Nel segno della Musa (Rocchetti)

Le interviste di Marilena Spataro
“Ritratti d’artista”
Nazareno Rocchetti, marchigiano doc: pittore, scultore, ceramista, performer. Artista eclettico, dalle mille sfaccettature. Con nel cuore le Marche cui regala la sua ennesima mostra di scultura monumentale:
“Anthropomorphosis. Nella forma del legno”.
Ripe San Giensio, dal 30 Giugno al 30 Agosto 2019
crediti fotografici di Paolo Cudini
nel segno della musa
Quando e come è avvenuto il suo incontro con l'arte?
«Credo che il talento artistico sia qualcosa che, in un modo o nell'altro, appartiene all'essere umano fin dal momento della sua nascita. Solo che poi per l'incontro vero e proprio con l'arte occorre trovare la chiave capace di aprire la porta dove quel talento naturale si trova. Per me è stato così: a fornirmi la chiave che ha liberato la mia ispirazione artistica è stato il maestro spagnolo Josè Guevara. Lo conobbi per motivi di carattere professionale; visto che al tempo esercitavo da fisioterapista, venne da me per dei trattamenti. Le nostre conversazioni ben presto scivolarono sull'arte e, non appena ebbi modo di vedere le sue opere, me ne innamorai perdutamente. Da queste “visione” e dalle nostre chiacchierate scaturii in me una grande curiosità e un interesse profondo nei confronti dell'arte, il che fu la spinta definitiva che mi portò a decidere di iniziare il mio percorso artistico con più convinzione e consapevolezza di prima; sì perchè, precedentemente all'incontro con il maestro spagnolo, avevo iniziato a bazzicare l'arte, cimentandomi con la terracotta da cui traevo sculture ispirate al mondo naturale o a figure di amici e familiari. Al tempo, come già detto, esercitavo la professione di fisioterapista e un giorno quasi per caso presi a manipolare la creta notando subito che così come mi veniva bene e spontaneo manipolare il corpo per fini terapeutici, altrettanto bene mi veniva manipolare la materia per finalità creative».
Quali i modelli e gli artisti che l'hanno guidata lungo questo suo percorso?
«Innanzitutto è la natura ad essere la mia prima maestra. Sono un autodidatta e, nonostante le mie scar- se conoscenze accademiche, reputo di potermi considerare la più bella espressione dell'ignoranza del- l'arte, ad insegnarmi e ad ispirarmi è sufficiente la natura, perché basta avere gli occhi e una buona vista per cogliere i capolavori che essa ci offre».
Qual è la poetica di fondo che fa da filo conduttore al suo lavoro?
«L'amore, la famiglia, tutte quelle cose che ho potuto assaporare in giovane età, valori questi che in una società come la nostra, sempre più spesso vengono a mancare. C'è in me per questo una profonda delusione, quasi una tribolazione, sentimenti che mi coinvolgono emotivamente anche dal punto di vista artistico, nelle mie opere desidero esprimere e rappresentare appunto questo coacervo di emozioni che convivono dentro di me, da cui, però, non sono esenti anche ottimismo, gioia di vivere e tanta passionalità. Passionalità che poi è la chiave di volta di tutto il mio lavoro, sia in pittura, dove adotto la tecnica del fuoco, che è tutto dire, e che ho appreso dal maestro ed amico Josè Guevara, sia nella scultura e quant'altro, dove lo scavare e il manipolare mi viene proprio dalla forza della passione».
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Quindi le sue opere vengono concepite più sull'onda delle emozioni piuttosto che, come accade per molti artisti oggi, sulla base di un progetto artistico?
«Non v'è ombra di dubbio! Senza emozioni non si fa arte. Certamente oggi c'è un'arte che corrisponde all'arte del business, ma questa, a mio avviso, non ha niente a che fare con la vera arte, che è quella del cuore e dei valori che ci hanno insegnato, che poi sono quelli fondanti, quanto fondamentali, per l'uomo e per la società. L'arte oltre ad avere valenze di carattere estetico deve possedere una forza di carattere etico, culturale e sociale. Sostengo da sempre che la conoscenza artistica è indispensabile per la formazione dell'essere umano e della società e che, perciò, andrebbe acquisita fin dalla più giovane età, l'arte è infatti capace di conferire una sensibilità tale che nessun altro insegnamento è in grado di dare. Purtroppo in una società materialistica come quella in cui viviamo, ribadisco, tutto si riduce al business, un discorso come questo si fa molta fatica a portarlo avanti, specie da noi in Italia. Non è un caso che il nostro Paese sul fronte dell'arte contemporanea sia la cenerentola dell'Europa. Continuiamo a vivere sugli allori del Rinascimento, che sebbene sia stato un momento unico al mondo a di rara magia, è ormai storia. Abbiamo poi avuto il 600, 700, 800 e 900. Ora che siamo negli anni 2000 occorre prendere atto che ci si deve adeguare all'arte del nostro tempo, valorizzando meglio e di più le nostre risorse artistiche e umane della contemporaneità, che sono tante e molto valide, quanto, se non più, che altrove».
