Elisabetta Maistrello e l’anima delle donne
di Giorgio Barassi.
E' così facile parlare di donne, che diventa irrimediabilmente difficile. Figuriamoci dipingerle. E ancor di più dipingerne l’anima. Per soprammercato, a dipingere è una donna : Elisabetta Maistrello.
Insomma faccenda complessa nella sua apparente linearità. Vicenda risolvibile coi soliti ghirigori di parole, qualche ammiccamento alla importanza del ruolo della donna nella società e un blabla consunto, ovvio e trito. Nientaffatto. Se si vuole arrivare alla costruzione ed alla varietà dei volti della vicentina Maistrello, la partenza è difficoltosa quanto il contenuto di una elaborazione pittorica che oggi comincia a raccogliere le varianti provate, riprovate e provate ancora prima di una sorta di svolta verso quel che attualmente è il suo dipingere incessante, martellante come un bombardamento di emozioni e di colori. Se non si ha cuore ed anima per accedere ai codici del sentimento, non si arriva a prendere dai volti femminili della bionda pittrice veneta quel che lei consegna alla storia di un percorso ricco di fatiche e di incertezze.
Vicenza, magico luogo dalle atmosfere ancora caratteristiche, terra di grandi tradizioni artistiche e poi anche città ed agro su cui Andrea Palladio ha dato il meglio del suo architettare neoclassico, è il luogo di partenza. Artigiani orafi, pazienti costruttori di emozioni da indossare. Gente abituata a lavorare per accontentare capricci ed esigenze. È lì che è cresciuta Elisabetta, tra una anello da inventare e il girocollo per la Siòra mai contenta, tra la voglia di creare e i limiti del quotidiano andare delle vicende umane.
Ha detto “… a un certo punto ho sentito il bisogno di dipingere. Una esigenza insopprimibile …” . Chiamala pure voglia di cambiamento, o presunzione nuda e cruda, ma ci è riuscita, e benissimo. Senza strafare e senza piccarsi di essere la migliore. Con una naturalezza da giornate brumose, di quelle che in Veneto ti mettono la voglia di una bella minestra calda che scaldi l’anima e di un sacrosanto rosso a dare allegria, Elisabetta passa ai pennelli mettendoci la stessa intensità di entusiasmo che aveva, ed ancora ha, riversato in quelle sue creazioni di gran gioielleria. Il sinuoso andare delle emozioni non l’ha distolta né dissuasa dall’intento che definisce “insopprimibile”. Era come se quella voglia di dipingere avesse radici lontanissime, era come arrivare esattamente dove si vuole, ma con giudizio e coscienza. Grazie a maestri pazienti, che le hanno dato la grazia del comporre e delle stesure ampie di sfondi ormai inconfondibilmente monocromi. Il resto, tanto, lo ha messo lei. La sua voglia di raccontare le donne è senza dubbio introspettiva ed autoreferenziale, perciò più densa di significati e più ricca del solo racconto di un volto o di uno sguardo.
Le interessava dipingere l’anima delle donne. Il resto contava così poco da non aver mai avuto spazio nelle sue tele. Emozioni colorate, volti diversi ma uniti dal filo sottile della sensibilità e della forza delle femmine, sguardi che sottacciono brutti momenti e innamoramenti travolgenti, avventure e disavventure. La vita, insomma. Non vista, come direbbe chi si crogiola nel banale “dalla parte delle donne” ma con e dentro l’anima delle donne.
Quelle che dipinge, in una successione sempre ben azzeccata, sono loro, ma è anche lei. Sfaccettature dell’anima, aspetti contrastanti e turbinosi del mondo femminile. E poi colori che diventano elementi strutturali di un volto, al punto tale che se immagini di cancellarli, togli il pilastro della sua struttura creativa. Le donne della Maistrello sono quelle lì. E non altro. Hanno in corpo, nel cuore e nell’anima i colori delle urla e dei sussurri, dei silenzi e degli sfoghi, degli amori e dei disinnamoramenti fatali. Donne come le altre, donne come lei.
L’ arrivo migliore per un artista è quello che si determina quando chi guarda riconosce “la mano” o il tema. Se questa magia avviene, un artista può definirsi arrivato. Perlomeno nella riconoscibilità delle opere è depositato il vantaggio di non essere confusi nel marasma di neo-qualcosa o di concettuali a tutti costi, roba lontana dagli obiettivi di Elisabetta Maistrello quanto il sole lo è da Plutone. Per questo è arrivata con successo al punto di essere facilmente riconosciuta ed apprezzata. Per coerenza compositiva e saggezza nelle scelte.
Alla pittrice interessa aver creato un linguaggio di immediata presa, abbondante di cromìe e di espressioni, un fuoco di fila di interpretazioni del sentire delle donne. Una specie di rassegna di quante e quali sfaccettature magnifiche sono nella dotazione del loro essere forti e fragili. A Elisabetta, veneta allegra e sensibile, interessa far attraversare dai suoi volti di donna tutte quelle sensazioni che sono nel quotidiano e che sfuggono alla osservazione dei distratti. Le sue non sono solo le facce di tante donne. Sono l’anima stessa delle protagoniste di una storia antica e lunghissima, riassunta dalla vivacità dei colori e da un intenso garbo creativo.
