ELENA DI FELICE: La delicatezza del concetto

Di Giorgio Barassi.

Si può urlare o parlare sommessamente, per esprimersi. Si può nicchiare o rispondere a tono, di fronte ad una provocazione. Si può accettare la realtà, per amara che sia, o ci si può opporre adducendo valide ragioni, farcite da una sensata dose di gentilezza.

Elena Di Felice sta permanentemente nel mezzo di tutte queste forme espressive, riassunte a titolo di mero esempio, perché il suo cammino artistico non prevede soste, né ripensamenti di sorta. Dalla certezza tecnica con cui costruisce le sue opere alla pienezza del gradevole che i suoi lavori emanano, tutto, nel suo operare, è calibrato secondo schemi di pieno interesse verso la società e la condizione dei fragili, di chi è ingiustamente discriminato, di coloro che a vario titolo subiscono il rullo compressore della crudeltà sociale.
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Temi difficili che hanno fin qua visto molte forme espressive a raccontarlo, ma spesso si è caduti nel ricorrente o nel giudizio uniformante. “…esprime un concetto… grida contro… simboleggia la protesta…”. Si sono stesi chilometri di parole, e si è ricorso ad un termine abusato, per quanto rispettabile: concettuale.
Dalla nascita alle sue variazioni, inquinamenti e storpiature, il “concettuale”, nato per definire lo spostamento dell’interesse creativo non più verso il senso estetico di un’opera ma verso i concetti che essa esprime. Da qui, attraverso un cinquantennio di ripetizioni, improvvisazioni e pseudo-invenzioni, fatte salve quelle produzioni che hanno davvero colto nel segno, la stessa parola, “concettuale” è andata via via dimagrendo nel suo significato, e si sono accalcati uso e consumo della stessa in situazioni certamente inadeguate.

Elena di Felice parte dalla espressione più asciutta dei suoi concetti e delle sue idee, ma aggira l’ostacolo mettendoci una creatività che sa di certo di gradevolezza e colore, di una tecnica sua propria e di un uso accorto di brandelli di carta, colori e parole scritte che compongono un concerto di idee chiare, evidenti ed attraenti nella loro forma. Dunque è possibile essere “concettuali” strizzando l’occhio al gradevole, attirando l’attenzione su temi fondanti e giuste cause senza urlare né destare stupore eccedente la misura. E così, ad esempio, il concetto di “uguale e diseguale” diventa una distribuzione di segni matematici agghindati in una policromia di carta e colori appoggiati con cura sulla tela, come una pavimentazione policroma di idee che sia innanzitutto attraente e non respingente. Lo stesso accade con temi scottanti come quello della violenza sulle donne. Elena scrive i nomi, ideali e purtroppo non solo immaginari, su un fondo di un giallo calamitante, ed usa anche lì quel suo preparare le opere bagnando le carte pregiate per poi passare alla asciugatura ed alla sovrapposizione degli elementi che sanno di collage e contemporaneamente di décollage, perché quel che è stato già fatto non la interessa, semmai la stimola a fare meglio.
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E così farfalle, ciliegie, stelle ad otto punte, fiori dai larghi petali, frutta, foglie, diventano quel che vediamo di colpo, ma contengono messaggi intensi ed esprimono concetti, è il caso di dire, chiarissimi. Quello che appare ha la forma di ciò che attira, ha l’aspetto bello che cerchiamo in un’opera, non è superato dalla importanza di ciò che Elena Di Felice comunica. Eppure, con quel processo di attenzione e curiosità che serve nel saper guardare l’arte, avvicinandoci notiamo le azzeccate combinazioni di pezzetti di carta cercati e trovati ad hoc, una ricerca dell’effetto finale che contiene idee, pensieri, riflessioni, inviti e considerazioni altissime. Ad Elena interessa l’efficacia, non quel che senza guardare bene potremmo vedere ad occhio distratto. Perciò si può dire che il suo lavoro abbia sconvolto l’andare delle solite definizioni ed abbia portato l’interesse dell’osservatore a fermarsi su più elementi costitutivi delle sue opere. Colore, tecnica, temi e contenuti combinati in una forma affascinante, un linguaggio stilistico singolare e per niente confondibile. Coglie nel segno, la sua arte, perché se è certo che i contenuti del lavoro di un artista debbano essere davvero tali, è altrettanto certo che chi guarda, e accade spesso in questa società, va attratto, interessato, incuriosito. Questo, di fatto, accade con le opere di Elena Di Felice.
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La sua è una delicatezza rude e una cruda garbatezza, perché quel che affronta, a viso aperto e con grande senso della ricerca, non è mai il racconto di un fiore o di una foglia. Ma è il contenuto importante, sorretto dalla piacevolezza, di quel che va urlato forte dentro una forma gradevole. L’operazione artistica con le caratteristiche di ciò che è chiaro e percepibile è servita.