Georges De La Tour: l'Europa della luce
Palazzo Reale di Milano.
Dal 28 maggio al 27 settembre 2020.
a cura di Silvana Gatti.
È stata riaperta al Palazzo Reale di Milano la straordinaria mostra Georges de La Tour: l’Europa della luce, aperta il 7 febbraio scorso, accolta come un evento dalla stampa e con centinaia di prenotazioni attivate dal pubblico, chiusa per l’emergenza sanitaria dal 24 febbraio e riaperta poi per una sola settimana dal 2 all’8 marzo. Una mostra partita a singhiozzo, dunque, visitabile sino al 27 settembre 2020 grazie ai 28 musei, prestatori da 3 continenti, che hanno accettato di prorogare il prestito delle 33 opere, permettendo di visitarla con le misure di sicurezza stabilite dalle autorità governative e regionali. La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, curata dalla Prof.ssa Francesca Cappelletti e da Thomas Clement Salomon, e vanta un comitato scientifico composto da Pierre Rosenberg (già direttore del Louvre), Gail Feigenbaum (direttrice, Getty Research Institute), Annick Lemoine (direttore, Musée Cognacq-Jay), Andres Ubeda (vice direttore, Museo del Prado).
Dopo lo straordinario successo dell’esposizione di due tele del maestro a Palazzo Marino nel 2011, per la prima volta in Italia una mostra viene dedicata al più celebre pittore francese del Seicento e ai suoi rapporti con i grandi maestri del suo tempo. Definito dagli studiosi un meteorite nella pittura barocca con ascendenze caravaggesche, Georges de La Tour si rivela in questa retrospettiva come artista dalle diverse sfaccettature, in grado di prendere le distanze da Caravaggio e di sviluppare un proprio stile. Inevitabile visitando la mostra il confronto con l’inquieto Caravaggio, con il quale il francese condivide il senso drammatico, teatrale, della composizione e lo studio accurato della luce, anche se non è dato sapere se La Tour abbia mai avuto modo di ammirare direttamente le opere del Merisi. La mostra a Palazzo Reale e gli studi del catalogo edito da Skira mettono in evidenza l’eredità caravaggesca della pittura di Georges de la Tour (1593 – 1652).
È stata la critica moderna a riscoprire e rivalutare questo artista dopo un lungo periodo di oblio. Apprezzato ai suoi tempi, fu poi dimenticato e riscoperto solo nel Novecento. Nel 1915 lo storico dell’arte tedesco ed esperto del barocco italiano, Hermann Voss, pubblicò un articolo in cui attribuiva a La Tour, che allora era soltanto un nome senza opere, alcuni dipinti, scrivendo: «Egli esplora le superfici e i contorni delle cose con acuta precisione, senza alcuna ripugnanza per la loro crudezza». La Tour è stato infatti quasi ignorato sino a pochi decenni or sono, e le sue opere venivano frequentemente attribuite a vari artisti caravaggeschi, come Honthorst e Valentin. Il testo di Hermann Voss sarebbe passato pressoché inosservato se Roberto Longhi non lo avesse segnalato al Louvre, che proprio in seguito a questa segnalazione e agli approfondimenti che ne derivarono decise di acquistare il suo primo La Tour nel 1926: era l’Adorazione dei Pastori.
