Il doppio Ritratto del Giorgione
Palazzo di Venezia
...nei “Labirinti del cuore”!
di Marina Novelli
Trepidante come un’adolescente al primo appuntamento, lo scorso anno (23 giugno 2017), mi recai alla Conferenza Stampa di una delle tante meraviglie di ArtCity il cui titolo era “Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma”… veniva esposto un capolavoro del Gior- gione, “I due amici” organizzato dal Polo Museale del Lazio di cui era ed è ancora direttrice l’inarrestabile Edith Gabrielli e vedeva come curatore della mostra Enrico Maria Dal Pozzolo. La mostra aveva un punto di partenza ben preciso, un dipinto delle Collezioni Permanenti di Palazzo Venezia… e, per chi è intenzionato ad andarlo ancora ad ammirare, l’opera è esposta nella Sala Altoviti… opera che continua ad attrarre una moltitudine di visitatori, data la sua splendida bellezza… nonché sottile ironia! È indispensabile pertanto, ricostruire brevemente la storia di Palazzo Venezia, grande punto di riferimento per romani e non. Il Palazzo venne fatto edificare nella seconda metà del ‘400 da Pietro Barbo, Cardinale veneziano che divenne poi Papa nel 1464 con il nome di Paolo II e, nel momento in cui diventò Papa decise di ampliare il proprio palazzo fino a renderlo degno, in tutto e per tutto, al proprio ruolo di “erede del soglio pontificio” di Pietro. Le vicende del palazzo proseguirono nei secoli successivi e, nel 1564 il Papa Pio IV Medici cedette parte del palazzo alla Repubblica di Venezia da cui prese il nome rimasto fino ai nostri giorni, allo scopo di stanziare la propria ambasciata. Vale la pena precisare quindi che non è il nome della piazza a dare il nome al palazzo (come erroneamente molti pensano!) ma… viceversa, è la piazza a prendere il nome da questo maestoso palazzo. Successivamente, alla fine del ‘700, passò all’Austria che ne fece anch’essa la sede della propria rappresentanza diplomatica, fino a quan- do nel 1916, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, lo Stato Italiano ne rivendicò la proprietà decidendo di destinarlo a Museo di Arte Medievale e del Primo Rinascimento. Nel 1919, arrivarono un serie di donazioni, tra cui appunto quella di cui fa parte il “Doppio Ritratto”. Erano quelli anni molto complessi per quel dipinto, anche sotto il punto di vista attributivo, si discusse molto infatti anche sul nome dell’autore. Ma, come per magia, di lì a poco la vicenda accelererà perché uno storico dell’arte, molto giovane ma già di grande talento ed indiscussa celebrità come Roberto Longhi, vira decisamente per l’attribuzione a Giorgione, aprendo una discussione che, al giorno d’oggi, non è ancora conclusa, come del resto, tutto quello che riguarda il Giorgione… uno dei pittori più difficili da mettere a fuoco nella Storia dell’Arte Italiana. La mostra, come abbiamo già visto, prendeva le mosse da un quadro preciso, “Il doppio ritratto” del Giorgione, conservato in quel di Palazzo Venezia e che fu una scelta più che consapevole, ben sapendo che era un problema aperto… una mostra che mirasse ad uscire dal binario oramai ritenuto obsoleto: “Giorgione sì, Giorgione no!”. La meta ambiziosa della mostra era quella di usare questo dipinto, comunque straordinario, per affrontare un tema, un tema raffinato ed ancora del tutto da indagare ed approfondire e che era quello della rappresentazione dei sentimenti nel Rinascimento Italiano. Una mostra che tenne impegnato il curatore per più di due anni e che intendeva aprire un dibattito, a cui fa seguito una seconda ambizione, ancora più forte della prima, che era quella di “parlare a tutti”! Una mostra straordinaria quindi, nata ed espressa con “sentimento” e che trattava il “sentimento” stesso… ed il tutto nel magico cuore pulsante della “città eterna”: Roma! Il dipinto “I due amici”, quindi il doppio ritratto rappresenta due giovani di bell’aspetto, di cui uno in primo piano, elegantemente abbigliato e dall’espressione estatica, trasognata, che appare imprigionato in un sentimento che lo induce alla sofferenza e all’estasi, provocate dalla malinconia e con la testa soavemente appoggiata alla sua mano, sostenuta dal braccio, mentre il personaggio