“ARTE ED ESOTERISMO IX: RAFFAELE ROSSI”
Questa volta ’7’ vuole trasportarvi nel mondo di un artista contemporaneo, dopo i suoi numerosi personaggi del passato che hanno caratterizzato il nostro viaggio fra arte ed esoterismo.
Se mai si possa parlare di tempo, teogonia orfica di Chronos, quando si ha a che fare con l’irreale stato dell’arte.
Raffaele Rossi nasce ad Alba il 20 Maggio 1956. Dopo aver frequentato il Liceo artistico di Novara, affascinato dalla Pittura antica Veneziana soggiorna per alcuni anni a Mogliano Veneto dove tiene la sua prima mostra personale: è il 1978. Segue i corsi di calcografia alla Scuola Internazionale di Grafica e la Scuola Libera del Nudo. Attratto da tecniche pittoriche avite, si avvicina alla “bottega” di due Pittori veneziani: Valeria Rambelli e Ottone Marabini. Da loro impara a macinare e mesticare i colori con la tempera all’uovo e l’olio, apprende la preparazione di tavole e tele e si appassiona alla ricerca e al riuso delle materie antiche. Sperimentando l’affresco e gli intonaci prendono vita superfici materiche che lo contraddistinguono ancora oggi. Vive e lavora a S. Ambrogio di Trebaseleghe, in provincia di Padova. Sue opere sono conservate in permanenza presso: Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Sarcinelli, Conegliano (TV); Italy. Museo dello Splendore, Giulianova (TE); Italy. Credit Suisse, Hong Kong. Bank Julius Baer, Hong Kong. Bank Sarasin&Cie Ag, Hong Kong. Hotel Sheraton, Hong Kong. Sala affrescata a “Son Apau”, Azahar Jardineria y Riegos, Palma DE Mallorca; Spain.
E’ un artista riservato, potente, fortemente evocativo. Un iniziato. Avendo noi a cuore il rapporto fra arte ed esoterismo, è gioco forza lasciarci trasportare dalla sua pittura, magari su una delle sue immaginifiche imbarcazioni apparse da un remoto passato, da un’epoca in cui l’uomo navigava tra i flutti del mare e gli spazi siderali. Quando il microcosmo era il macrocosmo. Nello stesso istante. Un mondo fatto di continenti perduti, patria dimenticata del nostro attimo di incarnazione qui sulla madre Terra.
Cavalieri, Vincitori, Eroi, Apparizioni: Esseri ed Entità di altre dimensioni da lui evocate e rese manifeste nelle sue opere sono da sempre sua fonte di ispirazione.
Ci ha confessato che “nei lavori più recenti si è trovato a Evocare e Trascrivere Segni e Simboli di un Idioma a lui sconosciuto”. Spetta agli Spettatori interpretarli ed affrontare un’ermeneutica complessa benché istintuale e, forse, alla portata di chiunque sappia ascoltare con il cuore.
“È come se qualcuno mi indicasse la via da percorrere verso un mondo superiore di pace. Un viaggio da percorrere in noi stessi come con la barca, poiché la nostra anima è la barca che intraprende questo viaggio introspettivo.”
Attraverso il mare, forse quello di Cervo ligure dove hanno vissuto alcuni dei suoi avi materni, eredi dei preistorici Ingauni, pirati fieri di solcare le acque e solo nel 180 a.C. sottomessi dagli invasori Romani di Lucio Emilio Paolo console. Suggestioni e ricordi che si inalberano arrampicandosi alla struttura elicoidale del DNA, memoria in mutamento di ogni essere umano.
“Sono messaggi con segni e forme archetipiche, come le aperture che sono dei luoghi di uscita, dei fori, delle cavità di comunicazione che ci conducono ad un altro spazio, a un altro mondo. Ascolto quanto urge manifestarsi tramite me, segni di idiomi o forme misteriose a cui dare un ordine. L'uso dell'affresco mi permette di ottenere graffi, segni, texture e di intervenire con le dita e le mani nell'intonaco fresco quasi ad essere un tutt'uno con l'opera. Le forme sono individuate con colori che in parte preparo personalmente con pigmenti e olio di lino o a tempera. Inserisco molte parti in piombo, metallo docile e ubbidiente a prendere varie forme.”
