LES FLEURS ET LES RAISINS - Trasversali allegagioni d'arte
Dove non solo il Bursòn è... Famoso.
di Alberto Gross.
Fare vino è una cosa seria, naturalmente. Tra le espressioni dell'ingegno artistico dell'uomo è forse quella che più tende ad esprimere una sincerità, una identità nell'onestà del lavoro e nel cuore dello spirito, trasformando una ricchezza naturale in qualcosa di unico e non replicabile da altri interpreti, ad altre latitudini. Per questo l'Italia custodisce gelosamente le innumerevoli varietà di vitigni autoctoni che sono il sangue puro dei territori che abitano e vivificano. La Romagna non si sottrae di certo a questa felice prosperità, così abbiamo deciso di dedicare la rubrica di questo numero a due vini tanto rappresentativi quanto, forse, troppo poco noti al di fuori della loro area d'elezione, le cui uve conservano una storia curiosa e peculiare.
I vini portano i nomi dialettali di Rambéla e Bursòn, l'interpretazione che raccontiamo quella della Cantina Randi, una delle più convincenti ed intriganti in assoluto e che sarà protagonista, a fine primavera, di un concorso che vedrà artisti di diversa estrazione partecipare alla realizzazione di una speciale etichetta per una selezione di bottiglie a tiratura limitata.
L'azienda è in provincia di Ravenna, divisa tra i comuni di Fusignano ed Alfonsine, conta circa quaranta ettari vitati che privilegiano e valorizzano le caratteristiche delle uve locali. Fondata nel 1951 è oggi condotta da Massimo Randi e dal fratello Denis, assieme all'esperienza del padre Luigi. I terreni sono quelli del cuore della pianura romagnola, non facili da gestire quando le estati sono troppo calde, le brezze arrivano a stento e le nebbie della stagione fredda insistono. L'arte di chi produce vino sta anche in questo: capire ed assecondare terreno e clima, senza forzature o ricatti, gestendo in maniera educata, rispettosa e consapevole. La Rambéla è prodotta interamente con l'uva “Famoso”, un vitigno antichissimo, noto alla fine dell'800 con il nome di “Biancone”, abbandonato per decenni perché considerato troppo rustico e vigoroso, solo ultimamente recuperato e valorizzato (la registrazione del nome del vino è del 2009).
Prodotto in versione ferma e spumante, si caratterizza per le spiccate note di muschio, l'ampio spettro floreale, tiglio, biancospino, arancia, in bocca la conferma delle sensazioni agrumate equilibra l'ottima acidità e sapidità, per terminare con un finale piacevolmente balsamico. Antonio Longanesi è invece l'eponimo del vino Bursòn, poiché a lui si deve la salvaguardia e la rinnovata diffusione di questo altrettanto antico vitigno. Longanesi si invaghì di questa vite selvatica che si arrampicava ad una quercia nel suo podere nei pressi di Bagnacavallo, notandone la dolcezza del frutto e la capacità di rimanere sana fino ad autunno inoltrato. Negli anni '50 decise così di rinnovarne gli impianti, moltiplicandola e garantendone la sopravvivenza. Nel 2000 il vitigno viene iscritto al registro delle varietà come “Uva Longanesi”, mentre nel 1999 nasce il “Consorzio il Bagnacavallo” che ne cura la valorizzazione e la diffusione.
L'etichetta Nera di Bursòn è un vino austero in gioventù che acquista eleganza e raffinatezza negli anni: le note di mirtillo e cassis si trasformano via via in profumi di confettura, frutta sotto spirito, poi il fascino dei terziari di caffè, cacao amaro, liquirizia, tabacco; i tannini, dono della buccia spessa e pruinosa dell'acino, si levigano lasciando al sorso il suo lato nervoso, costruito da morbide spigolosità, graffiante di una dinamica progressione che lo rinnova all'assaggio successivo. La mente vola così, in principio, alle immagini di Russolo, Caviglioni, Carrà, dove l'occhio è sempre in ritardo rispetto alla figura che sfugge e si ricompone, ancora più vigorosa e potente. Poi l'incedere progressivo diviene armonia, danza di luce, spazio turbinoso continuamente diverso e rinnovato: ascolto Ponchielli e le punteggiature, i filamenti di bagliori che si ricompongono, ad occhi chiusi, sono quelli della “Danza delle Ore” di Previati.
Il vino vive nel tempo che armonizza e distende l'orizzonte degli eventi, collega passato e futuro in un cerchio di luce: inebriate dalla vita dell'etere, le Ore sono pura vibrazione, fosforo, armonia sottile, indefinibile sensazione di conoscenza.