in secondo piano compare come amico compartecipe degli effetti dell’altro, ma anche in contrasto, non essendo stato colpito dalla freccia di Cupido… e che non è visibilmente coinvolto nel suo romantico e sognante abbandono. Questa opera è strettamente legata al clima culturale che a Venezia era segnato da un rinnovato interesse per la poesia del Petrarca, nonché della sua incantevole attrazione verso la natura dell’amore sia sul piano filosofico-letterario e sia nelle arti pittoriche e musicali. Fu infatti questa una mostra di ricerca, come ci illustrava il professor Enrico Maria Dal Pozzolo, con il suo dolce e suadente accento marcatamente padovano (musica per le mie orecchie!), e l’operazione era stata quella di cercare di capire che esisteva una dimensione ritrattistica “privata”, in cui i personaggi chiamavano i pittori non per farsi ritrarre nel normale esercizio delle proprie funzioni pubbliche, non per lasciare ai posteri la loro immagine, ma per essere “colti” nel momento paradigmatico di una profonda “diluizione esistenziale”, e che molto spesso coincideva con i passaggi fondamentali della esperienza sentimentale…e proprio a questo proposito alla mostra venne dato il nome di “Labirinti del cuore”… ognuno di noi ha un labirinto nel proprio animo! Giorgione infatti, data la sua indiscussa natura di pittore e musicista, ci mostra uno spaccato del contesto culturale di allora; ci mostra infatti la gioventù patrizia lagunare all’apice del suo “edonismo” di espansione politica, proprio nella fase precedente al radicale ridimensionamento della Serenissima. Il “Doppio ritratto” è stato attestato a Roma fin dall’inizio del Seicento ed è la testimonianza tangibile dei legami storici che legavano il Giorgione a Roma, ed in un contesto molto più ampio tra Venezia e Roma, che ebbero luogo proprio in “Palazzo di Venezia” (… è così che si dovrebbe chiamare!), dimora romana di Domenico Grimani, collezionista e committente di Giorgione di cui, il suo “Doppio ritratto” è, come abbiamo già detto in esposizione permanente nella Sala Altoviti, in tutto il suo splendore… ed ironia!
...nei “Labirinti del cuore”!
di Marina Novelli
Trepidante come un’adolescente al primo appuntamento, lo scorso anno (23 giugno 2017), mi recai alla Conferenza Stampa di una delle tante meraviglie di ArtCity il cui titolo era “Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma”… veniva esposto un capolavoro del Gior- gione, “I due amici” organizzato dal Polo Museale del Lazio di cui era ed è ancora direttrice l’inarrestabile Edith Gabrielli e vedeva come curatore della mostra Enrico Maria Dal Pozzolo. La mostra aveva un punto di partenza ben preciso, un dipinto delle Collezioni Permanenti di Palazzo Venezia… e, per chi è intenzionato ad andarlo ancora ad ammirare, l’opera è esposta nella Sala Altoviti… opera che continua ad attrarre una moltitudine di visitatori, data la sua splendida bellezza… nonché sottile ironia! È indispensabile pertanto, ricostruire brevemente la storia di Palazzo Venezia, grande punto di riferimento per romani e non. Il Palazzo venne fatto edificare nella seconda metà del ‘400 da Pietro Barbo, Cardinale veneziano che divenne poi Papa nel 1464 con il nome di Paolo II e, nel momento in cui diventò Papa decise di ampliare il proprio palazzo fino a renderlo degno, in tutto e per tutto, al proprio ruolo di “erede del soglio pontificio” di Pietro. Le vicende del palazzo proseguirono nei secoli successivi e, nel 1564 il Papa Pio IV Medici cedette parte del palazzo alla Repubblica di Venezia da cui prese il nome rimasto fino ai nostri giorni, allo scopo di stanziare la propria ambasciata. Vale la pena precisare quindi che non è il nome della piazza a dare il nome al palazzo (come erroneamente molti pensano!) ma… viceversa, è la piazza a prendere il nome da questo maestoso palazzo. Successivamente, alla fine del ‘700, passò all’Austria che ne fece anch’essa la sede della propria rappresentanza diplomatica, fino a quan- do nel 1916, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, lo Stato Italiano ne rivendicò la proprietà decidendo di destinarlo a Museo di Arte Medievale e del Primo