Una primordiale sacralità attraversa il lavoro di Raffaele Rossi, in questo senso un iniziato alle dimensioni superiori dello Spirito.
Voglio citare Marco Goldin (curatore di uno dei suoi cataloghi) quando afferma che “la tavola sopra cui la pittura si posa non ha da essere semplicemente il supporto della pittura stessa, ma molto di più: la sua casa, il suo luogo, lo spazio in cui essa abita. E abitando quello spazio possa replicare il miracolo dell’eternità del tempo primo, possa ricongiungersi a quanto, nella contemplazione, la pittura che pensa se stessa aveva intuito appartenere all’origine.”
Nascita e trasformazione sono legate da un filo invisibile, ma così forte nella pittura di Raffaele Rossi da lasciarci immobili, implicitamente connessi ad una rete neurale che definirei orgonica, in cui la una forza invisibile guida il tratto del pittore, solo apparentemente libero: veicolo, in realtà, di una Sostanza che proviene da altrove. Un oracolo che attraverso la materia viva ed i contrasti del colore e dei pigmenti visualizza per mezzo delle mani dell’artista messaggi inconosciuti, forme misteriose, archetipali. “Astronavi per viaggiare nel cosmo, navicelle di abitazione”, citando lo stesso Rossi. Un altrove che è al contempo dentro di noi, nel profondo della nostra anima, creatore di emozioni.
Terra, aria, acqua e fuoco sottendono all’opera del pittore, emergendo con la commozione della Natura, musa ispiratrice e nel contempo viatico sacro per il pellegrino della vita, trascinato da una mistica trasmutazione che attraversa la materia per condurre l’osservatore ad un ambiente in qualche modo familiare. Il trasporto, quando prende Forma, manifesta un ciclo stigmatizzato da Simboli ultraterreni: una croce, un altare, una nicchia, una cappella, un reliquiario. Presenza fisica che si fa sentire, toccare. La tela, dal suo canto, si plasma talvolta con la forma di un calice, talvolta con quella di un equide cavalcato dal suo Parsifal, talvolta con l’iconografia forte e maestosa di uomini ieratici. I graffi, precisi, chirurgici, assumono la vitalità di un atto magico primitivo. L’artista però, sa controllare le proprie emozioni, è suo compito trasferirle compiendo un rituale basato sì sull’istinto, ma che è solo apparentemente anarchico.
Le opere di Rossi sono estremamente coinvolgenti e denotano una grande tecnica da cui traspare un sapiente uso di materiali come la calce, la polvere di marmo, il cocciopesto, le sabbie naturali. L’ossidazione dei metalli, la stratificazione, le scrostature ci portano ad un’Alchimia dimenticata, ordinata dalle leggi dell’Universo: dopotutto l'arte e l'alchimia configurano entrambe due aspetti dello stesso procedimento di trasformazione simbolica della materia. Non è forse questo un Ordine superiore?
Ci riportano parimenti a suggestioni canalizzate nel nostro mondo dall’artista stesso, memore inconsapevole (o forse consapevole) di migrazioni dimenticate de l’umanità, foriere di verità preservate dalle alte caste sacerdotali di un Egitto atlantideo, prima del diluvio universale attraverso il quale le imbarcazioni superstiti ci hanno trasportato reminiscenze di una sapienza perduta. Tra i Faraoni, eredi di quell’era, il blu era considerato una sorta di passaporto per il regno dell’oltretomba E non è forse la barca uno degli elementi rituali che contraddistingue questo viaggio così importante? Allora gli uomini erano veicolo di energie pure e a noi sconosciute guidate da una ghiandola pineale ancora attiva, esseri dotati di poteri soprannaturali e paranormali, provenienti da centri di potere e sincronizzati a corpi di potere che conferivano consapevolezza e fratellanza.