La sua formazione è tuttora avvolta nel mistero, come è un’incognita un suo probabile viaggio in Italia verso il 1612-13. Dalle prime opere si suppone che la sua formazione artistica sia avvenuta nell’ambito del manierismo lorenese, per via di un’arte colta, aristocratica, basata sulle iconografie preziose, sui riferimenti colti, sulle allegorie complicate. La totale assenza di pagamenti e documenti di commissione rende difficile la cronologia e l’attribuzione delle opere. Scarseggiano inoltre le citazioni che consentano di datare, con qualche certezza, le opere conosciute. Osservando le opere di Georges de la Tour si nota innanzitutto un notevole contrasto tra le scene “diurne”, realistiche e prive di filtri, che raffigurano personaggi segnati dalla povertà e dall’età, e le scene “notturne” in cui splendide figure sono illuminate dalla luce di una candela: personaggi assorti, silenziosi, commoventi come “La Maddalena penitente” proveniente dal museo di Washington, esposta nella prima sezione della mostra. La Tour la raffigura nell’intimità notturna, illuminata da un lume oscurato da un teschio che, appoggiato sul tavolo, spinge il fruitore a riflettere su temi come la caducità della bellezza femminile ed il destino umano. In mostra è presente anche il mondo notturno di Trophime Bigot, considerato il Maestro del lume. Il percorso della mostra dedica una sezione alla vicenda degli Apostoli per la cattedrale di Albi. Georges de la Tour eseguì una serie di a- postoli a mezzo busto che dovevano essere disposti intorno all’immagine di Cristo. In un inventario del 1795, la serie fu registrata e attribuita al Caravaggio. In uno studio successivo, furono distinti gli originali di La Tour dalle copie; all’interno della serie, solo due, “San Giacomo Minore” e “San Giuda Taddeo”, entrambi in questa sezione, sono attribuiti al pittore. Gli originali di La Tour sono affiancati da altri dipinti rappresentanti gli evangelisti, sempre parte di una serie, eseguiti da artisti in passato accostati a La Tour o confusi con lui, quali Frans Hals e Jan van Bijlert.
Nella terza sezione della mostra sono esposte le opere di artisti che sono stati possibili punti di riferimento per la formazione dell’artista. Tra quanti sostengono che La Tour abbia fatto un viaggio di formazione in Italia, c’è chi ha individuato nelle opere di Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino, un terreno di studio per l’artista lorenese. Una via per la diffusione della cultura post caravaggesca in Francia si trova anche nell’opera di Carlo Saraceni, di cui è esposto in mostra un quadro notturno, posto a confronto con il “Cristo fra i dottori” di Bor, in cui l’artista riprende dal Saraceni la rappresentazione di figure piccole immerse in ampi spazi scuri. Alcune opere riferibili al terzo decennio del Seicento, come il “San Gerolamo” di Palazzo Barberini e la “Cattura di Cristo” della Galleria Spada documentano il problema di attribuzione di alcune opere a Candlelight Master, specializzato nella pittura a luce artificiale. Egli venne battezzato in tal modo dallo studioso Benedict Nicolson da lui stesso poi identificato con Trophime Bigot, problematica figura di artista attivo a Roma ancora negli anni Trenta. “La Cena con sponsali”, un importante dipinto di Gherardo delle Notti, definito l’Honthorst “italiano”, rimanda immediatamente allo stile compositivo e luministico di La Tour, per via dei volti illuminati dal lume di candela che dona luce alla tavola apparecchiata. Un’opera in cui trionfano l’armonia e la convivialità fra i commensali. Proseguendo nel percorso della mostra, il visitatore è colpito dal crudo realismo delle opere di Georges de la Tour, particolarmente forte nella “Rissa di musici” proveniente dal Getty Museum di Los Angeles. La scena è diurna e raffigura diversi personaggi coinvolti in una rissa, in cui uno dei contendenti cerca di spruzzare un limone sugli occhi dell’avversario per svelarne la finta cecità. Scene notturne e oggetti metallici raffigurati a luce di candela immergono in questa sala lo spettatore in notti animate da scene profane o religiose, in cui la luce, declinata da Honthorst e La Tour in modi diversi e sorprendenti, circonda le emozioni umane, suscitate dal gioco, dal vino e dalla musica, sottratte all'ombra e consegnate al mondo della pittura, esaltando la bellezza degli oggetti, dei profili femminili, la fragilità delle azioni e dei sentimenti. Georges de la Tour amava raffigurare personaggi comuni, ed in mostra spiccano per il realismo i due dipinti raffiguranti “Donna anziana” e “Uomo anziano” del Museo di San Francisco, insieme al “Suonatore di ghironda con il cane”. Per gran parte degli studiosi i tre quadri sarebbero stati eseguiti in età giovanile, accomunati come sono dallo stesso trattamento dello sfondo. “Il Suonatore di ghironda con il cane”, dipinto di grandi dimensioni, è qui esposto a confronto con le stampe di Jacques Bellange e di Jacques Callot che ritraggono analoghi personaggi. Il suonatore di ghironda, frequentemente cieco che suonava per le strade chiedendo l’elemosina, era un personaggio tipico della cultura lorenese. Questa sezione documenta come George de la Tour sia un pittore del sociale, in quanto i suoi personaggi sono presi dalla strada e raffigurati in tutta la loro realtà, senza filtri o abbellimenti. Una sezione è dedicata al filo conduttore della mostra, la ricerca di La Tour sulle possibilità espressive dell’illuminazione artificiale notturna. In questa sala sono esposti diversi capolavori del pittore lorenese, tra cui spicca “Giobbe deriso da sua moglie”, in cui la fiamma della candela, con la sua traccia di fumo sulla veste della donna, illumina il centro del dipinto, generando un effetto di controluce che amplifica il suo gesto di insofferenza. “Giovane che soffia su un tizzone”, insieme a “L’Educazione della Vergine”, documentano diversamen- te la raffigurazione di un interno illuminato dal lume artificiale in un’atmosfera domestica pervasa dalla quiete.