Quale il suo impegno in questa direzione?
«Io vivo per l'arte. Adesso che ho raggiunto un'età in cui ci si può appropriare del proprio tempo, allorchè si può dire qualcosa in più rispetto a quando si lavorava e quindi, in modo o nell'altro, si era condizionati nelle relazioni sociali, non faccio altro che esprimere in piena libertà a parole e nei fatti, specie attraverso l'arte, il mio pensiero e la mia visione delle cose. Le mie mani, queste mani che il Signore mi ha donato come un prezioso regalo e che mi hanno permesso di svolgere un lavoro dignitoso che ha contribuito a farmi conoscere e a farmi apprezzare da tante gente, poi amici, sono quelle stesse mani che scolpiscono e che dipingono e che desiderano dare al mondo il loro contributo attraverso il lavoro artistico. Mio padre mi ha insegnato che le nostre mani sono fatte una per prendere e una per donare. E che bisogna prima di tutto donare, che a prendere si è sempre in tempo. Ecco, con le mie mani io desidero innanzitutto dare, dare ogni cosa che sia nelle mie possibilità d'artista. Reputo sia doveroso divulgare l'arte con tutti i mezzi e in tutte le maniere possibili specialmente tra le nuove generazioni che vanno educate in tal senso; nella caducità della vita, l'arte è ciò che resta e che ci rende immortali individualmente e collettivamente, essa è la maggiore testimonianza del nostro passaggio, della nostra civiltà e del tempo in cui si vive, in cui si è vissuti».
In questo momento quali sono le forme espressive e i linguaggi artistici che meglio rappresentano la sua poetica. E quali i materiali che ama utilizzare in scultura?
«Amo tutti quei materiali che mi portano allo scontro perchè così, scontrandomi con la materia, riesco a penetrarne la più intima natura. Lavoro con piacere su materie dure: pietre, bronzo, legno, specie l'ulivo, che è un legno meraviglioso che possiede un linguaggio fantastico. Dietro alla dura corteccia, gli ulivi nascondono dei tesori che non tutti possono vedere: si coprono per non far vedere, come appunto fanno tutti gli esseri umani, io ho la possibilità di spogliarli questi ulivi, questi alberi, per vedere le bellezze che ci sono dentro e vedendole cerco di esaltarne la natura scolpendo delle figure che sento appartenere a loro così come all'intera umanità. Tali figure le “forgio” per farle parlare di amore, di abbracci, della sacralità del vivere. Fare questo, dare sacralità alle mie opere mi viene spontaneo, è qualcosa di ancestrale che mi porto dentro, quell'abbraccio universale, cosmico, francescano, sento che mi appartiene da sempre e cerco di condividerlo con il mondo attraverso la mia arte, così come ho fatto con il mio Cristo delle Marche, un'opera scultorea in granito nero, alta quasi tre metri dove un Cristo senza croce, da un'altura che spazia tra terra, mare e cielo, abbraccia le Marche e simbolicamente l'intero universo».
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Attualmente è impegnato con una serie di eventi espositivi, tra cui una mostra temporanea di sculture monumentali in legno che si svolgerà in una suggestiva location all'aperto a Ripe San Ginesio, e alla quale, mi pare, lei conferisce un valore particolare. Ce ne parla?
«Sono un marchigiano doc e tifo per le Marche. Una regione bellissima situata nel cuore del nostro meraviglioso Paese. Il che è davvero simbolico. Un cuore bellissimo, ricco di arte e di bellezze naturali straordinarie, come testimoniano gli stupendi borghi di cui questa nostra terra è ricca e che vanno valorizzati e promossi perchè meritano di essere conosciuti e visitati, insieme al loro straordinario patrimonio umano, culturale, artistico e, non ultimo, architettonico. Ho vissuto per anni da giovane in giro per l'Italia e ho girato il mondo, ma con me ho portato le Marche sempre nel cuore. Da anni ormai sono rientrato nella mia terra dove vivo e lavoro felicemente presso una contrada di Cingoli, in provincia di Macerata. Questa mostra a Ripe San Giensio, un piccolo quanto affascinante borgo del Maceratese, come tutte le altre mostre che ho realizzato e che spero realizzerò in futuro nei meravigliosi borghi sparsi per le Marche, è per me di eccezionale importanza: la mia arte trasuda marchigianità e mi dà gioia pensare che le esposizioni e gli eventi che mi riguardano possano costituire un'ulteriore attrattiva per far conoscere l'incantesimo di questi nostri luoghi, vere e proprie perle incastonate tra mare e montagna, al maggior numero di gente possibile. Spero che chi abita le grandi città venendoci a visitare capisca di quanta bellezza e serenità si possa godere qui da noi».
C'è ancora un sogno nel cassetto, dell'ormai affermato artista Nazareno Rocchetti, che attende di realizzarsi?
«Guardi, sto facendo il tavolo adesso. Quando sarà ultimato il tavolo ci metterò il cassetto e dopo le svelerò il mio sogno. Occorre quindi pazientare ancora un po' per saperlo».