STRANI FILI: ADRIANO DESARLO E L’INFORMALE
di Giorgio Barassi.
Dipingere è azione di autoscoperta.
Ogni buon artista
dipinge ciò che è.
(Jackson Pollock)
In principio fu il desiderio di dipingere, esprimendosi senza freni. Poi quei freni furono definitivamente esclusi dalla operazione artistica, ma senza clamori o esagerazioni che facessero gridare allo stupore. Quindi una matassa sistemata in un angolo di una anonima portineria risvegliò il concetto di continuità, di stesure di un discorso, di tentativo di cercare il capo delle cose e della vita. E allora quei fili andarono ad avvolgere lo scheletro che sostiene il corpo di un quadro.
Pare semplice, ma è una evoluzione, di quelle che piacciono agli artisti informali, i quali sono dotati di una tale verve creativa da non saper estinguere il loro discorso a causa delle tante cose da dipingere.
Adriano Desarlo arriva alla pittura consegnando alla storia della sua vicenda un assunto che fu di Leonardo da Vinci: la pittura è poesia silenziosa. E lui, schivo e garbato, continua a preferire i lancinanti strilli del suo dipingere caleidoscopico a tante, troppe chiacchiere. L’ arrivo alle opere in cui i fili la fanno da padrone è davvero figlio di un caso. Ma il destino, in agguato come una spia inafferrabile, non ha fatto i conti con l’acume e il senso di ricerca dell’ artista milanese, che ha captato una sua propria forma di espressione, intingendo nell’ esperienza le nuove composizioni.
Nondimeno le sue opere più “tradizionali” sono ricche, abbondanti e grondanti di pittura, ma mai disordinate. Rispondono ad un inquadramento nello spazio offerto dalla superficie del quadro solo perché Desarlo è uno che sta alle regole e rispetta i codici di Madre Pittura. Il che ne fa un artista pienamente capace di assecondare ed adeguarsi.
Da questa sua compostezza e dal rispetto delle regole non si allontana mai, neppure quando sembra che la sua ricerca vada ad aggrapparsi a fantasie eccedenti la misura. Sembra, ma non è così. Desarlo si avvicina a quella contemporaneità dell’ arte che accenna sovente ad eccessi, a volte destando stupore, critiche ed improperi, con una differenza sostanziale: lui rimane nel suo circuito di ricerca e non cerca lo stupore. Semmai cerca, e spesso ha trovato, una ammirazione ragionata, l’ accettazione di quel suo comporre che sta nei termini della modernità, si, ma senza strafare. Si può dire che non ci sono intermittenze nelle sue creazioni. Che il colore cada verticalmente verso il basso o si assesti come roccia nella superficie del quadro, è perfino naturale. Ma quel che conta è la unità concettuale del racconto, che accetta i limiti dimensionali, non tenta di imporsi a tutti i costi ed è come un quaderno di appunti ordinato e scandito dalla com- postezza, perché giunga al fruitore con lo stesso dosaggio con cui a lui sono giunte le idee che trasformano l’ispirazione in opera .
Quella dei fili è una operazione artistica coraggiosa ma convincente, in cui pare che siano quei filamenti a tenere insieme l’eterno supporto della pittura e non viceversa. È come se Desarlo, con la pazienza del bravo agricoltore che salva le piante dal freddo di dicembre, rinforzasse i canoni della Pittura irrobustendone lo scheletro. È come se un rispettoso muratore andasse a controllare che il suo manufatto sia al sicuro, senza fidarsi dei calcoli, precedendo con la prudenza l’ardimento costruttivo, nel quale, comunque, crede fermamente.
Ma è anche come se un ragionamento di concetto prendesse lo spazio necessario per dipanarsi. E quello spazio è irrimediabilmente un quadro. Il suo telaio è la struttura su cui, nel mondo e in quello stesso momento, un numero incalcolabile di artisti sta riversando un mare di idee. Una pienezza ed una convinzione che non vanno chiamate “messaggio” ma “testimonianza”. Di modernità, di riflessione e di gioia del superare le classificazioni offerte dalla convenzione e dirsi, con garbo, artista informale dalle idee in continua, lenticolare progressione.
