Vedute sentimentali. La forza leggiadra delle città di Paolo Fedeli.
Di Giorgio Barassi.
La nostra meta non è mai un luogo,
ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose.
(Henry Miller)

Di sicuro l’intensità delle sue vedute nasce da una propensione allo sguardo analitico, che ha radici profonde, territoriali e tecniche: è una fortuna, per i pittori toscani, avere attorno quella bellezza cantata in milioni di parole. Lo è di più quando quella fornitura è inizio di un percorso e poi raggiunge vertici lirici innegabilmente alti, come accade con Paolo Fedeli. Artista di sentimento, prima ancora che di tecnica, inappuntabile, e di ruolo, perché è sempre più raro incappare in chi, come lui, racconta vedute di città moderne con una forza che si affaccia gentilmente da ogni sfumatura e da ogni tinta scelta con cura e dedizione. Una narrazione che invita al fantasticare, lasciando che lo sguardo spazi oltre, in orizzontale ed in verticale, facendoci pensare a come avrebbe proseguito il discorso su una dimensione più grande e come ci avrebbe attratti in quella sapiente miscela di prospettiche contemporanee, fino a rendere secondaria l’individuazione del luogo ritratto.
È infatti chiaro l’intento di Fedeli, che non accetta il limite di ritrarre e rappresentare, ma con le sue accorte diluizioni, con le marcate accentazioni su colori primari ci porta dentro le sue opere come a coinvolgerci nella ricerca del fantastico e dell’immaginario che ben popolano i suoi quadri, anche quando crediamo che si tratti, tout court, di una “veduta”. Anche nelle canoniche interpretazioni della sua bella Toscana o dipingendo Venezia, Fedeli aggiunge e toglie con una abilità naturale: quella di non renderci una cartolina, ma di portarci dentro una atmosfera, un sentire romantico e contemporaneo che ne caratterizza la ricerca. È chiaro che le sue vedute metropolitane sono aggiornamenti del concetto stesso del ritrarre un angolo, una via, un panorama urbano. Le grandi città, spesso algide nella loro natura di palazzoni e vie larghissime, sembrano acquisire una sentimentale forza di espressività affascinante, perdendo i caratteri dello scenario quotidiano e portandoci alla attrazione verso luoghi di solito caotici, pieni di rumori e di vociare sparso.

Se, nel definire il Vedutismo del Settecento, va ovviamente fatta la differenza tra il “capriccio”, che distorceva la realtà dei luoghi, confondendoci, e la veduta realistica che si limitava a rappresentare il posto, per Fedeli bisognerebbe coniare un termine che qualifichi ulteriormente la sua ricerca. Infatti, a guardare con attenzione il suo ultimo operato, lo spazio immediatamente di fronte a noi è quasi completamente libero dagli ingombri di automobili e figure umane, ci lascia il gusto di immaginarci da soli sotto la pioggia in mezzo ad una Avenue americana e ci permette di goderne l’imponenza senza subire l’opprimente verticalità degli edifici. Ci fa gustare una visione che rimette l’uomo al suo posto di autentico progettista dello spazio, evocando silenzi laddove è impossibile pretenderli, tra il traffico, le insegne luminose e le vetrine colorate. Una visione positiva che è, in realtà, la posizione di partenza degli artisti di sentimento e non dei narratori della contemporaneità. Fedeli costituisce una piacevole eccezione, permettendoci di sentire nelle sue opere, tra le guglie del Duomo di Milano o tra un altissimo lampione di un incrocio nel centro di Los Angeles e l’aria che lo circonda, una folata di vento uguale a quella che avvertiremmo, seduti su un gradino in pietra di una chiesetta, nella sua campagna toscana.

Per questo, e per una naturale propensione alla pittura silenziosa ed efficace, pare che tutta la sua operazione artistica sottenda una forza determinante e impercettibile insieme, che si percepisce nel tratto deciso delle pennellate, ma mai chiassoso o ridondante. È così anche nelle rare nature morte, collocate su un piano che lascia intravedere uno scenario di case, senza togliere il gusto di un garbato e ponderato dripping in primo piano. Gli scenari delle sue città, specialmente quelli notturni, sistemano tra terra e cielo, tra il selciato e lo svettare dei fabbricati, una distribuzione del colore che rende esattamente l’idea di un equilibrio dei toni, di una accorta spartizione delle luci e delle ombre che, raccontate così, farebbero pensare ad armonie del passato. E invece in Fedeli, per temi e per coerenza descrittiva, si manifesta una contemporaneità ferocemente attuale, uno stare al passo con la vita e tutte le sue sfumature, ivi comprese quelle nevrosi quotidiane che le città distribuiscono a piene mani ogni giorno.
I riflessi delle luci dei fari delle automobili sul selciato, quelli delle vetrine illuminate, quelli delle finestre e della illuminazione urbana formano una scena integrata ed integrante, un tutt’uno col racconto della pittura di Fedeli, e si possono leggere come una visione, sì, ma talmente più grande di quella ritratta, da diventare uno sguardo autentico sul contemporaneo di ognuno di noi. Il fragile uomo, in fondo, è quello che ha progettato e costruito, e quasi viene da chiedersi perché tanta velocità ci sta superando e, a volte ci schiaccia. Nelle vedute contemporanee ed urbane di Fedeli ci si può rifugiare per osservare col giusto distacco quella parte sentimentale che alle città, tutto sommato, rimane ancora.
La nostra meta non è mai un luogo,
ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose.
(Henry Miller)