Uno studioso settecentesco sosteneva che La Tour avesse regalato al re Luigi XIII un dipinto che raffigurava un “San Sebastiano in una notte”, apprezzato così tanto dal re da rimuovere ogni altro quadro nella sua camera da letto. Si conoscono almeno dieci versioni del “San Sebastiano curato da Irene” nello stile di La Tour, e qui è esposta una delle tre conservate al Musée des Beaux Arts di Orléans. L’esistenza di tutte queste copie fa pensare che la composizione fosse corrispondente al quadro entrato nelle collezioni reali, in una data forse prossima al 1639, quando Georges de La Tour a Parigi ricevette il titolo di pittore ordinario del re.
La rassegna si chiude con la sezione dedicata al capolavoro della maturità di Georges de la Tour, il “San Giovanni Bat- tista nel deserto”. Con questo dipinto, che raffigura il santo precursore di Cristo e il legame fra l’Antico e il Nuovo Testamen- to, La Tour sintetizza al massimo la composizione, spingendo la pittura verso la dimensione della solitudine e della meditazione, aderendo all’esperienza degli eremiti cristiani, alla ricerca della fede in luoghi lontani dalla mondanità.
Un’esposizione imperdibile considerato che, come ebbe a sottolineare Roberto Longhi, in Italia non vi è conservata nessuna opera di La Tour e sono poco più di 30 le opere attribuite al Maestro.
Dal 28 maggio al 27 settembre 2020.
a cura di Silvana Gatti.
È stata riaperta al Palazzo Reale di Milano la straordinaria mostra Georges de La Tour: l’Europa della luce, aperta il 7 febbraio scorso, accolta come un evento dalla stampa e con centinaia di prenotazioni attivate dal pubblico, chiusa per l’emergenza sanitaria dal 24 febbraio e riaperta poi per una sola settimana dal 2 all’8 marzo. Una mostra partita a singhiozzo, dunque, visitabile sino al 27 settembre 2020 grazie ai 28 musei, prestatori da 3 continenti, che hanno accettato di prorogare il prestito delle 33 opere, permettendo di visitarla con le misure di sicurezza stabilite dalle autorità governative e regionali. La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, curata dalla Prof.ssa Francesca Cappelletti e da Thomas Clement Salomon, e vanta un comitato scientifico composto da Pierre Rosenberg (già direttore del Louvre), Gail Feigenbaum (direttrice, Getty Research Institute), Annick Lemoine (direttore, Musée Cognacq-Jay), Andres Ubeda (vice direttore, Museo del Prado).
Dopo lo straordinario successo dell’esposizione di due tele del maestro a Palazzo Marino nel 2011, per la prima volta in Italia una mostra viene dedicata al più celebre pittore francese del Seicento e ai suoi rapporti con i grandi maestri del suo tempo. Definito dagli studiosi un meteorite nella pittura barocca con ascendenze caravaggesche, Georges de La Tour si rivela in questa retrospettiva come artista dalle diverse sfaccettature, in grado di prendere le distanze da Caravaggio e di sviluppare un proprio stile. Inevitabile visitando la mostra il confronto con l’inquieto Caravaggio, con il quale il francese condivide il senso drammatico, teatrale, della composizione e lo studio accurato della luce, anche se non è dato sapere se La Tour abbia mai avuto modo di ammirare direttamente le opere del Merisi. La mostra a Palazzo Reale e gli studi del catalogo edito da Skira mettono in evidenza l’eredità caravaggesca della pittura di Georges de la Tour (1593 – 1652).