Dipingere è azione di autoscoperta.
Ogni buon artista
dipinge ciò che è.
(Jackson Pollock)
In principio fu il desiderio di dipingere, esprimendosi senza freni. Poi quei freni furono definitivamente esclusi dalla operazione artistica, ma senza clamori o esagerazioni che facessero gridare allo stupore. Quindi una matassa sistemata in un angolo di una anonima portineria risvegliò il concetto di continuità, di stesure di un discorso, di tentativo di cercare il capo delle cose e della vita. E allora quei fili andarono ad avvolgere lo scheletro che sostiene il corpo di un quadro.
Pare semplice, ma è una evoluzione, di quelle che piacciono agli artisti informali, i quali sono dotati di una tale verve creativa da non saper estinguere il loro discorso a causa delle tante cose da dipingere.
Adriano Desarlo arriva alla pittura consegnando alla storia della sua vicenda un assunto che fu di Leonardo da Vinci: la pittura è poesia silenziosa. E lui, schivo e garbato, continua a preferire i lancinanti strilli del suo dipingere caleidoscopico a tante, troppe chiacchiere. L’ arrivo alle opere in cui i fili la fanno da padrone è davvero figlio di un caso. Ma il destino, in agguato come una spia inafferrabile, non ha fatto i conti con l’acume e il senso di ricerca dell’ artista milanese, che ha captato una sua propria forma di espressione, intingendo nell’ esperienza le nuove composizioni.
Nondimeno le sue opere più “tradizionali” sono ricche, abbondanti e grondanti di pittura, ma mai disordinate. Rispondono ad un inquadramento nello spazio offerto dalla superficie del quadro solo perché Desarlo è uno che sta alle regole e rispetta i codici di Madre Pittura. Il che ne fa un artista pienamente capace di assecondare ed adeguarsi.
Da questa sua compostezza e dal rispetto delle regole non si allontana mai, neppure quando sembra che la sua ricerca vada ad aggrapparsi a fantasie eccedenti la misura. Sembra, ma non è così. Desarlo si avvicina a quella contemporaneità dell’ arte che accenna sovente ad eccessi, a volte destando stupore, critiche ed improperi, con una differenza sostanziale: lui rimane nel suo circuito di ricerca e non cerca lo stupore. Semmai cerca, e spesso ha trovato, una ammirazione ragionata, l’ accettazione di quel suo comporre che sta nei termini della modernità, si, ma senza strafare. Si può dire che non ci sono intermittenze nelle sue creazioni. Che il colore cada verticalmente verso il basso o si assesti come roccia nella superficie del quadro, è perfino naturale. Ma quel che conta è la unità concettuale del racconto, che accetta i limiti dimensionali, non tenta di imporsi a tutti i costi ed è come un quaderno di appunti ordinato e scandito dalla com- postezza, perché giunga al fruitore con lo stesso dosaggio con cui a lui sono giunte le idee che trasformano l’ispirazione in opera .
Quella dei fili è una operazione artistica coraggiosa ma convincente, in cui pare che siano quei filamenti a tenere insieme l’eterno supporto della pittura e non viceversa. È come se Desarlo, con la pazienza del bravo agricoltore che salva le piante dal freddo di dicembre, rinforzasse i canoni della Pittura irrobustendone lo scheletro. È come se un rispettoso muratore andasse a controllare che il suo manufatto sia al sicuro, senza fidarsi dei calcoli, precedendo con la prudenza l’ardimento costruttivo, nel quale, comunque, crede fermamente.
Ma è anche come se un ragionamento di concetto prendesse lo spazio necessario per dipanarsi. E quello spazio è irrimediabilmente un quadro. Il suo telaio è la struttura su cui, nel mondo e in quello stesso momento, un numero incalcolabile di artisti sta riversando un mare di idee. Una pienezza ed una convinzione che non vanno chiamate “messaggio” ma “testimonianza”. Di modernità, di riflessione e di gioia del superare le classificazioni offerte dalla convenzione e dirsi, con garbo, artista informale dalle idee in continua, lenticolare progressione.