prestissimo Artemisia si cimenta con il disegno ed i colori, prepara le tele e miscela le tinte per il padre e, a volte, posa per lui.
Nel 1609 dipinge una Madonna con Bambino, ora a Roma, a Palazzo Spada. L’anno dopo, firma, a 17 anni, “Susanna e i Vecchioni”.
Il dipinto rivela un ottimo disegno anatomico, un delicato accostamento di colori e una sofisticata modulazione di luce ed ombra. L’animata postura del viso e delle braccia riprende l’Adamo della “Cacciata dal Paradiso Terrestre” della Cappella Sistina, mentre la struttura a zig zag sulla diagonale secondaria mi ricorda l’impianto della “Madonna dei Pellegrini” nella Chiesa di S. Agostino (a due passi da Piazza Navona) che il Caravaggio ha terminato nel 1604. Sono tipiche di Artemisia, invece, la ciocca ribelle che taglia la guancia di Susanna, la sua postura accovacciata e le fossette sulle sue mani.
La sua Susanna è nuda, pura, bella, senza gioielli, solo un povero panno si appoggia sulla sua coscia, non la circondano né ricchi vestiti, né preziosi oggetti di toeletta. Sono, invece, riccamente abbigliati i due uomini che incombono su di lei dall’alto, come i paesi a nord dello Stato Pontificio che si sono staccati dalla Chiesa di Roma. I due giudici non sembrano mirare al suo corpo, ma alle sue orecchie e alla sua mente, come gli eretici e i riformisti. Le morbide natiche di Susanna poggiano su una panca di chiesa, una dura, semplice panca lignea definita da più linee che tagliano orizzontalmente la tela e che si estendono oltre i confini della stessa. Questa panca, che non inizia né finisce, suggerisce l’idea di una Chie-sa illimitata nel tempo e nello spazio. Dietro la scelta di Artemisia di cambiare collocazione rispetto al testo biblico c’è forse il suggerimento del Furiere del Papa, amico di famiglia e suo padrino?
La donna terrorizzata pare legata al suo sedile e mentre cerca di allontanare le orecchie sembra voler dire: “Andate via, non voglio sentirvi”.
Ci sono tutti gli elementi per piacere alla gerarchia ecclesiastica, compresa la paura.
La sensibilità femminile di Artemisia e la sua esperienza di suddita romana fanno sì che ottenga una resa drammatica senza ricorrere ai violenti scenografici chiaroscuri caravaggeschi.
Guardando questa scena drammatica, un contemporaneo romano di Artemisia legge tutti i messaggi riposti, si immedesima in Susanna e sente un brivido gelido corrergli lungo la schiena, mentre un ammonimento gli risuona nella testa: “Stai attento, se ti comporti da eretico, se pensi di riformare la Chiesa, se ascolti e diffondi critiche sul Papa o sul Clero, rischi, come Susanna, la pena di morte, non ti puoi nascondere, il potere della Chiesa ti può raggiungere ovunque, è già successo, sei avvertito! Sei legato a questa religione, non puoi liberarti, rassegnati!”
GRAZIE
Davanti a questo dipinto io provo una profonda, immensa gratitudine per tutti gli uomini e le donne che nel corso dei secoli hanno desiderato, immaginato, sognato, voluto fortemente, pensato, scritto, lottato, dato la vita per la libertà politica e di pensiero di cui noi oggi godiamo.
Non viviamo più in uno stato teocratico o in un regime assolutistico, possiamo eleggere liberamente i nostri governanti e liberamente criticarli, non c’è più la pena di morte o la tortura, possiamo praticare la religione che vogliamo o nessuna se così ci va, nessun magistrato o poliziotto viene a ficcanasare tra le nostre cose a casa nostra, possiamo leggere i libri che vogliamo, e altrettanto liberamente assistere agli spettacoli, c’è attenzione e protezione per le vittime di abusi sessuali e di violenze domestiche. Vi pare poco?