I Tesori del Borgo - Serrapetrona
Uno scrigno di bellezze naturali e artistiche. Che racchiude tesori dell'arte dei secoli passati. A partire dal pregiato polittico quattrocentesco del maestro severinate Lorenzo d'Alessandro.
A cura di Marilena Spataro.
Tranquillo borgo collinare in provincia di Macerata, a 500 metri di altezza dal mare, posto sulla destra del torrente Cesolone, all’interno del magnifico territorio dei Comuni dell'Unione Montana dei Monti Azzurri (Monti Sibillini), Serrapetrona racchiude tesori di antica bellezza che si intrecciano con un’interessante storia del passato. Prezioso gioiello, più di ogni altro, del patrimonio artistico di questa amena cittadina marchigiana, il Polittico di Lorenzo d’Alessandro, realizzato a fine ‘400, è tuttora custodito nella Chiesa di San Francesco a Serrapetrona. Su quest’opera il critico d’arte Vittorio Sgarbi, nel suo libro VIAGGIO SENTIMENTALE nell’Italia dei desideri, trattando l’arte medievale nelle Marche, esprime grande ammirazione definendola “vanto del Rinascimento” in ambito marchigiano. Precedentemente attribuito al folignate Niccolò Alunno, solo all’inizio del Novecento il polittico viene identificato come opera di Lorenzo d’Alessandro, detto il Severinate, grazie alle ricerche archivistiche di Raul Paciaroni il quale trova un documento relativo al saldo del contratto, datato 1496, stipulato tra magistrum Laurentium e Mariano di Gentile di Serrapetrona. Il sontuoso Polittico, a due ordini, che tuttora risplende sull’altare maggiore della Chiesa di San Francesco, è racchiuso entro una ricca cornice tardogotica commissionata all’intagliatore e intarsiatore di San Severino Domenico Indivini, nel 1477, forgiata sui modelli dei fastosi retabli veneti tipici dei fratelli Vivarini. La modanatura lignea, richiedente tempi lunghi di lavorazione, diviene spesso più costosa della stessa stesura pittorica, questo può in qualche modo giustificare il lungo lasso di tempo che intercorre tra la realizzazione della struttura e l’elaborazione della pittura pri- ma che l’opera sia consegnata (1477-1496). Nel pannello centrale del primo ordine campeggia la figura della Vergine che adora il Bambino disteso sulle sue ginocchia, mentre ai lati due angeli musicanti suonano un tamburello basco e una rudimentale arpa, strumenti familiari al pittore noto anche come conoscitore di musica e suonatore di liuto.
L’imago pietatis che si affaccia sulla tavola centrale, seppur resa con grande autonomia di espressione, presenta componenti dell’arte veneta non solo del Vivarini o del Bellini, ma anche del Crivelli. Colpisce il contrasto rappresentativo che si rileva tra la sofferenza di un corpo martoriato e l’espressione del viso rasserenato di Cristo, in confronto al duro patetismo degli angeli accorsi a sostenerlo. Nel primo ordine su un pavimento marmoreo dai colori cangianti e politonali si stagliano le immagini dei Santi a figura intera: a destra della Madonna sono San Pietro e San Giacomo, a sinistra San Francesco e San Sebastiano. In alto nel secondo ordine, a destra della cimasa, compaiono San Michele Arcangelo e Santa Caterina d’Alessandria, a sinistra sono San Giovanni Battista e San Bonaventura. A rimarcare il tema cristologico ed evangelico, nella predella, sono effigiati i dodici apostoli racchiusi tra Santa Caterina e Santa Apollonia contrapposte a Santa Lucia e San Nicola da Tolentino. Al centro fiorisce un rosone traforato posto tra due serie di bifore. L’importanza e l’eleganza di questa cornice è data dalle colonnine tortili che sostengono l’imposta degli archi retti da eleganti capitelli con foglie di acanto; al centro della struttura lignea aggetta un lanternino esagonale traforato al cui apice domina il busto benedicente di Dio Padre; ai lati si ergono cuspidi, guglie e pinnacoli realizzazioni di fine intaglio e di elaborato traforo. Lo splendore dei colori e la luce che fluttua collocano il polittico al primo periodo della maturità del maestro, chiamato probabilmente ad eseguire l’affresco raffigurante la Madonna con Bambino fra i Ss. Giovanni Battista e Sebastiano per la chiesa di Santa Maria Grazie su commissione dei Padri francescani di Serrapetrona. Lorenzo, cresciuto nel clima culturale locale, più che alle domestiche botteghe del concittadino Bartolomeo Frinisco o di Cristoforo di Giovanni, preferisce volgere il proprio interesse verso altri artisti, quali il camerte Girolamo di Giovanni, l’umbro Niccolò Alunno, e il veneto Carlo Crivelli.
