Nel segno della Musa - "Sergio Monari"
Le interviste di Marilena Spataro
“Ritratti d’artista”
Maestri del ‘900
Sergio Monari
Una poetica proustiana. E una ricerca artistica che partendo dalla forma si fa elemento rivelatore del segreto della materia, in una illuminazione epifanica e armoniosa dell'esistenza
Pittore, scultore, docente all'Accademia di Belle Arti. Un profilo d'artista articolato e di lungo corso. Quanto é importante e che posto occupa l'arte nella vita di Sergio Monari?
«Ho sempre pensato che l'arte fosse un modo, forse il più nobile, di raccontarmi. Dare forma a quella parte di me che non conosco fa parte del segreto materico. Il corpo esce dall'ombra. Epifania e stupore si rinnovano e mi conducono ad un'armoniosa comprensione dell'esistere».
Come ricorda gli anni del suo esordio artistico. Quali erano al tempo le figure di riferimento nell'ambito delle arti visive?
«Non esistevano figure, ma idee. Dopo le avanguardie, l'artista viveva senza referenti, senza sociale, senza tempo geografico e spazio lineare. Era un periodo di grandi fermenti e sperimentazioni, si trattava di costruire su queste incertezze. Gli artisti più avvertiti opponevano un sapere della sopravvivenza, individuando uno spazio di trasformazione in quelle che saranno le neo avanguardie».
Oggi come vive e come si pone con il suo lavoro rispetto al mondo dell'arte contemporanea?
«Oggi ognuno di noi si sente un “altro”, un disguido temporale rispetto agli eventi, che ci circondano e ci sorpassano. Sentiamo di essere una combinazione provvisoria di elementi eterogenei, un'espressione dei modelli della pluralità della nostra esistenza politeista. Non ci sentiamo mai a casa: qualcosa di noi non lo è più, qualcosa non lo è ancora».
Le sue sculture presentano un fascino antico, non di rado enigmatico e contengono citazioni colte il cui senso poetico ed estetico sembra arrivare da un tempo e da luoghi remoti. Quali le matrici culturali e formali della sua opera scultorea?
«Il mio operare non si pone più in nessuno dei luoghi dove prima la scultura soleva darci appuntamento. La ricerca diventa dunque esclusiva, radicale, siamo obbligati ad apprendere il segreto delle sue origini: il punto vivo, pulsante, dove è dapprima l'evento mentale, che segna l'inizio della creazione, poi la multi temporalità della psiche che viene ricondotta ad immagine tridimensionale, si riconosce un sopra di storia che si plasma, e un sotto di stratificazioni dell'inconscio».
Qual è il fil rouge che lega il suo lavoro in pittura e in scultura e che consente di coglierne al meglio l'essenza?
«Non esistono differenze nell'operare, tutto il mio lavoro nasce, al di là della tecnica, dall'esigenza di dare forma a ciò che conosciamo e ciò che è inconoscibile, forme che si esprimono e si nascondono in eguale misura ed entriamo in contatto con i misteri irrisolti della nostra stessa esistenza».
Quali le sensazioni che l'accompagnano quando comincia a creare l'opera?
«L'insormontabile rapporto col tempo, nell'individuarne l'origine si costituisce come lo sforzo di ritrovare l'identità, forse la storia dell'essere in ciò che esso è. Nel centro più silenzioso delle parole, nel ripetersi di forme più vecchie di ogni memoria, è possibile trovare l'appiglio per ripercorrere il racconto e riappropriarsi di cronologie dimenticate».
In questo momento qual’é il linguaggio artistico che meglio le consente di rappresentare la sua poetica e la sua visione del mondo?
«L'uomo è il reale protagonista della mia poetica, come il grande tema del tempo, inteso tuttavia come tempo piegato a cerchio attorno all'uomo e alla sua esistenza. Un tempo che non conosce interruzioni, fratture, cesure, ma soltanto passaggi, attraversamento significa cambiamento e accettazione».
Come vede il futuro delle arti figurative tradizionali in un'epoca in cui l'arte digitale si va imponendo sempre più prepotentemente?
«Il mercato dell'arte ha creato un bisogno che ha modificato il tempo, più si produce più si vende, l'arte digitale corrisponde a questo. Più che puntare su una qualche forma di autenticità, sembra il frutto scontato degli stessi meccanismi dei cosiddetti beni di consumo; oppure nel migliore dei casi, rischia di essere il risultato di un ambiente altamente autoreferenziale. Omaggio alla lentezza del fare, questa vive fuori dall'accelerazione storica che è una specie di fuga dalle idee».
Quale il suo giudizio da artista e da docente su questi nuovi linguaggi espressivi e sulla tendenza a utilizzare tout court le tecnologie nel campo delle arti visive?
«Una ricerca che non può radicare se stessa da nessun luogo, giusto per questa sua necessità di rinnovarsi, necessità questa che sarebbe anche sacrosanta, se non arrivasse a sostituire l'artista con qualcosa di molto simile all'art director, come se il sistema dell'arte fosse diventato un'agenzia pubblicitaria».
Quali gli appuntamenti artistici e culturali che più la coinvolgono in questo periodo e quali i progetti futuri su cui sta lavorando?
«Il disincanto nei confronti del mondo dell'arte fa parte ormai del mio essere, partecipo a mostre senza ansie, senza aspettative che non siano quelle gradite dei complimenti di chi stimo e di coloro coi quali ho rapporti di vera amicizia. Stare ai margini del sistema significa in definitiva non esserci immersi, e perciò avere il tempo, il distacco e la lucidità per la scelta».
