Nel segno della Musa - “Ritratti d’artista” - Protagonisti del XXI secolo

Le interviste di Marilena Spataro.
Ignazio Fresu
Materia, forma, pensiero. Da qui si dipana l’opera di questo importante artista di origini sarde. Opera che, seppure legata all’estetica dell’informale, non manca di stupirci con rimandi poetici carichi di pathos ed evocativi di quei mondi arcaici e misteriosi della terra di Sardegna.

La sua vicenda artistica si colloca a cavallo di due secoli, tra fine 900 e anni 2000, vedendola testimone e, da un certo momento in poi, protagonista di movimenti e tendenze che hanno inciso profondamente sul senso e sul modo di fare arte nella contemporaneità. Quali gli anni e le tendenze cui si sente più vicino e che l'hanno influenzata maggiormente come artista?
«Considero tutte le manifestazioni d'arte dai tempi delle prime impronte umane sulle pareti di una grotta alle ultime tendenze dell’arte contemporanea come qualcosa di cui faccio parte, qualcosa che continua e che mi coinvolge nell’operare. Naturalmente, dal punto di vista formale, risento maggiormente dei modi espressivi degli ultimi decenni, conservando comunque la mia libertà espressiva senza nessuna adesione a manifesti e a movimenti artistici».
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Come vede l’attuale scena artistica nazionale e internazionale e cosa è cambiato rispetto agli inizi della sua carriera?

«Farei una distinzione tra scena artistica nazionale e internazionale, in quanto la Italia, nonostante si vanti di annoverare la più grande collezione di capolavori d'arte al mondo, fregiandosi d’essere il Paese che più di tutti gli altri ami l’arte, disconosce i suoi artisti contemporanei, ignorando le Raccomandazioni del Parlamento Europeo che nel 2007 ha promulgato in materia, non riconoscendo giuridicamente la figura dell’artista visivo. Questo, oltre che discriminare, com- porta gravi conseguenze di ogni genere agli artisti nazionali ed a tutto il sistema ad essi collegato, determinando un grave svantaggio nei confronti del resto del mondo che non prende sul serio la produzione artistica contemporanea italiana. Difatti, i pochi artisti italiani che hanno avuto un qualche riconoscimento internazionale, vivono all’estero. Fatta questa premessa, sono due gli aspetti più determinanti del cambiamento degli ultimi decenni. Il primo è stato l’irruente ingresso della finanza nel mondo dell'arte che ha provocato delle vere e proprie bolle speculative nel mercato e creato un sistema parallelo di valori che non sempre coincide ad una scala di valore artistico. Il secondo è stato l’avvento di internet con la globalizzazione che ha permesso di collegare il mondo dell’arte superando i ristretti confini geografici in cui era costretto».
Quali i moventi esistenziali dai quali prende le mosse la sua ricerca artistica ed estetica. Se non sbaglio l’humus culturale è quello di un pensiero filosofico e sociale ben determinato...
«Il mio lavoro si prefigge di dare un volto alla bellezza dell’effimero e di ritrarre l’eterno inganno perpetrato dal tempo. Il tema della transitorietà di ogni cosa, si riflette nella mia attività. A questo fine le mie installazioni giocano di continuo sulla percezione della reale consistenza delle strutture che realizzo rendendo così il senso della caducità delle cose che evidenzio con la “pietrificazione” o la “rugginificazione”. Come Medusa che con lo sguardo pietrifica, ciascuno di noi interpreta la realtà pietrificando ciò che ci circonda in modo diverso, annullando quella degli altri. Questo avviene per tutte le cose, come i pensieri e le azioni, che sono frutto della nostra coscienza e conoscenza e trascurando come soltanto la nostra immaginazione ci consenta di esplorare la dimensione non governata dalla ragione. L’uomo, oggi più che mai, preso dalle cose del mondo, di rado esercita questa sua facoltà, ponendo tra sé e le cose, il limite dell’interesse pratico, della funzione, dell’utilità, mentre è la contemplazione pura e disinteressata che può rivelare il legame che stringe il reale in un tutto, trascendendo la realtà apparente. Quest’ultima, infatti, è un evento e non una condizione, è un divenire e non un essere. È solo dopo aver superato questo primo rapporto percettivo separando ciò che vediamo dal suo contenuto mondano e sensibile, astraendone i contenuti dalla sua dimensione materiale servendoci dell’immaginazione, che accederemo pienamente al processo creativo».
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Le sue opere quasi sempre sono di grandi dimensioni e realizzate con materiali riciclati, inusuali e “segreti”, sia nella loro composizione che nelle fasi della lavorazione. Perché questa scelta, c’è una valenza che va oltre gli aspetti estetico formali. Ce ne parla?