Dalle loro opere apprende gli insegnamenti derivanti dalla lezione luministica di Piero della Francesca, l’uso di una narrazione favolistica, la stesura di una pittura smaltata e preziosa, la nervosa secchezza anatomica e l’impiego di ampi panneggi, senza mai giungere ad una rilettura critica dei suoi modelli. La collaborazione tra due grandi maestri della maniera adriatica, l’intagliatore Domenico Indivini e il pittore Lorenzo d’Alessandro, rende nel polittico di Serrapetrona quella plasticità propria dell’arte rinascimentale, come concordemente omai riconosciuto dalla critica. Al magnifico Polittico di Lorenzo D’Alessandro, si affiancano a Serrapetrona opere d’arte del passato, alcune di maggiore interesse, altre meno, tuttavia ognuna testimonianza della storia e della identità di questa cittadina e del suo territorio. Ventisei di queste, dopo il sisma del 2016, sono state recuperate dalle loro sedi e riunite nella piccola chiesa di Santa Maria di Piazza, riaperta per l’occasione dopo 21 anni di lunghi restauri a causa dei danni del sisma del 1997. Le opere documentate nel bel catalogo della mostra inaugurale dal titolo “Il Bello…della ricostruzione. L’arte salvata si mostra” resteranno esposte fino a quando le chiese delle frazioni del territorio comunale non torneranno agibili. Tra le opere presenti nella raccolta, spicca su tutte la “Crocifissione” di scuola camerinese, di Giovanni Angelo d’Antonio. Precedentemente considerata opera di Girolamo di Giovanni, grazie al ritrovamento nel 2003 da parte di Matteo Mazzalupi di una quietanza di pagamento risalente al 1452, la bella tavola è stata attribuita senza ombra di dubbio a Giovanni Angelo d’Antonio, maestro di scuola camerte attivo nel ‘400. La fonte documentaria ci dice della paternità e pure della provenienza della tavola dalla Pieve di San Lorenzo, detta Pieve d'Aria, di Castel San Venanzo (frazione di Serrapetrona), dove è stata custodita ininterrottamente fino al terremoto del 2016.
E vista la cospicuità della somma pagata per essa si é potuto ipotizzare che la committenza (probabilmente da parte dei signori Da Varano che nel castrum di Castel San Venanzo avevano un loro punto di forza difensivo) riguardasse un polittico più grande di cui la tavola poteva costituire il pannello centrale; il dato materico del fondo oro con le figure angeliche punzonate ne conferma, peraltro, l’importanza suggerendo appunto che l’opera completa potesse costituire il retablo dell’altare maggiore. La grande innovazione stilistica della crocefissione di Castel San Venanzo, va individuata nell'aver combinato la tradizione camerte del prorompente avanzamento del Crocifisso, con la novità formale del modellato scultoreo, tridimensionale, memore del Donatello padovano. Anche i dolenti dimostrano, come per il Cristo, un’umanizzazione esasperata di grande novità formale da cui si evince un contatto del suo autore, non si sa se diretto o meno, con il cantiere padovano della Cappella Orvetari, e con gli artisti che lì vi lavorarono, a partire dal Mantegna. Il volto scavato di Giovanni evangelista dalla mascella quadrangola e il naso prominente o l’accorato dolore di Maria che si tiene il volto con concitato spasmo espressivo, sono di grande modernità. Il modellato delle opere padovane di Donatello e l’esasperazione formale delle figure fanno di quest’opera uno dei punti di rottura con la tradizione tardogotica verso risultati d’espressione e sentimenti che solamente il Masaccio del Carmine pochi anni prima, nel 1425, poteva raggiungere. Agli importanti tesori dell’arte che Serrapetrona custodisce gelosamente, fanno da splendida cornice affascinanti paesaggi collinari e il bel lago di Caccamo, luogo ideale per la pesca sportiva, il canottaggio e la canoa. Sul fronte architettonico e storico Serrapetrona riserva, oltre a un “castello” di età longobarda, interessanti vestigia risalenti già all’alto medioevo (il termine stesso “Serra”, di origine longobarda, indica un abitato fortificato con funzioni di sbarramento a difesa dell’inizio di una valle “Petrona” di pietra), nonchè antiche pergamene del 1100, le bolle e lo “statuto” dell’età feudale, quando Serrapetrona lottò per diventare Comune, contenute nell’archivio storico. Una nota “frizzante”, che aggiunge fascino a questo magnifico e accogliente Borgo del maceratese, è legata alla produzione della famosissima “Vernaccia di Serrapetrona d.o.c.g.”, vino spumante, unico per qualità, caratteristiche e tradizione apprezzato e conosciuto sia in Italia che all’estero.