Rinascimento. Nel 1919, arrivarono un serie di donazioni, tra cui appunto quella di cui fa parte il “Doppio Ritratto”. Erano quelli anni molto complessi per quel dipinto, anche sotto il punto di vista attributivo, si discusse molto infatti anche sul nome dell’autore. Ma, come per magia, di lì a poco la vicenda accelererà perché uno storico dell’arte, molto giovane ma già di grande talento ed indiscussa celebrità come Roberto Longhi, vira decisamente per l’attribuzione a Giorgione, aprendo una discussione che, al giorno d’oggi, non è ancora conclusa, come del resto, tutto quello che riguarda il Giorgione… uno dei pittori più difficili da mettere a fuoco nella Storia dell’Arte Italiana. La mostra, come abbiamo già visto, prendeva le mosse da un quadro preciso, “Il doppio ritratto” del Giorgione, conservato in quel di Palazzo Venezia e che fu una scelta più che consapevole, ben sapendo che era un problema aperto… una mostra che mirasse ad uscire dal binario oramai ritenuto obsoleto: “Giorgione sì, Giorgione no!”. La meta ambiziosa della mostra era quella di usare questo dipinto, comunque straordinario, per affrontare un tema, un tema raffinato ed ancora del tutto da indagare ed approfondire e che era quello della rappresentazione dei sentimenti nel Rinascimento Italiano. Una mostra che tenne impegnato il curatore per più di due anni e che intendeva aprire un dibattito, a cui fa seguito una seconda ambizione, ancora più forte della prima, che era quella di “parlare a tutti”! Una mostra straordinaria quindi, nata ed espressa con “sentimento” e che trattava il “sentimento” stesso… ed il tutto nel magico cuore pulsante della “città eterna”: Roma! Il dipinto “I due amici”, quindi il doppio ritratto rappresenta due giovani di bell’aspetto, di cui uno in primo piano, elegantemente abbigliato e dall’espressione estatica, trasognata, che appare imprigionato in un sentimento che lo induce alla sofferenza e all’estasi, provocate dalla malinconia e con la testa soavemente appoggiata alla sua mano, sostenuta dal braccio, mentre il personaggio in secondo piano compare come amico compartecipe degli effetti dell’altro, ma anche in contrasto, non essendo stato colpito dalla freccia di Cupido… e che non è visibilmente coinvolto nel suo romantico e sognante abbandono. Questa opera è strettamente legata al clima culturale che a Venezia era segnato da un rinnovato interesse per la poesia del Petrarca, nonché della sua incantevole attrazione verso la natura dell’amore sia sul piano filosofico-letterario e sia nelle arti pittoriche e musicali. Fu infatti questa una mostra di ricerca, come ci illustrava il professor Enrico Maria Dal Pozzolo, con il suo dolce e suadente accento marcatamente padovano (musica per le mie orecchie!), e l’operazione era stata quella di cercare di capire che esisteva una dimensione ritrattistica “privata”, in cui i personaggi chiamavano i pittori non per farsi ritrarre nel normale esercizio delle proprie funzioni pubbliche, non per lasciare ai posteri la loro immagine, ma per essere “colti” nel momento paradigmatico di una profonda “diluizione esistenziale”, e che molto spesso coincideva con i passaggi fondamentali della esperienza sentimentale…e proprio a questo proposito alla mostra venne dato il nome di “Labirinti del cuore”… ognuno di noi ha un labirinto nel proprio animo! Giorgione infatti, data la sua indiscussa natura di pittore e musicista, ci mostra uno spaccato del contesto culturale di allora; ci mostra infatti la gioventù patrizia lagunare all’apice del suo “edonismo” di espansione politica, proprio nella fase precedente al radicale ridimensionamento della Serenissima. Il “Doppio ritratto” è stato attestato a Roma fin dall’inizio del Seicento ed è la testimonianza tangibile dei legami storici che legavano il Giorgione a Roma, ed in un contesto molto più ampio tra Venezia e Roma, che ebbero luogo proprio in “Palazzo di Venezia” (… è così che si dovrebbe chiamare!), dimora romana di Domenico Grimani, collezionista e committente di Giorgione di cui, il suo “Doppio ritratto” è, come abbiamo già detto in esposizione permanente nella Sala Altoviti, in tutto il suo splendore… ed ironia!