«La scelta dei materiali ha più di una motivazione. I materiali che scelgo fanno parte della nostra vita e di ciò che ci sta intorno e con cui interagiamo nel nostro tempo recente: solo fino a qualche decennio or sono non esistevano le impellenti problematiche sociali legate ai rifiuti e alle discariche. I materiali poveri che adopero hanno avuto una vita, una funzione, a volte anche molto breve come, ad esempio, gli imballi. Essi sono la metafora dell’esistenza, del divenire e dell’impermanenza. La trasformazione fa parte di tutto questo, come anche l’apparenza, soprattutto l’apparenza. Il senso sta proprio in questo: far assumere a questi oggetti rifiutati un aspetto “estetico”, farli apparire di un materiale diverso, infrangere le regole, le leggi della gravità e del consueto. Non si tratta di riciclo, non l’utile riutilizzo, ma, dall’inutilità da cui provengono, ritrovare, anche per mezzo di essi, una nuova kantiana utile inutilità propria dell'arte e della filosofia».
Da anni ormai lei vive a Prato, ma le sue origini sono sarde. Si dice che i sardi sono un'isola nell’isola. Quale il significato profondo di tale affermazione. A tutt’oggi lei si sente figlio di Sardegna, anche in merito a questa affermazione. Quanto e in cosa il fascino del genius loci di una terra arcana e misteriosa come quella sarda ha influenzato la sua visione del mondo e la sua poetica?
«Nonostante viva in Toscana dai tempi degli studi all’Accademia risalenti a diversi decenni fa, conservo un forte legame con la Sardegna e questo non si limita ad essere solo affettivo, lo definirei ancestrale. La diffusa presenza dei resti delle antiche civiltà che si sono succedute nell’Isola fanno parte di me e influenzano il mio lavoro. Le scelte formali e le materie che uso per i miei lavori come, ad esempio, la pietra o il metallo, sono un atavico rimando. Questo richiamo è presente anche attraverso il paesaggio. Proprio le installazioni che presenterò prossimamente a Forlì per Vernice, avranno per soggetto l’ulivo e l’uva, da millenni protagoniste del paesaggio sardo».
Come giudica il panorama artistico contemporaneo? Secondo lei quali saranno gli esiti futuri della ricerca artistica delle nuove generazioni?
«Il panorama artistico contemporaneo si presenta particolarmente eclettico sia nelle forme che nei contenuti. Ed è forse proprio questa la caratteristica peculiare del nostro tempo insieme ad una estesa diffusione delle sue forme favorite dalle nuove tecnologie e maggiormente utilizzate dalle nuove generazioni. Nel prossimo futuro le nuove tecnologie saranno sempre più determinanti nel panorama artistico ed il loro utilizzo probabilmente soppianterà del tutto le forme d’arte che le hanno precedute».
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Quale il futuro delle arti figurative tradizionali in un mondo in cui sempre di più prevalgono le tecnologie di frontiera e l’informatizzazione dei saperi?