A cura di Marilena Spataro.
Tranquillo borgo collinare in provincia di Macerata, a 500 metri di altezza dal mare, posto sulla destra del torrente Cesolone, all’interno del magnifico territorio dei Comuni dell'Unione Montana dei Monti Azzurri (Monti Sibillini), Serrapetrona racchiude tesori di antica bellezza che si intrecciano con un’interessante storia del passato. Prezioso gioiello, più di ogni altro, del patrimonio artistico di questa amena cittadina marchigiana, il Polittico di Lorenzo d’Alessandro, realizzato a fine ‘400, è tuttora custodito nella Chiesa di San Francesco a Serrapetrona. Su quest’opera il critico d’arte Vittorio Sgarbi, nel suo libro VIAGGIO SENTIMENTALE nell’Italia dei desideri, trattando l’arte medievale nelle Marche, esprime grande ammirazione definendola “vanto del Rinascimento” in ambito marchigiano. Precedentemente attribuito al folignate Niccolò Alunno, solo all’inizio del Novecento il polittico viene identificato come opera di Lorenzo d’Alessandro, detto il Severinate, grazie alle ricerche archivistiche di Raul Paciaroni il quale trova un documento relativo al saldo del contratto, datato 1496, stipulato tra magistrum Laurentium e Mariano di Gentile di Serrapetrona. Il sontuoso Polittico, a due ordini, che tuttora risplende sull’altare maggiore della Chiesa di San Francesco, è racchiuso entro una ricca cornice tardogotica commissionata all’intagliatore e intarsiatore di San Severino Domenico Indivini, nel 1477, forgiata sui modelli dei fastosi retabli veneti tipici dei fratelli Vivarini. La modanatura lignea, richiedente tempi lunghi di lavorazione, diviene spesso più costosa della stessa stesura pittorica, questo può in qualche modo giustificare il lungo lasso di tempo che intercorre tra la realizzazione della struttura e l’elaborazione della pittura pri- ma che l’opera sia consegnata (1477-1496). Nel pannello centrale del primo ordine campeggia la figura della Vergine che adora il Bambino disteso sulle sue ginocchia, mentre ai lati due angeli musicanti suonano un tamburello basco e una rudimentale arpa, strumenti familiari al pittore noto anche come conoscitore di musica e suonatore di liuto.
L’imago pietatis che si affaccia sulla tavola centrale, seppur resa con grande autonomia di espressione, presenta componenti dell’arte veneta non solo del Vivarini o del Bellini, ma anche del Crivelli. Colpisce il contrasto rappresentativo che si rileva tra la sofferenza di un corpo martoriato e l’espressione del viso rasserenato di Cristo, in confronto al duro patetismo degli angeli accorsi a sostenerlo. Nel primo ordine su un pavimento marmoreo dai colori cangianti e politonali si stagliano le immagini dei Santi a figura intera: a destra della Madonna sono San Pietro e San Giacomo, a sinistra San Francesco e San Sebastiano. In alto nel secondo ordine, a destra della cimasa, compaiono San Michele Arcangelo e Santa Caterina d’Alessandria, a sinistra sono San Giovanni Battista e San Bonaventura. A rimarcare il tema cristologico ed evangelico, nella predella, sono effigiati i dodici apostoli racchiusi tra Santa Caterina e Santa Apollonia contrapposte a Santa Lucia e San Nicola da Tolentino. Al centro fiorisce un rosone traforato posto tra due serie di bifore. L’importanza e l’eleganza di questa cornice è data dalle colonnine tortili che sostengono l’imposta degli archi retti da eleganti capitelli con foglie di acanto; al centro della struttura lignea aggetta un lanternino esagonale traforato al cui apice domina il busto benedicente di Dio Padre; ai lati si ergono cuspidi, guglie e pinnacoli realizzazioni di fine intaglio e di elaborato traforo. Lo splendore dei colori e la luce che fluttua collocano il polittico al primo periodo della maturità del maestro, chiamato probabilmente ad eseguire l’affresco raffigurante la Madonna con Bambino fra i Ss. Giovanni Battista e Sebastiano per la chiesa di Santa Maria Grazie su commissione dei Padri francescani di Serrapetrona. Lorenzo, cresciuto nel clima culturale locale, più che alle domestiche botteghe del concittadino Bartolomeo Frinisco o di Cristoforo di Giovanni, preferisce volgere il proprio interesse verso altri artisti, quali il camerte Girolamo di Giovanni, l’umbro Niccolò Alunno, e il veneto Carlo Crivelli.