È stata la critica moderna a riscoprire e rivalutare questo artista dopo un lungo periodo di oblio. Apprezzato ai suoi tempi, fu poi dimenticato e riscoperto solo nel Novecento. Nel 1915 lo storico dell’arte tedesco ed esperto del barocco italiano, Hermann Voss, pubblicò un articolo in cui attribuiva a La Tour, che allora era soltanto un nome senza opere, alcuni dipinti, scrivendo: «Egli esplora le superfici e i contorni delle cose con acuta precisione, senza alcuna ripugnanza per la loro crudezza». La Tour è stato infatti quasi ignorato sino a pochi decenni or sono, e le sue opere venivano frequentemente attribuite a vari artisti caravaggeschi, come Honthorst e Valentin. Il testo di Hermann Voss sarebbe passato pressoché inosservato se Roberto Longhi non lo avesse segnalato al Louvre, che proprio in seguito a questa segnalazione e agli approfondimenti che ne derivarono decise di acquistare il suo primo La Tour nel 1926: era l’Adorazione dei Pastori.
La sua formazione è tuttora avvolta nel mistero, come è un’incognita un suo probabile viaggio in Italia verso il 1612-13. Dalle prime opere si suppone che la sua formazione artistica sia avvenuta nell’ambito del manierismo lorenese, per via di un’arte colta, aristocratica, basata sulle iconografie preziose, sui riferimenti colti, sulle allegorie complicate. La totale assenza di pagamenti e documenti di commissione rende difficile la cronologia e l’attribuzione delle opere. Scarseggiano inoltre le citazioni che consentano di datare, con qualche certezza, le opere conosciute. Osservando le opere di Georges de la Tour si nota innanzitutto un notevole contrasto tra le scene “diurne”, realistiche e prive di filtri, che raffigurano personaggi segnati dalla povertà e dall’età, e le scene “notturne” in cui splendide figure sono illuminate dalla luce di una candela: personaggi assorti, silenziosi, commoventi come “La Maddalena penitente” proveniente dal museo di Washington, esposta nella prima sezione della mostra. La Tour la raffigura nell’intimità notturna, illuminata da un lume oscurato da un teschio che, appoggiato sul tavolo, spinge il fruitore a riflettere su temi come la caducità della bellezza femminile ed il destino umano. In mostra è presente anche il mondo notturno di Trophime Bigot, considerato il Maestro del lume. Il percorso della mostra dedica una sezione alla vicenda degli Apostoli per la cattedrale di Albi. Georges de la Tour eseguì una serie di a- postoli a mezzo busto che dovevano essere disposti intorno all’immagine di Cristo. In un inventario del 1795, la serie fu registrata e attribuita al Caravaggio. In uno studio successivo, furono distinti gli originali di La Tour dalle copie; all’interno della serie, solo due, “San Giacomo Minore” e “San Giuda Taddeo”, entrambi in questa sezione, sono attribuiti al pittore. Gli originali di La Tour sono affiancati da altri dipinti rappresentanti gli evangelisti, sempre parte di una serie, eseguiti da artisti in passato accostati a La Tour o confusi con lui, quali Frans Hals e Jan van Bijlert.