“Ritratti d’artista”
Maestri del ‘900
Sergio Monari
Una poetica proustiana. E una ricerca artistica che partendo dalla forma si fa elemento rivelatore del segreto della materia, in una illuminazione epifanica e armoniosa dell'esistenza
Pittore, scultore, docente all'Accademia di Belle Arti. Un profilo d'artista articolato e di lungo corso. Quanto é importante e che posto occupa l'arte nella vita di Sergio Monari?
«Ho sempre pensato che l'arte fosse un modo, forse il più nobile, di raccontarmi. Dare forma a quella parte di me che non conosco fa parte del segreto materico. Il corpo esce dall'ombra. Epifania e stupore si rinnovano e mi conducono ad un'armoniosa comprensione dell'esistere».
Come ricorda gli anni del suo esordio artistico. Quali erano al tempo le figure di riferimento nell'ambito delle arti visive?
«Non esistevano figure, ma idee. Dopo le avanguardie, l'artista viveva senza referenti, senza sociale, senza tempo geografico e spazio lineare. Era un periodo di grandi fermenti e sperimentazioni, si trattava di costruire su queste incertezze. Gli artisti più avvertiti opponevano un sapere della sopravvivenza, individuando uno spazio di trasformazione in quelle che saranno le neo avanguardie».
Oggi come vive e come si pone con il suo lavoro rispetto al mondo dell'arte contemporanea?
«Oggi ognuno di noi si sente un “altro”, un disguido temporale rispetto agli eventi, che ci circondano e ci sorpassano. Sentiamo di essere una combinazione provvisoria di elementi eterogenei, un'espressione dei modelli della pluralità della nostra esistenza politeista. Non ci sentiamo mai a casa: qualcosa di noi non lo è più, qualcosa non lo è ancora».
Le sue sculture presentano un fascino antico, non di rado enigmatico e contengono citazioni colte il cui senso poetico ed estetico sembra arrivare da un tempo e da luoghi remoti. Quali le matrici culturali e formali della sua opera scultorea?
«Il mio operare non si pone più in nessuno dei luoghi dove prima la scultura soleva darci appuntamento. La ricerca diventa dunque esclusiva, radicale, siamo obbligati ad apprendere il segreto delle sue origini: il punto vivo, pulsante, dove è dapprima l'evento mentale, che segna l'inizio della creazione, poi la multi temporalità della psiche che viene ricondotta ad immagine tridimensionale, si riconosce un sopra di storia che si plasma, e un sotto di stratificazioni dell'inconscio».
Qual è il fil rouge che lega il suo lavoro in pittura e in scultura e che consente di coglierne al meglio l'essenza?
«Non esistono differenze nell'operare, tutto il mio lavoro nasce, al di là della tecnica, dall'esigenza di dare forma a ciò che conosciamo e ciò che è inconoscibile, forme che si esprimono e si nascondono in eguale misura ed entriamo in contatto con i misteri irrisolti della nostra stessa esistenza».
Quali le sensazioni che l'accompagnano quando comincia a creare l'opera?
«L'insormontabile rapporto col tempo, nell'individuarne l'origine si costituisce come lo sforzo di ritrovare l'identità, forse la storia dell'essere in ciò che esso è. Nel centro più silenzioso delle parole, nel ripetersi di forme più vecchie di ogni memoria, è possibile trovare l'appiglio per ripercorrere il racconto e riappropriarsi di cronologie dimenticate».
In questo momento qual’é il linguaggio artistico che meglio le consente di rappresentare la sua poetica e la sua visione del mondo?
«L'uomo è il reale protagonista della mia poetica, come il grande tema del tempo, inteso tuttavia come tempo piegato a cerchio attorno all'uomo e alla sua esistenza. Un tempo che non conosce interruzioni, fratture, cesure, ma soltanto passaggi, attraversamento significa cambiamento e accettazione».
Come vede il futuro delle arti figurative tradizionali in un'epoca in cui l'arte digitale si va imponendo sempre più prepotentemente?
«Il mercato dell'arte ha creato un bisogno che ha modificato il tempo, più si produce più si vende, l'arte digitale corrisponde a questo. Più che puntare su una qualche forma di autenticità, sembra il frutto scontato degli stessi meccanismi dei cosiddetti beni di consumo; oppure nel migliore dei casi, rischia di essere il risultato di un ambiente altamente autoreferenziale. Omaggio alla lentezza del fare, questa vive fuori dall'accelerazione storica che è una specie di fuga dalle idee».
Quale il suo giudizio da artista e da docente su questi nuovi linguaggi espressivi e sulla tendenza a utilizzare tout court le tecnologie nel campo delle arti visive?
«Una ricerca che non può radicare se stessa da nessun luogo, giusto per questa sua necessità di rinnovarsi, necessità questa che sarebbe anche sacrosanta, se non arrivasse a sostituire l'artista con qualcosa di molto simile all'art director, come se il sistema dell'arte fosse diventato un'agenzia pubblicitaria».
Quali gli appuntamenti artistici e culturali che più la coinvolgono in questo periodo e quali i progetti futuri su cui sta lavorando?
«Il disincanto nei confronti del mondo dell'arte fa parte ormai del mio essere, partecipo a mostre senza ansie, senza aspettative che non siano quelle gradite dei complimenti di chi stimo e di coloro coi quali ho rapporti di vera amicizia. Stare ai margini del sistema significa in definitiva non esserci immersi, e perciò avere il tempo, il distacco e la lucidità per la scelta».