Dalle loro opere apprende gli insegnamenti derivanti dalla lezione luministica di Piero della Francesca, l’uso di una narrazione favolistica, la stesura di una pittura smaltata e preziosa, la nervosa secchezza anatomica e l’impiego di ampi panneggi, senza mai giungere ad una rilettura critica dei suoi modelli. La collaborazione tra due grandi maestri della maniera adriatica, l’intagliatore Domenico Indivini e il pittore Lorenzo d’Alessandro, rende nel polittico di Serrapetrona quella plasticità propria dell’arte rinascimentale, come concordemente omai riconosciuto dalla critica. Al magnifico Polittico di Lorenzo D’Alessandro, si affiancano a Serrapetrona opere d’arte del passato, alcune di maggiore interesse, altre meno, tuttavia ognuna testimonianza della storia e della identità di questa cittadina e del suo territorio. Ventisei di queste, dopo il sisma del 2016, sono state recuperate dalle loro sedi e riunite nella piccola chiesa di Santa Maria di Piazza, riaperta per l’occasione dopo 21 anni di lunghi restauri a causa dei danni del sisma del 1997. Le opere documentate nel bel catalogo della mostra inaugurale dal titolo “Il Bello…della ricostruzione. L’arte salvata si mostra” resteranno esposte fino a quando le chiese delle frazioni del territorio comunale non torneranno agibili. Tra le opere presenti nella raccolta, spicca su tutte la “Crocifissione” di scuola camerinese, di Giovanni Angelo d’Antonio. Precedentemente considerata opera di Girolamo di Giovanni, grazie al ritrovamento nel 2003 da parte di Matteo Mazzalupi di una quietanza di pagamento risalente al 1452, la bella tavola è stata attribuita senza ombra di dubbio a Giovanni Angelo d’Antonio, maestro di scuola camerte attivo nel ‘400. La fonte documentaria ci dice della paternità e pure della provenienza della tavola dalla Pieve di San Lorenzo, detta Pieve d'Aria, di Castel San Venanzo (frazione di Serrapetrona), dove è stata custodita ininterrottamente fino al terremoto del 2016.
E vista la cospicuità della somma pagata per essa si é potuto ipotizzare che la committenza (probabilmente da parte dei signori Da Varano che nel castrum di Castel San Venanzo avevano un loro punto di forza difensivo) riguardasse un polittico più grande di cui la tavola poteva costituire il pannello centrale; il dato materico del fondo oro con le figure angeliche punzonate ne conferma, peraltro, l’importanza suggerendo appunto che l’opera completa potesse costituire il retablo dell’altare maggiore. La grande innovazione stilistica della crocefissione di Castel San Venanzo, va individuata nell'aver combinato la tradizione camerte del prorompente avanzamento del Crocifisso, con la novità formale del modellato scultoreo, tridimensionale, memore del Donatello padovano. Anche i dolenti dimostrano, come per il Cristo, un’umanizzazione esasperata di grande novità formale da cui si evince un contatto del suo autore, non si sa se diretto o meno, con il cantiere padovano della Cappella Orvetari, e con gli artisti che lì vi lavorarono, a partire dal Mantegna. Il volto scavato di Giovanni evangelista dalla mascella quadrangola e il naso prominente o l’accorato dolore di Maria che si tiene il volto con concitato spasmo espressivo, sono di grande modernità. Il modellato delle opere padovane di Donatello e l’esasperazione formale delle figure fanno di quest’opera uno dei punti di rottura con la tradizione tardogotica verso risultati d’espressione e sentimenti che solamente il Masaccio del Carmine pochi anni prima, nel 1425, poteva raggiungere. Agli importanti tesori dell’arte che Serrapetrona custodisce gelosamente, fanno da splendida cornice affascinanti paesaggi collinari e il bel lago di Caccamo, luogo ideale per la pesca sportiva, il canottaggio e la canoa. Sul fronte architettonico e storico Serrapetrona riserva, oltre a un “castello” di età longobarda, interessanti vestigia risalenti già all’alto medioevo (il termine stesso “Serra”, di origine longobarda, indica un abitato fortificato con funzioni di sbarramento a difesa dell’inizio di una valle “Petrona” di pietra), nonchè antiche pergamene del 1100, le bolle e lo “statuto” dell’età feudale, quando Serrapetrona lottò per diventare Comune, contenute nell’archivio storico. Una nota “frizzante”, che aggiunge fascino a questo magnifico e accogliente Borgo del maceratese, è legata alla produzione della famosissima “Vernaccia di Serrapetrona d.o.c.g.”, vino spumante, unico per qualità, caratteristiche e tradizione apprezzato e conosciuto sia in Italia che all’estero.