Artisti allo specchio .Tonino Mosconi.
Un racconto lirico scaturito dalle immagini.
www.toninomosconi.com
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Durante una recente presentazione del mio ultimo libro San Marino, Opera al Bianco mi è stato chiesto perchè sei diventato fotografo? Una domanda che tutti quelli che intraprendono un certo personale cammino espressivo prima o poi se la pongono. E io me l’ero già chiesto da tempo. Così mi rivedo bambino, forse sette-otto anni, trepidante sulla scala d’ingresso della casa dei miei nonni a Rimini ad aspettare che sulla via Flaminia, a qualche centinaio di metri, passasse il giro d’Italia. Quando i ciclisti passarono ero solo su quelle scale e chiamavo disperatamente mia nonna che aveva certamente altro da fare e non sarebbe venuta. Quel senso di frustrazione, quasi dolore, nell’essere solo a vedere quella cosa mi sarebbe rimasto impresso nella memoria per tanti anni. Poi capii che quelli erano stati i primi semi che in futuro sarebbero germogliati nella professione che faccio tutt’ora: il fotografo. Quella frustrazione era desiderio, ansia di condividere con altri le cose che vedevo. E allora la fotografia divenne da subito la strada per dar voce a quel desiderio di condivisione.
Col tempo poi sarebbero arrivate nuove direzioni e dal semplice desiderio di condividere quello che di bello vedevo, passai al raccontare storie dei luoghi che visitavo nei miei numerosi viaggi in giro per il mondo; e poi, più a fondo, le emozioni che vivevo e infine la necessità di raccontare delle verità, anche scomode, che sentivo dovessero essere svelate. La voglia di raccontare bellezza si è via via trasformata in desiderio di raccontare verità, ma sempre attraverso la fotografia, e intrinsecamente la bellezza e via via anche attraverso la scrittura che a poco a poco è diventata sempre più presente nei miei lavori. E il libro fotografico è sempre stato il veicolo privilegiato per manifestare il mio pensiero visivo e filosofico, per veicolare e trasmettere ad altri il mio sentire.
Così anche quando si tratta di un libro con finalità puramente estetiche come appunto l’ultimo su San Marino, che racconta la bellezza di un paese nei giorni d’inverno in cui tutto diventa bianco e puro sotto la candida coltre di neve, ad andare a cercare bene si tratta sempre di raccontare la condizione dell’uomo in questa nostra realtà quotidiana. Allora il sottotitolo, Opera al Bianco, che apparentemente rappresenta il tema iconografico del libro, prende l’accezione sua originale di Albedo, fase alchemica di trasformazione, che attraverso l’esoterismo classico diventa fase di iniziazione per il risveglio, e nella psicologia junghiana rappresenta l’archetipo dell’uomo che riconoscendo le sue ombre non le riversa più sul mondo e sugli altri.
Ed ecco che nel libro la bianca e pura coltre di neve nascondendo quella dimensione orizzontale del luogo-vissuto, rivela ed esalta la dimensione verticale, nobile, degli spazi architettonici che liberi dalle catene visive del frenetico e cieco via vai quotidiano della moderna società dei consumi, ritrovano finalmente la loro austerità. Ma anche l’uomo.
E nei contorni sfumati di questi spazi resi incerti dai fiocchi di neve, dalla nebbia, o dalla luce dell'imbrunire, anche gli uomini sembrano perdere quei tratti rigidi e definiti con cui si muovono nel frettoloso andirivieni della loro esistenza. E ritrovano la loro umanità.
www.toninomosconi.com
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Durante una recente presentazione del mio ultimo libro San Marino, Opera al Bianco mi è stato chiesto perchè sei diventato fotografo? Una domanda che tutti quelli che intraprendono un certo personale cammino espressivo prima o poi se la pongono. E io me l’ero già chiesto da tempo. Così mi rivedo bambino, forse sette-otto anni, trepidante sulla scala d’ingresso della casa dei miei nonni a Rimini ad aspettare che sulla via Flaminia, a qualche centinaio di metri, passasse il giro d’Italia. Quando i ciclisti passarono ero solo su quelle scale e chiamavo disperatamente mia nonna che aveva certamente altro da fare e non sarebbe venuta. Quel senso di frustrazione, quasi dolore, nell’essere solo a vedere quella cosa mi sarebbe rimasto impresso nella memoria per tanti anni. Poi capii che quelli erano stati i primi semi che in futuro sarebbero germogliati nella professione che faccio tutt’ora: il fotografo. Quella frustrazione era desiderio, ansia di condividere con altri le cose che vedevo. E allora la fotografia divenne da subito la strada per dar voce a quel desiderio di condivisione.
Col tempo poi sarebbero arrivate nuove direzioni e dal semplice desiderio di condividere quello che di bello vedevo, passai al raccontare storie dei luoghi che visitavo nei miei numerosi viaggi in giro per il mondo; e poi, più a fondo, le emozioni che vivevo e infine la necessità di raccontare delle verità, anche scomode, che sentivo dovessero essere svelate. La voglia di raccontare bellezza si è via via trasformata in desiderio di raccontare verità, ma sempre attraverso la fotografia, e intrinsecamente la bellezza e via via anche attraverso la scrittura che a poco a poco è diventata sempre più presente nei miei lavori. E il libro fotografico è sempre stato il veicolo privilegiato per manifestare il mio pensiero visivo e filosofico, per veicolare e trasmettere ad altri il mio sentire.
Così anche quando si tratta di un libro con finalità puramente estetiche come appunto l’ultimo su San Marino, che racconta la bellezza di un paese nei giorni d’inverno in cui tutto diventa bianco e puro sotto la candida coltre di neve, ad andare a cercare bene si tratta sempre di raccontare la condizione dell’uomo in questa nostra realtà quotidiana. Allora il sottotitolo, Opera al Bianco, che apparentemente rappresenta il tema iconografico del libro, prende l’accezione sua originale di Albedo, fase alchemica di trasformazione, che attraverso l’esoterismo classico diventa fase di iniziazione per il risveglio, e nella psicologia junghiana rappresenta l’archetipo dell’uomo che riconoscendo le sue ombre non le riversa più sul mondo e sugli altri.
Ed ecco che nel libro la bianca e pura coltre di neve nascondendo quella dimensione orizzontale del luogo-vissuto, rivela ed esalta la dimensione verticale, nobile, degli spazi architettonici che liberi dalle catene visive del frenetico e cieco via vai quotidiano della moderna società dei consumi, ritrovano finalmente la loro austerità. Ma anche l’uomo.
E nei contorni sfumati di questi spazi resi incerti dai fiocchi di neve, dalla nebbia, o dalla luce dell'imbrunire, anche gli uomini sembrano perdere quei tratti rigidi e definiti con cui si muovono nel frettoloso andirivieni della loro esistenza. E ritrovano la loro umanità.