I segni delle tele di Rossi, sussurrati come delle antiche iscrizioni runiche, schiudono porte verso questi mondi lontani dominati dalla condivisione, mondi in cui l’anima ritrova se stessa.
Se mai si possa parlare di tempo, teogonia orfica di Chronos, quando si ha a che fare con l’irreale stato dell’arte.
Raffaele Rossi nasce ad Alba il 20 Maggio 1956. Dopo aver frequentato il Liceo artistico di Novara, affascinato dalla Pittura antica Veneziana soggiorna per alcuni anni a Mogliano Veneto dove tiene la sua prima mostra personale: è il 1978. Segue i corsi di calcografia alla Scuola Internazionale di Grafica e la Scuola Libera del Nudo. Attratto da tecniche pittoriche avite, si avvicina alla “bottega” di due Pittori veneziani: Valeria Rambelli e Ottone Marabini. Da loro impara a macinare e mesticare i colori con la tempera all’uovo e l’olio, apprende la preparazione di tavole e tele e si appassiona alla ricerca e al riuso delle materie antiche. Sperimentando l’affresco e gli intonaci prendono vita superfici materiche che lo contraddistinguono ancora oggi. Vive e lavora a S. Ambrogio di Trebaseleghe, in provincia di Padova. Sue opere sono conservate in permanenza presso: Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Sarcinelli, Conegliano (TV); Italy. Museo dello Splendore, Giulianova (TE); Italy. Credit Suisse, Hong Kong. Bank Julius Baer, Hong Kong. Bank Sarasin&Cie Ag, Hong Kong. Hotel Sheraton, Hong Kong. Sala affrescata a “Son Apau”, Azahar Jardineria y Riegos, Palma DE Mallorca; Spain.
E’ un artista riservato, potente, fortemente evocativo. Un iniziato. Avendo noi a cuore il rapporto fra arte ed esoterismo, è gioco forza lasciarci trasportare dalla sua pittura, magari su una delle sue immaginifiche imbarcazioni apparse da un remoto passato, da un’epoca in cui l’uomo navigava tra i flutti del mare e gli spazi siderali. Quando il microcosmo era il macrocosmo. Nello stesso istante. Un mondo fatto di continenti perduti, patria dimenticata del nostro attimo di incarnazione qui sulla madre Terra.
Cavalieri, Vincitori, Eroi, Apparizioni: Esseri ed Entità di altre dimensioni da lui evocate e rese manifeste nelle sue opere sono da sempre sua fonte di ispirazione.
Ci ha confessato che “nei lavori più recenti si è trovato a Evocare e Trascrivere Segni e Simboli di un Idioma a lui sconosciuto”. Spetta agli Spettatori interpretarli ed affrontare un’ermeneutica complessa benché istintuale e, forse, alla portata di chiunque sappia ascoltare con il cuore.
“È come se qualcuno mi indicasse la via da percorrere verso un mondo superiore di pace. Un viaggio da percorrere in noi stessi come con la barca, poiché la nostra anima è la barca che intraprende questo viaggio introspettivo.”
Attraverso il mare, forse quello di Cervo ligure dove hanno vissuto alcuni dei suoi avi materni, eredi dei preistorici Ingauni, pirati fieri di solcare le acque e solo nel 180 a.C. sottomessi dagli invasori Romani di Lucio Emilio Paolo console. Suggestioni e ricordi che si inalberano arrampicandosi alla struttura elicoidale del DNA, memoria in mutamento di ogni essere umano.
“Sono messaggi con segni e forme archetipiche, come le aperture che sono dei luoghi di uscita, dei fori, delle cavità di comunicazione che ci conducono ad un altro spazio, a un altro mondo. Ascolto quanto urge manifestarsi tramite me, segni di idiomi o forme misteriose a cui dare un ordine. L'uso dell'affresco mi permette di ottenere graffi, segni, texture e di intervenire con le dita e le mani nell'intonaco fresco quasi ad essere un tutt'uno con l'opera. Le forme sono individuate con colori che in parte preparo personalmente con pigmenti e olio di lino o a tempera. Inserisco molte parti in piombo, metallo docile e ubbidiente a prendere varie forme.”