Nella terza sezione della mostra sono esposte le opere di artisti che sono stati possibili punti di riferimento per la formazione dell’artista. Tra quanti sostengono che La Tour abbia fatto un viaggio di formazione in Italia, c’è chi ha individuato nelle opere di Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino, un terreno di studio per l’artista lorenese. Una via per la diffusione della cultura post caravaggesca in Francia si trova anche nell’opera di Carlo Saraceni, di cui è esposto in mostra un quadro notturno, posto a confronto con il “Cristo fra i dottori” di Bor, in cui l’artista riprende dal Saraceni la rappresentazione di figure piccole immerse in ampi spazi scuri. Alcune opere riferibili al terzo decennio del Seicento, come il “San Gerolamo” di Palazzo Barberini e la “Cattura di Cristo” della Galleria Spada documentano il problema di attribuzione di alcune opere a Candlelight Master, specializzato nella pittura a luce artificiale. Egli venne battezzato in tal modo dallo studioso Benedict Nicolson da lui stesso poi identificato con Trophime Bigot, problematica figura di artista attivo a Roma ancora negli anni Trenta. “La Cena con sponsali”, un importante dipinto di Gherardo delle Notti, definito l’Honthorst “italiano”, rimanda immediatamente allo stile compositivo e luministico di La Tour, per via dei volti illuminati dal lume di candela che dona luce alla tavola apparecchiata. Un’opera in cui trionfano l’armonia e la convivialità fra i commensali. Proseguendo nel percorso della mostra, il visitatore è colpito dal crudo realismo delle opere di Georges de la Tour, particolarmente forte nella “Rissa di musici” proveniente dal Getty Museum di Los Angeles. La scena è diurna e raffigura diversi personaggi coinvolti in una rissa, in cui uno dei contendenti cerca di spruzzare un limone sugli occhi dell’avversario per svelarne la finta cecità. Scene notturne e oggetti metallici raffigurati a luce di candela immergono in questa sala lo spettatore in notti animate da scene profane o religiose, in cui la luce, declinata da Honthorst e La Tour in modi diversi e sorprendenti, circonda le emozioni umane, suscitate dal gioco, dal vino e dalla musica, sottratte all'ombra e consegnate al mondo della pittura, esaltando la bellezza degli oggetti, dei profili femminili, la fragilità delle azioni e dei sentimenti. Georges de la Tour amava raffigurare personaggi comuni, ed in mostra spiccano per il realismo i due dipinti raffiguranti “Donna anziana” e “Uomo anziano” del Museo di San Francisco, insieme al “Suonatore di ghironda con il cane”. Per gran parte degli studiosi i tre quadri sarebbero stati eseguiti in età giovanile, accomunati come sono dallo stesso trattamento dello sfondo. “Il Suonatore di ghironda con il cane”, dipinto di grandi dimensioni, è qui esposto a confronto con le stampe di Jacques Bellange e di Jacques Callot che ritraggono analoghi personaggi. Il suonatore di ghironda, frequentemente cieco che suonava per le strade chiedendo l’elemosina, era un personaggio tipico della cultura lorenese. Questa sezione documenta come George de la Tour sia un pittore del sociale, in quanto i suoi personaggi sono presi dalla strada e raffigurati in tutta la loro realtà, senza filtri o abbellimenti. Una sezione è dedicata al filo conduttore della mostra, la ricerca di La Tour sulle possibilità espressive dell’illuminazione artificiale notturna. In questa sala sono esposti diversi capolavori del pittore lorenese, tra cui spicca “Giobbe deriso da sua moglie”, in cui la fiamma della candela, con la sua traccia di fumo sulla veste della donna, illumina il centro del dipinto, generando un effetto di controluce che amplifica il suo gesto di insofferenza. “Giovane che soffia su un tizzone”, insieme a “L’Educazione della Vergine”, documentano diversamen- te la raffigurazione di un interno illuminato dal lume artificiale in un’atmosfera domestica pervasa dalla quiete.
Uno studioso settecentesco sosteneva che La Tour avesse regalato al re Luigi XIII un dipinto che raffigurava un “San Sebastiano in una notte”, apprezzato così tanto dal re da rimuovere ogni altro quadro nella sua camera da letto. Si conoscono almeno dieci versioni del “San Sebastiano curato da Irene” nello stile di La Tour, e qui è esposta una delle tre conservate al Musée des Beaux Arts di Orléans. L’esistenza di tutte queste copie fa pensare che la composizione fosse corrispondente al quadro entrato nelle collezioni reali, in una data forse prossima al 1639, quando Georges de La Tour a Parigi ricevette il titolo di pittore ordinario del re.
La rassegna si chiude con la sezione dedicata al capolavoro della maturità di Georges de la Tour, il “San Giovanni Bat- tista nel deserto”. Con questo dipinto, che raffigura il santo precursore di Cristo e il legame fra l’Antico e il Nuovo Testamen- to, La Tour sintetizza al massimo la composizione, spingendo la pittura verso la dimensione della solitudine e della meditazione, aderendo all’esperienza degli eremiti cristiani, alla ricerca della fede in luoghi lontani dalla mondanità.
Un’esposizione imperdibile considerato che, come ebbe a sottolineare Roberto Longhi, in Italia non vi è conservata nessuna opera di La Tour e sono poco più di 30 le opere attribuite al Maestro.