E' qui che si abita il proprio tempo.
di Alberto Gross.
Fare vino è una cosa seria, naturalmente. Tra le espressioni dell'ingegno artistico dell'uomo è forse quella che più tende ad esprimere una sincerità, una identità nell'onestà del lavoro e nel cuore dello spirito, trasformando una ricchezza naturale in qualcosa di unico e non replicabile da altri interpreti, ad altre latitudini. Per questo l'Italia custodisce gelosamente le innumerevoli varietà di vitigni autoctoni che sono il sangue puro dei territori che abitano e vivificano. La Romagna non si sottrae di certo a questa felice prosperità, così abbiamo deciso di dedicare la rubrica di questo numero a due vini tanto rappresentativi quanto, forse, troppo poco noti al di fuori della loro area d'elezione, le cui uve conservano una storia curiosa e peculiare.
I vini portano i nomi dialettali di Rambéla e Bursòn, l'interpretazione che raccontiamo quella della Cantina Randi, una delle più convincenti ed intriganti in assoluto e che sarà protagonista, a fine primavera, di un concorso che vedrà artisti di diversa estrazione partecipare alla realizzazione di una speciale etichetta per una selezione di bottiglie a tiratura limitata.
L'azienda è in provincia di Ravenna, divisa tra i comuni di Fusignano ed Alfonsine, conta circa quaranta ettari vitati che privilegiano e valorizzano le caratteristiche delle uve locali. Fondata nel 1951 è oggi condotta da Massimo Randi e dal fratello Denis, assieme all'esperienza del padre Luigi. I terreni sono quelli del cuore della pianura romagnola, non facili da gestire quando le estati sono troppo calde, le brezze arrivano a stento e le nebbie della stagione fredda insistono. L'arte di chi produce vino sta anche in questo: capire ed assecondare terreno e clima, senza forzature o ricatti, gestendo in maniera educata, rispettosa e consapevole. La Rambéla è prodotta interamente con l'uva “Famoso”, un vitigno antichissimo, noto alla fine dell'800 con il nome di “Biancone”, abbandonato per decenni perché considerato troppo rustico e vigoroso, solo ultimamente recuperato e valorizzato (la registrazione del nome del vino è del 2009).
Prodotto in versione ferma e spumante, si caratterizza per le spiccate note di muschio, l'ampio spettro floreale, tiglio, biancospino, arancia, in bocca la conferma delle sensazioni agrumate equilibra l'ottima acidità e sapidità, per terminare con un finale piacevolmente balsamico. Antonio Longanesi è invece l'eponimo del vino Bursòn, poiché a lui si deve la salvaguardia e la rinnovata diffusione di questo altrettanto antico vitigno. Longanesi si invaghì di questa vite selvatica che si arrampicava ad una quercia nel suo podere nei pressi di Bagnacavallo, notandone la dolcezza del frutto e la capacità di rimanere sana fino ad autunno inoltrato. Negli anni '50 decise così di rinnovarne gli impianti, moltiplicandola e garantendone la sopravvivenza. Nel 2000 il vitigno viene iscritto al registro delle varietà come “Uva Longanesi”, mentre nel 1999 nasce il “Consorzio il Bagnacavallo” che ne cura la valorizzazione e la diffusione.
L'etichetta Nera di Bursòn è un vino austero in gioventù che acquista eleganza e raffinatezza negli anni: le note di mirtillo e cassis si trasformano via via in profumi di confettura, frutta sotto spirito, poi il fascino dei terziari di caffè, cacao amaro, liquirizia, tabacco; i tannini, dono della buccia spessa e pruinosa dell'acino, si levigano lasciando al sorso il suo lato nervoso, costruito da morbide spigolosità, graffiante di una dinamica progressione che lo rinnova all'assaggio successivo. La mente vola così, in principio, alle immagini di Russolo, Caviglioni, Carrà, dove l'occhio è sempre in ritardo rispetto alla figura che sfugge e si ricompone, ancora più vigorosa e potente. Poi l'incedere progressivo diviene armonia, danza di luce, spazio turbinoso continuamente diverso e rinnovato: ascolto Ponchielli e le punteggiature, i filamenti di bagliori che si ricompongono, ad occhi chiusi, sono quelli della “Danza delle Ore” di Previati.
Il vino vive nel tempo che armonizza e distende l'orizzonte degli eventi, collega passato e futuro in un cerchio di luce: inebriate dalla vita dell'etere, le Ore sono pura vibrazione, fosforo, armonia sottile, indefinibile sensazione di conoscenza.
E' qui che si abita il proprio tempo.