«Internet è stata una delle più grandi rivoluzioni per l’umanità paragonabile solo alla scoperta del fuoco ed all’invenzione della stampa. Ma avere a disposizione tutto lo scibile umano, la possibilità di connettersi ovunque con chiunque, va ben oltre la fede cieca per la tecnica e dei suoi prodotti ad uso e consumo della finanza. Ritengo che internet sia in realtà un primo passo per trasformarci in quell’ oltreuomo che profetizzava Nietzsche e non uno strumento di oppressione, di condizionamento e di controllo. Internet ci offre le potenzialità per raggiungere consapevolezza, permettendoci di acquisire quella coscienza tanto cara a Kant se usato come strumento di scienza e conoscenza, nonostante questo, come avviene per tutti gli strumenti, possa essere utilizzato sia per fini positivi che negativi. Sta a noi uomini saper scegliere con giudizio ed in questo nutro grandissime aspettative anche per quanto concerne il mondo dell’arte che ha permesso agli artisti di uscire dal loro piccolo “villaggio” in cui erano costretti e confrontarsi col mondo intero».
Nell’atto creativo c’è anche una valenza sociale ed etica oltre che estetica?
«Opero con l’obiettivo che un’installazione meritevole di questa definizione non si limiti ad occupare solo lo spazio ed interagire con esso, ma sia tale quando interagisca col fruitore che ne diventa protagonista “abitandola”, occupandola e trascorrendo il suo tempo all’interno di essa nel paesaggio che si modifica e dialoga con lui. Il personaggio principale di tutte le mie installazioni è il fruitore che ne è protagonista assoluto. A questo fine, una particolarità comune a tutti i miei lavori è la costante assenza della figura umana, che però, pur nella sua assenza, lascia delle tracce di presenza: per questo motivo i veri e unici personaggi protagonisti sono i visitatori, con la loro forma ed essenza e che con il loro esserci sono parte fondamentale con l'opera».
Quanto è importante oggi cogliere il rapporto e le intime connessioni che intercorrono tra l’uomo e la natura?
«Leonardo da Vinci scriveva: “La natura è la fonte di tutta la vera conoscenza. Ha la sua logica, le sue leggi, non ha alcun effetto senza causa né invenzione senza necessità”. Credo che proprio tra questo che oggi scopriamo più che mai veritiero e l’uomo, con i suoi artefatti culturali, s’instauri il più profondo, privilegiato ed insieme conflittuale legame simbiotico che ci accomuna alla natura e per il quale l’uomo è tale nella misura in cui sarà in armonia con essa.»
Pensa che l’arte anticipi in qualche modo la società o che, invece, ne sia il riflesso?
«Il caso di artisti che sono riusciti a cambiare il contesto sociale sono pochissimi. Però anche quelli che ci sono riusciti, hanno proposto più che altro degli esempi. L’arte tende a proporre una direzione nella quale si potrebbe andare, non è che riesca a cambiare il mondo, ci indica il modo in cui potremmo cambiare il mondo noi tutti insieme se volessimo e riuscissimo organizzarci. Non credo nell’arte che cambia il mondo, credo nell’arte che pensa il mondo. Questo perché l’arte visiva resta un mondo elitario, non tocca abbastanza la popolazione nel vasto numero. Tra la potenza di comunicazione che ha la televisione o un social e la potenza di comunicazione che ha l’arte visiva non c'è paragone. L’arte visiva è confinata a una comunicazione elitaria. È un po’ una contraddizione interna che l’arte si porta dietro, D’altra parte, allo stesso modo, è ciò che accade per tutti i grandi libri, non è che tutti possano leggere la Poetica di Aristotele, non c’è tempo, non c’è scolarizzazione. I grandi libri vengono letti da pochi tranne forse i grandi libri religiosi. Gli atti comunicativi più profondi, più importanti, hanno in sé la contraddizione di essere fortemente elitari.»
E quale il ruolo che essa può giocare nell’aprire nuove prospettive in uno dei momenti più tristi della nostra epoca, come quello che l’umanità intera sta vivendo?
«Senza alcun dubbio è quella di interagire e di aprire la mente a nuove visioni, che poi forse è il ruolo che da sempre ha l'arte tutta con la sua prerogativa di riuscire a comunicare al di là della ragione e dei mezzi consueti con cui questa si esercita.»
Un sogno ancora nel cassetto, un’attesa di Ignazio Fresu uomo ed artista?
«Il mio sogno è quello di poter realizzare ancora altri lavori in questo tempo che fugge via».