Una primordiale sacralità attraversa il lavoro di Raffaele Rossi, in questo senso un iniziato alle dimensioni superiori dello Spirito.
Voglio citare Marco Goldin (curatore di uno dei suoi cataloghi) quando afferma che “la tavola sopra cui la pittura si posa non ha da essere semplicemente il supporto della pittura stessa, ma molto di più: la sua casa, il suo luogo, lo spazio in cui essa abita. E abitando quello spazio possa replicare il miracolo dell’eternità del tempo primo, possa ricongiungersi a quanto, nella contemplazione, la pittura che pensa se stessa aveva intuito appartenere all’origine.”
Nascita e trasformazione sono legate da un filo invisibile, ma così forte nella pittura di Raffaele Rossi da lasciarci immobili, implicitamente connessi ad una rete neurale che definirei orgonica, in cui la una forza invisibile guida il tratto del pittore, solo apparentemente libero: veicolo, in realtà, di una Sostanza che proviene da altrove. Un oracolo che attraverso la materia viva ed i contrasti del colore e dei pigmenti visualizza per mezzo delle mani dell’artista messaggi inconosciuti, forme misteriose, archetipali. “Astronavi per viaggiare nel cosmo, navicelle di abitazione”, citando lo stesso Rossi. Un altrove che è al contempo dentro di noi, nel profondo della nostra anima, creatore di emozioni.
Terra, aria, acqua e fuoco sottendono all’opera del pittore, emergendo con la commozione della Natura, musa ispiratrice e nel contempo viatico sacro per il pellegrino della vita, trascinato da una mistica trasmutazione che attraversa la materia per condurre l’osservatore ad un ambiente in qualche modo familiare. Il trasporto, quando prende Forma, manifesta un ciclo stigmatizzato da Simboli ultraterreni: una croce, un altare, una nicchia, una cappella, un reliquiario. Presenza fisica che si fa sentire, toccare. La tela, dal suo canto, si plasma talvolta con la forma di un calice, talvolta con quella di un equide cavalcato dal suo Parsifal, talvolta con l’iconografia forte e maestosa di uomini ieratici. I graffi, precisi, chirurgici, assumono la vitalità di un atto magico primitivo. L’artista però, sa controllare le proprie emozioni, è suo compito trasferirle compiendo un rituale basato sì sull’istinto, ma che è solo apparentemente anarchico.
Le opere di Rossi sono estremamente coinvolgenti e denotano una grande tecnica da cui traspare un sapiente uso di materiali come la calce, la polvere di marmo, il cocciopesto, le sabbie naturali. L’ossidazione dei metalli, la stratificazione, le scrostature ci portano ad un’Alchimia dimenticata, ordinata dalle leggi dell’Universo: dopotutto l'arte e l'alchimia configurano entrambe due aspetti dello stesso procedimento di trasformazione simbolica della materia. Non è forse questo un Ordine superiore?
Ci riportano parimenti a suggestioni canalizzate nel nostro mondo dall’artista stesso, memore inconsapevole (o forse consapevole) di migrazioni dimenticate de l’umanità, foriere di verità preservate dalle alte caste sacerdotali di un Egitto atlantideo, prima del diluvio universale attraverso il quale le imbarcazioni superstiti ci hanno trasportato reminiscenze di una sapienza perduta. Tra i Faraoni, eredi di quell’era, il blu era considerato una sorta di passaporto per il regno dell’oltretomba E non è forse la barca uno degli elementi rituali che contraddistingue questo viaggio così importante? Allora gli uomini erano veicolo di energie pure e a noi sconosciute guidate da una ghiandola pineale ancora attiva, esseri dotati di poteri soprannaturali e paranormali, provenienti da centri di potere e sincronizzati a corpi di potere che conferivano consapevolezza e fratellanza.
I segni delle tele di Rossi, sussurrati come delle antiche iscrizioni runiche, schiudono porte verso questi mondi lontani dominati dalla condivisione, mondi in cui l’anima ritrova se stessa.