Di sicuro l’intensità delle sue vedute nasce da una propensione allo sguardo analitico, che ha radici profonde, territoriali e tecniche: è una fortuna, per i pittori toscani, avere attorno quella bellezza cantata in milioni di parole. Lo è di più quando quella fornitura è inizio di un percorso e poi raggiunge vertici lirici innegabilmente alti, come accade con Paolo Fedeli. Artista di sentimento, prima ancora che di tecnica, inappuntabile, e di ruolo, perché è sempre più raro incappare in chi, come lui, racconta vedute di città moderne con una forza che si affaccia gentilmente da ogni sfumatura e da ogni tinta scelta con cura e dedizione. Una narrazione che invita al fantasticare, lasciando che lo sguardo spazi oltre, in orizzontale ed in verticale, facendoci pensare a come avrebbe proseguito il discorso su una dimensione più grande e come ci avrebbe attratti in quella sapiente miscela di prospettiche contemporanee, fino a rendere secondaria l’individuazione del luogo ritratto.
È infatti chiaro l’intento di Fedeli, che non accetta il limite di ritrarre e rappresentare, ma con le sue accorte diluizioni, con le marcate accentazioni su colori primari ci porta dentro le sue opere come a coinvolgerci nella ricerca del fantastico e dell’immaginario che ben popolano i suoi quadri, anche quando crediamo che si tratti, tout court, di una “veduta”. Anche nelle canoniche interpretazioni della sua bella Toscana o dipingendo Venezia, Fedeli aggiunge e toglie con una abilità naturale: quella di non renderci una cartolina, ma di portarci dentro una atmosfera, un sentire romantico e contemporaneo che ne caratterizza la ricerca. È chiaro che le sue vedute metropolitane sono aggiornamenti del concetto stesso del ritrarre un angolo, una via, un panorama urbano. Le grandi città, spesso algide nella loro natura di palazzoni e vie larghissime, sembrano acquisire una sentimentale forza di espressività affascinante, perdendo i caratteri dello scenario quotidiano e portandoci alla attrazione verso luoghi di solito caotici, pieni di rumori e di vociare sparso.

Se, nel definire il Vedutismo del Settecento, va ovviamente fatta la differenza tra il “capriccio”, che distorceva la realtà dei luoghi, confondendoci, e la veduta realistica che si limitava a rappresentare il posto, per Fedeli bisognerebbe coniare un termine che qualifichi ulteriormente la sua ricerca. Infatti, a guardare con attenzione il suo ultimo operato, lo spazio immediatamente di fronte a noi è quasi completamente libero dagli ingombri di automobili e figure umane, ci lascia il gusto di immaginarci da soli sotto la pioggia in mezzo ad una Avenue americana e ci permette di goderne l’imponenza senza subire l’opprimente verticalità degli edifici. Ci fa gustare una visione che rimette l’uomo al suo posto di autentico progettista dello spazio, evocando silenzi laddove è impossibile pretenderli, tra il traffico, le insegne luminose e le vetrine colorate. Una visione positiva che è, in realtà, la posizione di partenza degli artisti di sentimento e non dei narratori della contemporaneità. Fedeli costituisce una piacevole eccezione, permettendoci di sentire nelle sue opere, tra le guglie del Duomo di Milano o tra un altissimo lampione di un incrocio nel centro di Los Angeles e l’aria che lo circonda, una folata di vento uguale a quella che avvertiremmo, seduti su un gradino in pietra di una chiesetta, nella sua campagna toscana.

Per questo, e per una naturale propensione alla pittura silenziosa ed efficace, pare che tutta la sua operazione artistica sottenda una forza determinante e impercettibile insieme, che si percepisce nel tratto deciso delle pennellate, ma mai chiassoso o ridondante. È così anche nelle rare nature morte, collocate su un piano che lascia intravedere uno scenario di case, senza togliere il gusto di un garbato e ponderato dripping in primo piano. Gli scenari delle sue città, specialmente quelli notturni, sistemano tra terra e cielo, tra il selciato e lo svettare dei fabbricati, una distribuzione del colore che rende esattamente l’idea di un equilibrio dei toni, di una accorta spartizione delle luci e delle ombre che, raccontate così, farebbero pensare ad armonie del passato. E invece in Fedeli, per temi e per coerenza descrittiva, si manifesta una contemporaneità ferocemente attuale, uno stare al passo con la vita e tutte le sue sfumature, ivi comprese quelle nevrosi quotidiane che le città distribuiscono a piene mani ogni giorno.
I riflessi delle luci dei fari delle automobili sul selciato, quelli delle vetrine illuminate, quelli delle finestre e della illuminazione urbana formano una scena integrata ed integrante, un tutt’uno col racconto della pittura di Fedeli, e si possono leggere come una visione, sì, ma talmente più grande di quella ritratta, da diventare uno sguardo autentico sul contemporaneo di ognuno di noi. Il fragile uomo, in fondo, è quello che ha progettato e costruito, e quasi viene da chiedersi perché tanta velocità ci sta superando e, a volte ci schiaccia. Nelle vedute contemporanee ed urbane di Fedeli ci si può rifugiare per osservare col giusto distacco quella parte sentimentale che alle città, tutto sommato, rimane ancora.