E' così facile parlare di donne, che diventa irrimediabilmente difficile. Figuriamoci dipingerle. E ancor di più dipingerne l’anima. Per soprammercato, a dipingere è una donna : Elisabetta Maistrello.
Insomma faccenda complessa nella sua apparente linearità. Vicenda risolvibile coi soliti ghirigori di parole, qualche ammiccamento alla importanza del ruolo della donna nella società e un blabla consunto, ovvio e trito. Nientaffatto. Se si vuole arrivare alla costruzione ed alla varietà dei volti della vicentina Maistrello, la partenza è difficoltosa quanto il contenuto di una elaborazione pittorica che oggi comincia a raccogliere le varianti provate, riprovate e provate ancora prima di una sorta di svolta verso quel che attualmente è il suo dipingere incessante, martellante come un bombardamento di emozioni e di colori. Se non si ha cuore ed anima per accedere ai codici del sentimento, non si arriva a prendere dai volti femminili della bionda pittrice veneta quel che lei consegna alla storia di un percorso ricco di fatiche e di incertezze.
Vicenza, magico luogo dalle atmosfere ancora caratteristiche, terra di grandi tradizioni artistiche e poi anche città ed agro su cui Andrea Palladio ha dato il meglio del suo architettare neoclassico, è il luogo di partenza. Artigiani orafi, pazienti costruttori di emozioni da indossare. Gente abituata a lavorare per accontentare capricci ed esigenze. È lì che è cresciuta Elisabetta, tra una anello da inventare e il girocollo per la Siòra mai contenta, tra la voglia di creare e i limiti del quotidiano andare delle vicende umane.
Ha detto “… a un certo punto ho sentito il bisogno di dipingere. Una esigenza insopprimibile …” . Chiamala pure voglia di cambiamento, o presunzione nuda e cruda, ma ci è riuscita, e benissimo. Senza strafare e senza piccarsi di essere la migliore. Con una naturalezza da giornate brumose, di quelle che in Veneto ti mettono la voglia di una bella minestra calda che scaldi l’anima e di un sacrosanto rosso a dare allegria, Elisabetta passa ai pennelli mettendoci la stessa intensità di entusiasmo che aveva, ed ancora ha, riversato in quelle sue creazioni di gran gioielleria. Il sinuoso andare delle emozioni non l’ha distolta né dissuasa dall’intento che definisce “insopprimibile”. Era come se quella voglia di dipingere avesse radici lontanissime, era come arrivare esattamente dove si vuole, ma con giudizio e coscienza. Grazie a maestri pazienti, che le hanno dato la grazia del comporre e delle stesure ampie di sfondi ormai inconfondibilmente monocromi. Il resto, tanto, lo ha messo lei. La sua voglia di raccontare le donne è senza dubbio introspettiva ed autoreferenziale, perciò più densa di significati e più ricca del solo racconto di un volto o di uno sguardo.
Le interessava dipingere l’anima delle donne. Il resto contava così poco da non aver mai avuto spazio nelle sue tele. Emozioni colorate, volti diversi ma uniti dal filo sottile della sensibilità e della forza delle femmine, sguardi che sottacciono brutti momenti e innamoramenti travolgenti, avventure e disavventure. La vita, insomma. Non vista, come direbbe chi si crogiola nel banale “dalla parte delle donne” ma con e dentro l’anima delle donne.
Quelle che dipinge, in una successione sempre ben azzeccata, sono loro, ma è anche lei. Sfaccettature dell’anima, aspetti contrastanti e turbinosi del mondo femminile. E poi colori che diventano elementi strutturali di un volto, al punto tale che se immagini di cancellarli, togli il pilastro della sua struttura creativa. Le donne della Maistrello sono quelle lì. E non altro. Hanno in corpo, nel cuore e nell’anima i colori delle urla e dei sussurri, dei silenzi e degli sfoghi, degli amori e dei disinnamoramenti fatali. Donne come le altre, donne come lei.
L’ arrivo migliore per un artista è quello che si determina quando chi guarda riconosce “la mano” o il tema. Se questa magia avviene, un artista può definirsi arrivato. Perlomeno nella riconoscibilità delle opere è depositato il vantaggio di non essere confusi nel marasma di neo-qualcosa o di concettuali a tutti costi, roba lontana dagli obiettivi di Elisabetta Maistrello quanto il sole lo è da Plutone. Per questo è arrivata con successo al punto di essere facilmente riconosciuta ed apprezzata. Per coerenza compositiva e saggezza nelle scelte.
Alla pittrice interessa aver creato un linguaggio di immediata presa, abbondante di cromìe e di espressioni, un fuoco di fila di interpretazioni del sentire delle donne. Una specie di rassegna di quante e quali sfaccettature magnifiche sono nella dotazione del loro essere forti e fragili. A Elisabetta, veneta allegra e sensibile, interessa far attraversare dai suoi volti di donna tutte quelle sensazioni che sono nel quotidiano e che sfuggono alla osservazione dei distratti. Le sue non sono solo le facce di tante donne. Sono l’anima stessa delle protagoniste di una storia antica e lunghissima, riassunta dalla vivacità dei colori e da un intenso garbo creativo.