Artisti allo specchio. Appunti della luce e dell’ombra.

Di Mario Zanoni.

Ermetismo e psicologia sono connesse da interazioni filosofiche vicendevolmente fertili: se la seconda, infatti, è indispensabile per comprendere le reali finalità sottese all’inesausta ricerca di una tradizione millenaria, la prima, per contro, getta una luce chiarificatrice sul significato recondito di tanti archetipi inerenti la dimensione onirica individuale e collettiva. Friedrich Hölderlin. Chi pensa il più profondo, ama il più vivo.

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“Perché stai sempre adorando, Socrate santo,
questo giovane? Nulla sai di più grande,
che con occhio d’amore
come gli dei lo contempli?”.
Chi pensa il più profondo ama il più vivo,
sublime gioventù intende, chi ha guardato nel mondo,
e finiscono i savi sovente
con inclinare al Bello.”

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Anche in alcuni passi della Genesi la natura è declassata alla stregua di un dono divino da sfruttare e manipolare. Al contrario, la tradizione ermetica ha cercato di stabilire, sotto il profilo teoretico, delle differenti modalità relazionali con il mondo sensibile. Non è più l’uomo che domina una phýsis ormai desacralizzata, ma un lavoro di trasformazione della materia in grado di perfezionare la totalità del mondo naturale e dello spirito, capace di ricongiungere quest’ultimo alla matrice universale, opus di riconciliazione nell’unità dello spirito e della materia, teoretico ed al contempo sperimentale, in cui l’alchimista “mette a morte” la realtà esistente per ottenere un nuovo inizio foriero d’incorruttibilità ed immortalità, gettato nell’hic et nunc del mondo contingente e non soltanto negli orizzonti escatologici di una promessa oltremondana.

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Celeberrima frase dal ‘Mito della caverna’ con la quale Platone definisce chi è il vero filosofo: è colui che ama la verità (aletheia) e non insegue l’opinione (doxa). «Se dunque fossero in grado di discutere fra loro, non pensi che essi chiamerebbero oggetti reali le ombre che vedono?» (La Repubblica, 515b) Per sommi capi denuncerò quali pensieri albergano nella mia mente mentre sono intento a vivere la vita ed operare nella nobile terrena materia la mia personale “tradizione millenaria”. Dare corpo ad un’ombra, si chiamerà: Opera. Dare corpo ad una immagine reale, si chiamerà: racconto, leggenda, mito che nell’immaginario collettivo diventerà archetipo. Non pago di dare corpo ad un’ombra voglio raccontare di cosa non vedo, in quella tenebra, cos’altro si nasconde ma so che c’è, una molteplicità di presenze misteriose che, dal nulla, senza motivo, entrano nelle mie mani, si creano e si mettono finalmente in evidenza davanti al mio stupore incredulo. Il tempo di un sorriso, e poi domani qualcuno mi farà domande alle quali non saprò rispondere... Non è pretenziosa arroganza per chi esercita nell’arte artificio della propria interiore tensione spirituale la ricerca del sublime, dell’ineffabile che lo avvicini, il più possibile alla Grande Opera, quella del Supremo Creatore! “…finiscono i savi sovente inclinare al bello”.